Un linguaggio da ricercare
Ogni guerra porta con se orrori e dolori di ogni genere,
Mentre scrivo l’Europa sta viaggiando verso il centesimo giorno di guerra in Ucraina, una guerra che ogni singolo giorno non ha risparmiato di mostrarci i suoi orrori. Come sappiamo ogni guerra porta con se orrori e dolori di ogni genere, purtroppo è una cosa che conosciamo bene. Si fanno paragoni con le guerre del passato, si paragonano le assurde immagini a ciò che l’umanità ha conosciuto. Il fatto che siamo nel 2022 e che ormai le immagini belliche non solo intasano le nostre tv da mattina a sera ma appaiono all’improvviso anche nei nostri telefonini rende il tutto più inaccettabile. Non solo siamo costretti a rivedere in Europa una guerra dopo più di settanta anni, ma proprio la nostra presunta modernità (nella guerra non ci vedo nulla di moderno), rende tutto più vergognoso. Dunque immagini, dibattiti che ci vengono propinati in tv a tutte le ore, ma che vediamo anche contro la nostra volontà nei nostri dispositivi, magari quando apriamo il telefono in luoghi non idonei alla giusta riflessione che certe immagini richiederebbero o magari vediamo un video girato in un campo di battaglia che scorre dopo un video di cucina seguito da uno che magari ritrae persone sorridenti a bordo di una piscina. Tutto questo ci porta inevitabilmente ad una assuefazione o se vogliamo ad una normalizzazione di ciò che stiamo vedendo. Qualcuno potrebbe obbiettare che nel continente europeo in realtà delle guerre ci sono state in questi decenni, la caratteristica di questa, caratteristica che ne determina la peculiarità che più spaventa, è che questa viene combattuta da due eserciti regolari promanazione di due stati sovrani dei quali uno è la Russia che ha sempre inciso pesantemente nella nostra storia continentale. Una guerra combattuta nel suolo di uno stato sovrano con dei confini internazionalmente riconosciuti. Basterebbero queste due condizioni a determinare l’unicità di quanto sta accadendo rispetto al passato più recente anche se si potrebbero aggiungere i numeri terribili che questa guerra sta producendo in una sorta di matematica dell’orrore. Numeri del tutto inediti nel nostro post II guerra mondiale. Ma non è questo che voglio approfondire anche perché ciascuno può in merito esprimere la propria legittima analisi. Quello che mi colpisce in questi ultimi periodi è il linguaggio. Le ore interminabili di trasmissioni condite con i vari generali, analisti militari, esperti di armamenti moderni che ci spiegano nel dettaglio come funzionano missili, armi sofisticate, droni e chi più ne ha più ne metta, ci stanno modificando anche il linguaggio. Intanto vorrei capire il perché di certe descrizioni, a noi di come funziona un missile o un drone cosa ci dovrebbe importare? La sera tornati dal lavoro cosa ci può dare il sapere come funzionano i “moderni” strumenti di morte? Ovviamente moderni tra mille virgolette perché per me il moderno non può essere collegato alla somministrazione di morte. Moderni sono gli strumenti medici, le medicine, gli ospedali le nuove tecniche operatorie. Il moderno è collegato alle attività che allungano, migliorano, rendono più accettabili le condizioni di vita. Tutto questo parlare di guerra ci ha modificato il linguaggio. E allora in risposta a domande banali del tipo “come è andata la giornata?” sentiamo risposte del tipo “è stata una battaglia”, o ancora più banalmente per invocare la prudenza alla guida di qualcuno sentiamo dire “non andare veloce come un missile!” e ancora davanti a sfide di qualsiasi tipo ho sentito dire “devo scavarmi una trincea”. Ma perché usare questo linguaggio? Forse prima di trovare la pace dovremo escludere la guerra da quella orribile normalizzazione, una normalizzazione che dopo aver assuefatto i nostri occhi ora attanaglia anche la nostra lingua. Noi contiamo poco, certamente la fine del conflitto non dipende da noi e non ci siederemo al tavolo delle trattative, però una cosa la possiamo fare ricercare l’utilizzo di un linguaggio che escluda la belligeranza e la violenza. Forse non potremo far cessare le ostilità, ma renderemo più palese e meno “naturale” l’orribile momento storico che stiamo vivendo.
Giacomo Moretti
Nato ad Arezzo – Dopo aver assolto agli obblighi di leva comincia subito a lavorare, dalla raccolta stagionale del tabacco passa ad esperienze lavorative alla Buitoni e all’UnoaErre. Si iscrive “tardivamente” all’età di 21 anni alla Facoltà di Giurisprudenza di Urbino dove conseguirà la laurea in corso. Successivamente conseguirà il Diploma presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali. Assolta la pratica forense, nel 2012 si abilita all’esercizio della professione forense superando l’esame di stato presso la Corte d’Appello di Firenze. Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Arezzo esercita la professione forense fino al dicembre 2016. Attualmente si è sospeso volontariamente dall’esercizio della professione di avvocato per accettazione di incarico presso un ente pubblico a seguito della vincita di un concorso. Molto legato al proprio territorio, Consigliere comunale ad Anghiari per due consiliature consecutive. Pur di non lasciare la “sua” Anghiari vive attualmente da pendolare. Attento alla politica ed all’attualità locale e non solo, con il difetto di “dire”, scrivere, sempre quello che pensa. Nel tempo libero, poco, ama camminare e passeggiare per la Valtiberina e fotografarne i paesaggi unici.
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