Opinionisti Giacomo Moretti

Una semplice scatoletta di tonno

Non penso che mangiare pesce che si nutre e cresce in acque radiottive

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Strano constatare che in questo ultimo periodo al centro dell’attenzione mediatica ci sia proprio la ormai famosa scatoletta di tonno.

Anche nella recente, e per certi aspetti incomprensibile crisi politica estiva, la famosa scatoletta di latta si è conquistata un posto in prima fila.

Quindi la frase tipica attribuibile ad un determinato movimento politico: “Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, è tornata in campo.

Non si è fatta attendere la più recente replica: “Volevate aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, ora siete diventati il tonno”.

Potrei continuare con altri esempi, ma credo che il concetto sia già abbastanza chiaro.

Detto questo, vorrei concentrare la nostra attenzione sul tonno, e non sulla scatoletta.

Per farlo dobbiamo andare in Giappone.

Direte: “Che c’entra il Giappone adesso?”.

Per capirlo bisogna tornate a quell’11 marzo del 2011, quando il violento tsunami colpì il Giappone, una devastazione orribile: migliaia di morti, intere città spazzate via.

In tutto questo venne colpita la centrale nucleare posta sulla costa giapponese nella città di Fukushima.

Una centrale nucleare esplosa e che ancora oggi crea enormi problemi.

Ebbene, in questi anni per continuare a raffreddare il reattore è stata usata acqua del mare, acqua che dopo l’utilizzo è diventata fortemente radioattiva e per questo, stoccata e conservata in depositi appositi.

Depositi speciali che impediscono la diffusione di quell’acqua che, dopo l’utilizzo, è diventata una scoria radioattiva.

Ebbene, di quest’acqua ne servono circa 200 metri cubi al giorno e stoccarla e conservarla è ad oggi diventato complicato. Ne sono state stoccate più di un milione di tonnellate.

Sì, un milione di tonnellate di acqua radioattiva.

Il problema è che non c’è più spazio.

Il problema è che il Ministro dell’Ambiente giapponese ha proposto di “sversare in mare l’acqua radioattiva”.

Tradotto: a breve, più di un milione di tonnellate di acqua fortemente radioattiva potrebbe essere buttata nell’oceano.

Non solo.

A quel punto verrebbe sversato in mare anche il prodotto giornaliero di acqua radioattiva.

Il punto è per quanti anni avverranno questi sversamenti?

Che impatto ambientale avranno?

Possibile che una scelta di tale portata venga lasciata al solo Giappone?

Sì, noi raccogliamo pure le cicche di sigaretta dalle spiaggie, o continuiamo a raccogliere la plastica, ma siamo sicuri che basti raccogliere una bottiglietta di acqua da una spiaggia quando rischiamo di inquinare con scorie nucleari il mare?

Io penso che la sciagurata idea dei giapponesi dovrebbe essere oggetto di un intervento mondiale.

Insomma, ma che senso avrebbe aumentare la raccolta differenziata se poi siamo disposti a guardare inermi l’inquinamento nucleare dei nostri mari, mari che sono fonti primarie di vita?

Io penso che chi di dovere dovrebbe muoversi.

Più recentemente vi è stato un non meglio precisato incidente nucleare in Russia, incidente del quale non ci viene detto nulla, ma caspita, qui c’è un genio che propone di sversare in mare porcherie radioattive e stiamo tutti zitti?

Ma come è possibile?

Ho letto dei report di esperti che parlano della carica radioattiva di quell’acqua.

Francamente non ci ho capito molto: isotopi, trizio, e altre cose del genere esulano dalle mie competenze ma credo che non sia proprio roba buona da ingerire.

Non penso che mangiare pesce che si nutre e cresce in quelle acque sia il massimo.

Penso che una volta buttata nell’oceano, quella massa di scorie arrechi danni incalcolabili, danni peraltro irreversibili.

Allora credo che chi di dovere debba intervenire.

Io non so se il Parlamento vada davvero aperto come una scatola di tonno o chi è diventato tonno o meno.

Io chiedo solo di poterlo continuare a mangiare il tonno.

Forse chiedo troppo, forse a breve sarà precluso mangiare il pesce. So solo che il silenzio davanti a tutto questo non mi lascia per niente sereno.

Redazione
© Riproduzione riservata
16/09/2019 09:44:59

Giacomo Moretti

Nato ad Arezzo – Dopo aver assolto agli obblighi di leva comincia subito a lavorare, dalla raccolta stagionale del tabacco passa ad esperienze lavorative alla Buitoni e all’UnoaErre. Si iscrive “tardivamente” all’età di 21 anni alla Facoltà di Giurisprudenza di Urbino dove conseguirà la laurea in corso. Successivamente conseguirà il Diploma presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali. Assolta la pratica forense, nel 2012 si abilita all’esercizio della professione forense superando l’esame di stato presso la Corte d’Appello di Firenze. Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Arezzo esercita la professione forense fino al dicembre 2016. Attualmente si è sospeso volontariamente dall’esercizio della professione di avvocato per accettazione di incarico presso un ente pubblico a seguito della vincita di un concorso. Molto legato al proprio territorio, Consigliere comunale ad Anghiari per due consiliature consecutive. Pur di non lasciare la “sua” Anghiari vive attualmente da pendolare. Attento alla politica ed all’attualità locale e non solo, con il difetto di “dire”, scrivere, sempre quello che pensa. Nel tempo libero, poco, ama camminare e passeggiare per la Valtiberina e fotografarne i paesaggi unici.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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