Opinionisti Claudio Cherubini

Sansepolcro, una città con le idee confuse?

La Città della Cultura della Pace ha inaugurato un monumento a un Arma dell’Esercito italiano

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Dal 16 aprile scorso Sansepolcro ha fra i suoi cittadini onorari anche il Milite Ignoto, rispondendo così con quasi due anni di ritardo all’appello dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) che a sua volta aderiva all’iniziativa del Gruppo delle Medaglie d’Oro al Valor Militare d’Italia che aveva come obiettivo quello di celebrare la memoria del Milite Ignoto in occasione del centenario della traslazione della salma dal fronte della prima guerra mondiale a Roma presso il Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II, Padre della Patria per il suo ruolo svolto nel Risorgimento che portò alla proclamazione del Regno d’Italia.

Al termine della Grande Guerra ci fu in tutta Europa una «frenesia commemorativa» che coinvolse vincitori e vinti con caratteristiche quasi uguali in ogni paese. Ogni morto nella tragedia degli anni 1914-18 aveva il diritto ad avere «il proprio nome inciso pubblicamente», come ha scritto la storica Annette Becker. Anche in Italia il culto dei caduti durante la prima guerra mondiale ebbe una forte rilevanza attraverso simboli, monumenti e commemorazioni espressi in una diffusa e capillare campagna di celebrazioni di massa. Le famiglie più abbienti pubblicarono anche degli opuscoli commemorativi, come già accadeva nei ceti più elevati dell’Italia ottocentesca.

Nel 1921, a tre anni dalla fine della guerra, il Parlamento italiano votò la scelta di rendere omaggio a un soldato sconosciuto, morto nella Grande Guerra che aveva completato l’unificazione dell’Italia. Nella basilica di Aquileia il 28 ottobre 1921 una madre, Maria Bergamas a nome di tutte le madri, scelse tra le undici bare anonime che rappresentavano i fronti di guerra italiani la salma del Milite Ignoto. Quindi il feretro iniziò il lento viaggio in treno verso Roma, con il commosso tributo di ali di folla in ogni stazione, tanta gente piena di speranza per un mondo nuovo di pace. Il 4 novembre, anniversario dell’armistizio dell’Italia con l’Austria, la spoglia venne inumata al Vittoriano diventando simbolo dell’unità della nazione.

Tutti i paesi coinvolti nel conflitto scelsero la figura del Milite Ignoto nel tentativo, spesso riuscito, di integrare il lutto privato e quello collettivo. Con il culto del lutto di massa si sacralizzò l’idea di nazione e di patria nel tentativo di giustificare il sacrificio e il martirio di milioni di persone in quello che era stato un insensato scontro bellico voluto dagli interessi economici (liberali individualistici) e di potere (coloniali imperialistici) delle classi dominanti.

Nel 1922 il fascismo si appropriò della vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale e trasformò i valori della patria e della nazione in nazionalismo fino a condurre l’Italia verso una seconda guerra. Il Milite Ignoto fu assunto come simbolo di un eroe guerriero e popolare, invece che una vittima innocente di «un’inutile strage», come definì la prima guerra mondiale papa Benedette XV (ci furono oltre 15 milioni di morti). La dittatura fascista distrusse ogni forma di memoria (monumenti e lapidi) che nel tenere vivo il ricordo dei morti condannava la guerra.

Nel 1922 vennero istituiti i parchi e i viali della memoria per ricordare con un albero ogni caduto in guerra. A Sansepolcro il parco della rimembranza con il monumento ai caduti vennero costruiti fuori Porta del Castello. Il monumento bronzeo, opera dello scultore Giulio Robbiati, venne inaugurato il 25 giugno 1925 e «lungo la via della Piaggia e lungo quella verso San Leo vennero piantati degli ippocastagni ed ognuno aveva una targhetta con il nome d’uno dei caduti di guerra. Già negli anni quaranta non c’erano più […]», ricorda Fausto Braganti, così come il monumento ai caduti demolito per far fronte alle crescenti necessità militari di metallo della seconda guerra mondiale.

Nelle scuole italiane il regime fascista intitolò istituti e aule scolastiche agli eroi della guerra, impose nel 1925 l’affissione di una targa in ogni aula per rappresentare il sacrificio del Milite Ignoto e nel decennale della vittoria sollecitò anche la presenza di una lampada votiva.

Nel secondo dopoguerra il Milite Ignoto assunse un significato più rappresentativo del nuovo contesto storico, diventando il simbolo di tutti i caduti e i dispersi in guerra, ma nonostante ciò continua ancora oggi la strumentalizzazione retorica, usando il patriottismo per interessi politici di parte. Non si celebrano le paure e le angosce del soldato nelle battaglie, non si racconta la sua vita nel fango della trincea, la durissima disciplina militare e i tanti ammutinamenti e diserzioni. Non si fa comprendere che quei soldati sconosciuti non sapevano perché erano a combattere e per chi dovevano morire. Non si fa un’apologia della pace e non si condannano le guerre. Tutto questo perché il sacrificio dei caduti viene celebrato dai militari, ai quali viene insegnata la cultura della guerra e la forza delle armi. I messaggi di pace che il Milite Ignoto deve portare non possono essere trasmessi dalle alte cariche dell’Esercito, neppure dai pittoreschi bersaglieri che a Sansepolcro in occasione della cittadinanza al Milite Ignoto hanno visto inaugurare un monumento alla loro Arma.

Sansepolcro ormai da tempo ha perso la sua identità e continua ad avere idee molto confuse: la Città della Cultura della Pace ha inaugurato un monumento a un Arma dell’Esercito italiano.

Ma forse le idee sono chiare e Sansepolcro non vuole più essere la Città della Cultura della Pace. Ora che le guerre non sono più imposte dai sovrani, la politica deve trovare argomentazioni per persuadere l’opinione pubblica che si può fare una guerra “giusta”: si parla di guerre necessarie per evitare mali peggiori, per garantire i diritti dei popoli, per difendere i propri confini, così come si faceva alla vigilia della prima guerra mondiale.

A Sansepolcro si erige anche un monumento a un Arma dell’Esercito italiano.  Per caso o volontariamente lo si colloca davanti al monumento dedicato ai caduti di tutte le guerre (realizzato tra il 1959 e il 1960 dallo scultore Renato Marino Mazzacurati in collaborazione con l'architetto Giuseppe Persichetti) e sembra così contrastare quel messaggio di rifiuto alla guerra che l’opera artistica vuole testimoniare. Nella stessa giornata si fa celebrare il Milite Ignoto ai rappresentanti di quell’Esercito che lo ha mandato a morire. Niente da togliere alla memoria dei morti ai quali deve andare tutto il nostro rispetto, ma il messaggio ai vivi doveva essere diverso, più vero e per niente retorico. Chi persegue la pace sa che i militari esistono per imporre la violenza delle armi, sa che le missioni di pace sono in realtà missioni di guerra per garantire la pace del dominante. Chi sa guardare il passato sa che dagli oltre 15 milioni di morti della prima guerra mondiale si è passati ai circa 50 milioni di morti della seconda guerra mondiale e sa che oggi, con lo sviluppo della tecnica e della scienza applicata agli armamenti, uno scontro bellico tra USA e Cina porterebbe alla distruzione del pianeta terra. Chi fa la guerra e la esalta non può essere credibile nel comunicare le necessità della pace. Il messaggio di pace si fa con chi rifiuta la guerra, con chi si sente membro della Patria del genere umano.

Claudio Cherubini
© Riproduzione riservata
09/05/2023 06:33:29

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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