Opinionisti Claudio Cherubini

Federigo Bobini, da assassino ad assassinato

”Per me tanto è cento quanto cinquanta”

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“Sei peggio di Gnicche” dicevano le nostre nonne, rimproverando i nipoti troppo vivaci. Erano cresciute sentendo la leggenda di Federico Bobini, spesso tramandata in ottava rima, in cui molte vicende erano inventate e altri fatti venivano stravolti dalla fantasia, tanto da far diventare questo brigante un gentiluomo e un ladro onesto che che rubava ai ricchi per donare ai poveri. Gli atti giudiziari e le stesse ammissioni di Gnicche davanti ai giudici non ci raccontano la stessa versione della storia, come documentò Enzo Gradassi nel suo libro del 2018 intitolato Sopracchiamato Gnicche, da cui attingiamo per raccontare gli ultimi anni di Federico Bobini e dove si può approndire la storia del più famoso bandito dell’aretino.

A 24 anni Gnicche aveva già passato molti guai con la Legge, quella Legge che aveva cercato con la repressione di indirizzarso sulla giusta strada. Il suo spirito ribelle lo condusse altrove e, da quando quella notte aveva picchiato il padre in un diverbio, era latitante e per vivere, dai piccoli furti e da qualche scazzottata, era passato alle rapine a mano armata.

Nel novembre 1869 resistette, insieme ad altri malviventi, ai carabinieri e nel conflitto a fuoco rimase ucciso un giovane militare. Questo fu il primo omicidio di cui fu accusato il Gnicche. Era a questo punto un fuorilegge pericoloso che ormai esercitava la sua violenza con le armi in complicità con altri. Talvolta veniva anche accusato di reati che non aveva commesso, come ad esempio alcune estorsioni di cui poi si trovò il vero colpevole. Altre volte era incolpato di crimini di cui respingeva l’accusa perché come disse una volta per dimostrare che diceva la verità: “Se io fossi stato l’autore di questo delitto l’avrei confermato, come ho fatto con altri perché per me tanto è cento quanto cinquanta”.

E respinse anche le imputazioni per il duplice omicidio del 24 giugno 1870, per il quale fu incolpato insieme a un complice, seppure in verità dagli indizi raccolti il giudice non aveva elementi certi per quest’accusa. Le maglie della giustizia si facevano sempre più stringenti contro questi “due noti malfattori” che minacciavano “la pubblica sicurezza nei dintorni di questa Città” (Arezzo), “inseguiti sinora infruttuosamente dalla pubblica forza per il facile rifugio che trovano in queste campagne”, come scrisse in un manifesto-proclama il Prefetto di Arezzo il 10 luglio 1870 minacciando chi avesse dato loro rifugio. I “due noti malfattori” erano Federigo Bobini e Agostino Ghiori, detto il Ghiora, anche lui come Gnicche venticinquenne e con un curriculum criminale non da meno di quello di Gnicche, con il quale certe volte si accompagnava negli atti delittuosi.

L’arresto di Gnicche arrivò per una soffiata e fu catturato nella notte tra il 2 e il 3 ottobre in una capanna nei pressi di Santa Firmina. Fu tradotto in carcere dove fu a lungo interrogato. Ma il 17 dicembre con la complicità di una guardia riuscì a evadere insieme ad altri cinque detenuti: Francesco Rossi, 39 anni di Selci (San Giustino umbro), detto Gigetto Romano, perché veniva dallo Stato Pontificio, che era condannato per l’omicidio dell’ingegnere Filippo Tantini (di cui si è accennato nell’articolo “Briganti e disgraziati” in questa rubrica) e che aveva promesso un grosso premio al secondino infedele; l’anghiarese di 32 anni Angelo Bragotti, detto Brutto o il Tarmato; un altro anghiarese di 31 anni David Vettori; Sebastiano Menchiari barrocciaio di Grosseto, originario di Castelnuovo Berardenga; Desiderio Gori, detto Melino, di Arezzo. Il Gori si costituì ben presto, Gnicche e Gigetto si nascosero sul monte Lignano, gli altri tornarono in Valtiberina, dove pochi giorni dopo “sulla via della Libbia che conduce ad Anghiari, nei pressi della Sovara” aggredirono, insieme ad altri due malfattori, il fattore e il sottofattore della Barbolana, trattenendo il primo affinché l’altro andasse a prendere il denaro per il riscatto. Il ritardo del sottofattore fece abbandonare l’ostaggio.

Invece Gnicche l’8 gennaio 1871 alla periferia di Arezzo uccise sulla pubblica strada “un tal Fracassi, a cui lo Gnicche faceva debito di avere contribuito nel decorso ottobre a consegnarlo alla giustizia”, come riportò il quotidiano “La Nazione”.

Anche il terzo omicidio di Gnicche, che avvenne due mesi dopo, l’8 marzo, venne ricollegato a una vendetta, come scrisse il settimanale “La Provincia di Arezzo”: “Questa volta era una povera contadina di Creti, presso Cortona, una certa Assunta Nonfroni ne’ Mencagli, che Gnich con brutalità pari all’impudenza (essendo le ore 10 di mattina) immolava ad un futile e infondato sospetto che quella povera donna avesse aiutato le autorità nelle ricerche contro di lui”. Negli stessi giorni la stampa attribuì a Gnicche, al Ghiora e al Vettori l’aggressione di due coloni di Città di Castello al valico della strada dello Scopetone. Vennero rubati loro soltanto 41 lire e il Gradassi chiosa: “Fossero stati loro, o no, si tratta ancora una volta di un magro bottino (fra l’altro da spartire) sottratto a lavoratori della terra e giammai delle favolose somme di monete d’oro, rapinate ai ricchi e distribuite ai poveri, delle quali sono intessute le inverosimili leggende popolari”.

La sera del 14 marzo a Tegoleto, una pattuglia di carabinieri che probabilmente cercava il Ghiora arrestò Gnicche dopo una breve collutazione. Lo ammanettarono e soltanto quando Gnicche declinò le proprie generalità si resero conto dell’impresa. Secondo la versione ufficiale quando tentò di scappare un carabiniere sparò e ferì il Bobini tanto gravemente che arrivò in caserma cadavere. Secondo l’autopsia il colpo fu esploso a bruciapelo e qualche tempo più tardi il carabiniere che sparò venne sospeso dal servizio dopo che ancora un’altra volta aveva sparato con troppa facilità a un colono scambiandolo per Gigetto Romano.

Il corpo di Federigo Bobini fu composto in un giaciglio nel cortiletto interno dell’Ospedale di Santa Maria Sopra i Ponti e ci fu la ressa per vederlo.

A gloria dei tre militari la salma venne alzata in piedi fra di loro in una posa grottesca che il fotografo Ernesto Bellotti ritoccò per aprire gli occhi di Gnicche e per trasformare il muro del cortile della stanza mortuaria dell’ospedale in un paesaggio di campagna.

Qualche anno dopo sarà Giovanni Fantoni da Ponte a Buriano a immortalare in ottava rima, tra tanta fantasia e qualche verità, la storia di Federigo Bobini d’Arezzo detto Gnicche. Così concludiamo con l’ultima sua ottava: “Vogliono gli Aretin che sia indirizzo, / E riportato a Arezzo al Campo Santo / Benché picchiasse tanto a precipizio, / E li facesse già disperar tanto. / Qui fo fine, e non porto pregiudizio. / Termino quest’istoria e chiudo il canto; / Se feci sbaglio ognun di voi perdoni: / Son di Ponte Burian, Giovan Fantoni.”

 

SECONDA E ULTIMA PARTE

Claudio Cherubini
© Riproduzione riservata
19/11/2022 06:34:37

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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