Opinionisti Claudio Cherubini

Raffaello Conti, detto Sagresto, “sventurato citto” che non dimenticò Battifoco

Neanche ventiquattr’ore dopo Sagresto era davanti alla casa del Tinti a richiedere i suoi soldi

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Raffaello Conti era stato accusato ingiustamente di furto e aggressione da Giuseppe Tinti, detto Battifoco, un ricco possidente, definito un “trappolone” dalla voce di popolo. I giudici al processo che seguì avevano creduto più affidabile la versione del possidente che quella di una contadina analfabeta e di un pregiudicato. In questo modo era stato condannato il Conti, detto Sagresto perché lavorava presso il parroco del suo paese.

Dopo i due anni di carcere, Sagresto fu spedito al domicilio coatto a Lipari dove sarebbe dovuto restare per altri due anni, ma tra furti e violazioni alle restrizioni del domicilio coatto rimase lì una decina d’anni. Da un lato rimuginava l’odio verso Battifoco, «origine di tutte le attuali traversie», dall’altro iniziò a desiderare un fucile «e ad immaginare l’uso che ne avrebbe potuto fare», deduce Enzo Gradassi nel suo libro del 2013 dedicato a quest’ultimo brigante romantico dell’aretino e intitolato Sagresto sventurato citto, da cui attingiamo per raccontare questa storia. A pagina 63 il Gradassi scrive: «Sagresto aveva ormai ventinove anni e si era dato un proprio codice secondo il quale, quando riteneva di aver subito un torto o un abuso, non doveva aspettare che da altri, poliziotti o magistrati, venissero ripristinate verità e giustizia: a suo parere poteva benissimo farlo da solo, con i propri mezzi, senza troppo curarsi delle conseguenze, anche denunce e carcere».

Ai primi di maggio del 1898 ci furono gravi tumulti a Milano: i lavoratori scesero in piazza per protestare  contro le condizioni di lavoro e l’aumento del prezzo del pane dei mesi precedenti (una rivolta covata già nel 1897 e già esplosa in città come Roma, Parma, Firenze). Il governo dichiarò lo stato di assedio e autorizzò ogni mezzo per sedare la ribellione. Il generale Bava Beccaris aprì il fuoco più volte: utilizzò anche cannoni e sparò colpi di mortaio contro la folla, uccidendo oltre 80 persone e anche chi stava facendo la fila alla mensa dei poveri. Per questo “successo” il re Umberto I lo decorò e lo nominò senatore. Il 29 luglio del 1900, a Monza, il tessitore anarchico Gaetano Bresci uccise il re Umberto I per vendicare i morti di Milano. Il successore del “Re Mitraglia”, come lo chiamavano gli anarchici, fu il figlio Vittorio Emanuele III che come segno di riappacificazione con il popolo concesse l’amnistia per alcuni reati.

Solo perché ci fu l’amnistia agli inizi del 1901 Raffaello Conti guadagnò la libertà e dalla Sicilia potè tornare in Casentino, dove conservava però la condizione di sorvegliato e gli obblighi che ne derivavano, dove ritrovò suo padre «nelle solite miserabili condizioni nelle quali lo aveva lasciato […] senza la possibilità di poterlo aiutare in qualche modo», annota nel libro Enzo Gradassi.

Neanche ventiquattr’ore dopo Sagresto era davanti alla casa del Tinti a richiedere i suoi soldi. Arrivarono i carabinieri, lo arrestarono e lui promise al Tinti che non sarebbe finita lì. Battifuoco impaurito assoldò una guardia del corpo, un mezzo delinquente che viaggiava armato, e sentendosi braccato da Sagresto cercò di ammansirlo facendo la carità al padre con qualche lira e un po’ di grano. Ma dopo un po’ disse che aveva già dato abbastanza e tornò tutto come prima. E anche Sagresto ricominciò come prima: incontrò di nuovo il Tinti, gli dette un ultimatum per la restituzione di quelle 75 lire oppure l’avrebbe ucciso. Scaduto l’ultimatum gli tese un agguato mentre tornava dal mercato di Bibbiena: con un pugnale assassinò prima la sua guardia del corpo e poi Battifoco, infierendo su di lui con ben trentasette coltellate. Apparì subito che non si trattasse di un delitto a scopo di rapina e le minacce di Sagresto conosciute da tutti portarono i carabinieri sulle sue tracce.

Tre giorni dopo l’assassinio, sconvolse tutti il fatto che Domenica, una delle figlie del Tinti, festeggiasse con parenti e amici le nozze con Agostino Bonucci di Sant’Apollinare di Pieve S. Stefano. In merito il settimanale “L’Appennino” scrisse un breve articolo dal titolo Funerali…nozze… e fischi: “Domenica sera, dopo solo 72 ore che il ricco possidente Giuseppe Tinti, detto Battifoco, era stato miseramente trucidato insieme al suo guardia sulla via che dalla Zenna conduce a Ponina, la sua figlia Menchina si univa in matrimonio col signor Agostino Bonucci di San Polinoro, Comune di Pieve Santo Stefano. Assistevano agli sponsali il sig. Empirio Ardinghi, collettore postale e cognato del Tinti, il fratello dello sposo invitato ed altri. La sposa vestiva un elegante e ricco abito chiaro. Dopo terminata la cerimonia all’Ufficio di Stato Civile, il corteo si riunì in casa del sig. Ardinghi, dove fu servito un sontuoso rinfresco e dove i parenti ed amici brindarono allegramente per sì liete e auspicate nozze, nonché alla felicità degli sposi. Il pubblico, accorso numeroso alla strana quanto precipitata cerimonia, fischiò sonoramente e senza misericordia le troppo impazienti tortorelle.»

Invece Sagresto, con due omicidi sulle spalle, era il principale ricercato in tutta la provincia di Arezzo e si era dato alla macchia armato di fucile. Per mantenersi inviava lettere di estorsione, come quella pubblicata nel libro di Enzo Gradassi (p. 117): «Prego di mandarmi una somma di denaro che mi necessita bisogno. Ho pensato di scriverti senza presentarmi alla strada, perciò sarà cortese di fare massimo silenzio perché mi trovo sempre vicino e poi potrebbe nascere disordini gravi. Bene mi comprende ciò che voglio dire. Se lei preme di passeggiare silenzio che per me potrà camminare franco. Bene sa quello che tengo sulle spalle. Suo Conti detto Sagresto. Battifoco è il mio amico.»

Dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri, sfuggendo rocambolescamente all’arresto, si rifugiò nei boschi della Valtiberina e raggiunse Sasseto, un podere a circa tre chilometri dalla Fattoria della Barbolana. Qui fu ospitato, ma il contadino intimorito da questo individuo sconosciuto e armato avvertì i carabinieri che arrivarono poco dopo mezzanotte. Ci fu un altro conflitto a fuoco e stavolta Sagresto fu ferito. All’alba agonizzante sulla branda fu portato all’ospedale di Anghiari, ma inutile fu l’intervento chirurgico e in serata Sagresto spirò.

Fu chiamato Fortunato Mondani di Tavernelle a fotografare il cadavere del povero Raffaello Conti: «In quest’ansia di descrizione del bandito morto, quasi una cerimonia pubblica di esorcizzazione del terrore da lui causato e come elemento di curiosità da offrire in pasto a quanti lo avevano tenuto», commenta Enzo Gradassi che aggiunge che «con la morte del pericoloso e sanguinario latitante furono la pietà e l’umanità a darsi alla latitanza». Ad Anghiari come in Casentino ci furono i festeggiamenti per la morte di Sagresto e furono raccolte 342 lire con cui furono acquistati tre orologi da tasca da regalare ai tre carabinieri. Fra i sottoscrittori c’erano anche il Duca di San Clemente, Velluti Zati, proprietario della villa e dei poderi della fattoria della Barbolana e Ippolito Stefanelli, possidente e proprietario anche del mulino di Catorcio.

Sagresto fu sepolto senza alcuna lapide e la sua memoria, come quella di Gnicche, riecheggiò in ottava rima nelle osterie e fra i coloni che coltivavano i campi o pascolavano gli animali.

Claudio Cherubini
© Riproduzione riservata
26/02/2023 11:45:16

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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