Il futuro altrove
Il passaggio dal mondo contadino al lavoro in fabbrica negli anni ’50-’70
A Sansepolcro esiste un luogo dove si può dialogare con il futuro: è la ex caserma dei Carabinieri in via Aggiunti, nel centro del paese. Qui dal 2013 l’associazione CasermArchelogica ha riconquistato alla città uno spazio per la promozione culturale, dove il termine cultura va inteso nel senso più ampio di patrimonio di conoscenze, di esperienze, di stili di vita materiale e spirituale di una comunità. Così CasermArcheologica rappresenta il luogo migliore per presentare il libro curato da Giorgio Sacchetti (Università di Firenze), intitolato “Il futuro altrove”, edito dalla Società Storica Aretina.
Sabato 11 giugno alle ore 17 si racconterà l’idea di futuro che avevano le generazioni dei nostri nonni e dei nostri genitori che, vissuti sotto il fascismo e durante la seconda guerra mondiale, si ritrovarono nell’Italia del boom economico. Sviluppo industriale che a Sansepolcro era trascinato dallo stile di vita “guidato” dal pastificio Buitoni. E poiché la storia della Buitoni di Sansepolcro è terminata, così come quella di molte altre realtà industriali protagoniste della vita italiana nella seconda metà del Novecento, si tenterà di parlare anche di qual è il “futuro altrove” oggi.
Non è un caso che la presentazione del libro “Il futuro altrove” avvenga a chiusura di un’importante mostra allestita negli spazi di CasermArcheologica sulle testimonianze di voci e ricordi degli operai del pastificio Buitoni. La mostra si potrà visitare alle ore 16, prima della presentazione del libro, e per l’occasione sarà a ingresso gratuito.
Ilaria Margutti, una delle anime di CasermArcheologica insieme a Laura Caruso, sintetizza bene il significato degli eventi che CasermArcheologica ha finora organizzato, le cui testimonianze sono documentate in due eleganti “Almanacchi”: «è una storia che vogliamo guardare da lontano, con lo sguardo di chi, alla fine di tutto, sarà forse in grado di porsi le domande giuste per comprendere la complessità di un vissuto che da dentro non può ancora trovare né risposte né direzioni». Sulla scia di tutto ciò che fa CasermArcheologica s’inserisce perfettamente l’iniziativa di “Il futuro altrove”.
Il Novecento si era aperto con la ricerca di un futuro altrove, spesso all’estero, da parte di tanti emigranti alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nel secondo dopoguerra invece l’idea di futuro si rivolse soprattutto verso il lavoro nelle fabbriche industriali per riscattare una dignità umana spesso frustrata nel rapporto mezzadrile delle campagne e conquistare un’autonomia individuale ed economica. Le nuove generazioni misero in discussione la famiglia patriarcale, ma non si distaccarono mai completamente dal mondo contadino dove spesso facevano ritorno. Tornavano ‘a dare una mano’ ai genitori o ai parenti rimasti in campagna, almeno fino a tutti gli anni Settanta, in particolare nei momenti topici del ciclo delle attività agricole come la battitura del grano, la raccolta del tabacco, la vendemmia, la ‘spezzatura’ del maiale. Momenti della vita contadina in cui le famiglie si aiutavano le une con le altre e dove tutti partecipavano ognuno con le proprie mansioni e con il proprio ruolo sociale. Ora però i giovani occupati nel lavoro in fabbrica, seppure non rinnegando le proprie origini né tantomeno i legami affettivi, con i loro comportamenti si conformavano alla modernità, incrinando i rapporti socioculturali delle campagne e facendoli così diventare sempre più anacronistici. Rassicurati dal reddito che offriva il lavoro in fabbrica molti operai e impiegati acquistarono o costruirono una nuova casa. La maggior parte di loro, sia che abitassero dentro le mura o nell’immediata periferia che si stava formando, non rinunciarono all’orto sotto casa, o comunque lì nei pressi, retaggio di una tradizione fondata sull’autoconsumo. E nell’orto non poteva mancare uno spazio per un pollaio e una gabbia per l’allevamento dei conigli; talvolta c’erano pure i piccioni nel sottotetto di casa. Un legame con le origini contadine e mezzadrili che nei primi decenni del secondo dopoguerra ancora si manifestava anche nella produzione del vino e nella macellazione del maiale: nel fondo di casa, oltre l’utilitaria, spesso c’era posto per un tino per far bollire il mosto in autunno e in soffitta si potevano stendere le salsicce e far stagionare il prosciutto.
Negli anni Settanta il processo che conduceva verso la modernità era diventato comunque irreversibile, il lavoratore dell’industria era un soggetto di anno in anno sempre meno legato alla terra, mentre permaneva la necessità di integrare il reddito comunque insufficiente, soprattutto nella nuova ‘famiglia nucleare’, che l’inurbamento aveva prodotto. Ben presto l’entusiasmo di far parte della modernità, di lavorare in un’azienda di successo, di creare il proprio benessere economico e quello della società in una prospettiva di un futuro migliore, si scontrò con una conflittualità di classe accentuata dalla crisi economica di fine anni Settanta che condusse molte aziende verso un forte ridimensionamento o verso la chiusura.
Di questa transizione dal mondo contadino a quello della fabbrica e della disillusione del mondo industriale di fine Novecento, si parlerà sabato 11 giugno negli spazi di CasermArcheologica attraverso cinque casi vissuti in provincia di Arezzo: la Lebole di Arezzo, la Buitoni di Sansepolcro, la Bianchi di Subbiano, lo Zuccherificio di Castiglion Fiorentino e la Società Mineraria del Valdarno. Analizzerà questi casi studio Stefano Bartolini, direttore della Fondazione Valore Lavoro e della rivista “Farestoria”. Parteciperanno anche l’assessora alla cultura del comune di Sansepolcro, Francesca Mercati, la direttrice di CasermArcheologica, Laura Caruso, il presidente della Società Storica Aretina, Luca Berti ed alcuni degli autori dei saggi contenuti nel libro.
Claudio Cherubini
Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.
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