La misura del tempo
Borgo Sansepolcro possedeva il suo orologio pubblico fin dalla fine del XIV secolo
Fin dall’antichità i filosofi si sono interrogati sul significato del tempo. Famosa è l’affermazione di sant’Agostino che nelle Confessioni si chiede cos’è il tempo e risponde «Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio, però, spiegarlo a chi me lo chiede, allora non lo so più». Tuttavia, come scrisse David S. Landes, alla maggior parte degli uomini interessa soltanto poterlo misurare. Chi vive in una società rurale non ha bisogno di una divisione del tempo molto accurata perché il suo tempo è scandito dagli eventi naturali: una sequenza di doveri nell’arco della giornata impegnata nell’accudimento degli animali e dei campi che inizia all’alba e, andando dietro l’arco del sole, termina al tramonto e varia con il ritmo delle stagioni. Invece chi abita in città misura il tempo con l’orologio perché deve arrivare “in tempo” al lavoro o a scuola, deve interagire con i suoi simili e attraverso la misurazione del tempo fa funzionare la società dando così seguito ai propri impegni personali. In sintesi: «l’orologio non è solo uno strumento per fissare la traccia delle ore che passano, ma un mezzo per sincronizzare le azioni degli uomini» (Lewis Mumford). Attraverso l’orologio meccanico gli uomini resero possibile, «nel bene e nel male, una civiltà attenta allo scorrere del tempo, e, conseguentemente, alla produttività e al rendimento» (David S. Landes).
Nell’Europa occidentale verso la fine dell’XIII secolo, in un ambiente culturale dove astronomi e astrologi tentavano di ricostruire i movimenti delle stelle e dei pianeti, dove la meccanica applicata era quanto mai innovativa e creativa, l’orologio meccanico nacque quando fu inventato quel meccanismo che è conosciuto col nome di scappamento a verga con regolazione a “foliot”. Si tratta di un meccanismo con ruota dentata a corona (scappamento), nella quale si inseriscono delle palette (foliot) che la fanno avanzare a intervalli regolari.
I primi congegni meccanici per misurare il tempo si diffusero subito nel basso medioevo nei borghi e nelle città, dove le prime botteghe di arti e mestieri imposero la necessità di un’accurata divisione del tempo per la redditività delle imprese e per il comune benessere. Così l’ora da sessanta minuti iniziò a sostituire la giornata che fino ad allora era stata l’unità di misura del tempo di lavoro. Pur tuttavia l’orologio per tutto il XVIII secolo non venne apprezzato per la sua utilità pratica e addirittura in culture lontane come quelle asiatiche e soprattutto in Cina le ‘campane che suonano da sole’ furono viste più come un giocattolo divertente e furono abilmente sfruttate dai Gesuiti per introdursi fino dentro il palazzo imperiale.
In Europa però erano le comunità a essere orgogliose di possedere un orologio pubblico, nonostante il notevole impegno finanziario sia per costruirlo sia per mantenerlo in esercizio; un meccanismo che battesse le ore e spesso anche i quarti doveva essere udito da ogni parte del borgo e dare prestigio e lustro alla città, anche se mancava di precisione e talvolta anche della lancetta dei minuti. Poi nel corso del Seicento, il progresso tecnologico migliorò notevolmente la precisione media degli orologi meccanici, prima fra tutti fu «l’introduzione del pendolo come dispositivo di scappamento al posto della verga di foliot» (Carlo M. Cipolla).
Anche nei borghi della Valtiberina spuntarono questi apparecchi per la misurazione del tempo probabilmente tra il XIV e il XV secolo, come ci illustrano le ricerche sugli Antichi orologi da torre nella provincia di Arezzo di Renzo Giorgetti.
Borgo Sansepolcro possedeva il suo orologio pubblico fin dalla fine del XIV secolo ed era collocato sopra il Palazzo della Residenza dei Conservatori e Gonfalonieri. La prima notizia risale al 1419 quando Antonio di Matteo del Comesso di Borgo Sansepolcro lo aggiusta. Questo antico congegno venne rimpiazzato con uno nuovo nel 1528, costruito dall’orefice cittadino Alessandro di Piero del Norchia. Negli anni Sessanta e Settanta del XVI secolo furono effettuati interventi di manutenzione agli ingranaggi che ormai erano logori in modo che tornasse a suonare ogni 12 ore, fu riparata la campana sulla quale risuonava il martello dell’orologio, fu sostituito il quadrante esterno che era scolorito e non più leggibile e fu fatta ricoprire con lamine d’oro la lancetta delle ore che era forgiata a forma di stella «perché stando senza oro pareva cosa brutta», cita Renzo Giorgetti dalla delibera del 1571. Successivamente, nel 1619, fu deciso di traslocare l’orologio dalla torre della Residenza alla torre di piazza perché fosse più visibile e udibile da lontano. L’operazione fu fatta da Bartolomeo Panatti di Roncofreddo, Alessandro Salvadori detto Travaglino dipinse il quadrante e Fulvio Bassani lo indorò. Ovviamente negli anni successivi fu riparato più volte. In diverse occasioni intervenne Giuseppe Bertini, come alla fine del 1731 quando fu constatato che erano molti anni che l’orologio non batteva più l’ora giusta. Sopravvisse fino al 1756 quando fu sostituito da un nuovo congegno costruito dall’orologiaio fiorentino Giuseppe Bargiacchi. Nel 1778 venne riparato da Baldassarre da Cirignone e Domenico Cardelli che si impegnarono a mantenere funzionante il meccanismo per 12 anni. Il forte terremoto del 3 giugno 1781 danneggio gravemente la torre e Federigo Rigi si offrì di trasferire l’orologio sul campanile di San Francesco dove vi rimase fino all’ottobre dell’anno successivo. Nel corso dell’Ottocento si susseguirono i normali interventi di riparazione fino a quando nel 1893 l’orologio della torre di Berta venne sostituito per la quarta e ultima volta. Già l’anno precedente erano arrivate agli amministratori comunali le prime lamentele sull’impreciso funzionamento dell’orologio pubblico e gli stessi non si erano limitati a richiamare al dovere il regolatore, bensì avevano pensato subito all’acquisto di un nuovo e più funzionale meccanismo per misurare il tempo. Il nuovo congegno venne fornito dall’orologeria Zanchi, che aveva il negozio lungo la via Maestra e che oltre alla vendita e all’installazione offrì anche «di prestare il servizio gratis pei primi tre anni per caricarlo e ripulirlo» come scrisse Ugo Zanchi al sindaco. Agli inizi del 1893 il nuovo meccanismo per misurare il tempo dei borghesi entrò in funzione, collaudato da Angiolo Gonnelli, orologiaio di San Giustino. Alla scadenza del triennio, l’amministrazione comunale scelse di affidare nuovamente a Ugo Zanchi la gestione dell’orologio della torre civica, compito che non doveva essere sottovalutato perché, nonostante ormai sei secoli di notevoli progressi tecnici, la precisione del meccanismo che misurava il tempo non era ancora così perfetta d’accontentare la crescente industrializzazione che imponeva una sempre maggiore puntualità. Lo stesso Silvio Buitoni, titolare insieme ai fratelli dell’importante pastificio di città, si lamentò con il sindaco nel 1902 con queste parole: «Da circa otto giorni l’orologio pubblico va indietro col telegrafo e con la stazione di 7 o 8 minuti. Stamattina a mezzogiorno era col telegrafo 11 minuti indietro, e questo porta gravissimo danno ai viaggiatori ed a chi ha continui rapporti con la Ferrovia come appunto ha la nostra Ditta. Preghiamo provvedere a questo inconveniente non soltanto per oggi ma per il seguito che sia controllato giornalmente l’orologio pubblico con quello dell’ufficio telegrafico governativo. Con il dovuto ossequio». L’orologio dello Zanchi andò distrutto insieme alla torre di Berta all’alba del 31 luglio 1944 per opera delle mine tedesche.
Per completezza, un altro orologio da torre a Sansepolcro si trova sul campanile della cappella del convitto Regina Elena, ex INADEL, inaugurato nel 1937.
Claudio Cherubini
Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
Commenta per primo.