Opinionisti Claudio Cherubini

Stabilimento Luigi Bertuzzi

Costruito 100 anni fa e demolito nel 1999

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Agli inizi degli anni venti del secolo scorso sorse a Sansepolcro la «fabbrica di mattonelle e lavori vari in cemento» di Luigi Bertuzzi, ubicata lungo via Vittorio Veneto. Sembra che l’attività del bolognese Luigi Bertuzzi fosse già avviata da qualche anno. In ogni caso, come si legge nella delibera del 20 dicembre 1919 del regio commissario, che a quel tempo guidava l’amministrazione comunale, venne accettata la «Domanda della Ditta Bertuzzi per concessione in affitto di un appezzamento di terreno di proprietà comunale», con l’impegno da parte del Bertuzzi di «costruirvi uno stabilimento per la lavorazione del cemento». Nella delibera si legge anche: «L’area da concedersi in affitto posta fuori Porta Fiorentina e precisamente a sinistra di detta porta lungo il viale della stazione ferroviaria sarà di una superficie di metri quadrati seicentotto (608) e avrà la durata di anni 15 rinnovabili salva preventiva disdetta di mesi 6 da ambo le parti» e canone di 150 lire annue».

Di fatto lo sviluppo di quest’area era già stato deciso negli anni della Grande Guerra per la comodità della stazione ferroviaria che poteva garantire agevolmente la spedizione della merce e il ricevimento dei materiali di fornitura. Infatti nel 1917 diversi terreni di proprietà comunale posti lungo le antiche mura erano stati concessi gratuitamente al Commissariato Generale per i Combustibili Nazionali «per la costruzione delle baracche e capannoni in legno e muratura».

L’area concessa al Bertuzzi era di fronte, ma quando nel 1921 il Commissariato cessò l’attività, e il comune di Sansepolcro permise l’insediamento nei capannoni dismessi di molti piccoli laboratori artigianali, anche il cementificio Bertuzzi potè ampliarsi disponendo così anche di questi locali dall’altra parte del Viale della Stazione,.

In questi anni l’azienda, in cui si sperimentavano i primi manufatti in calcestruzzo leggermente armato, era in crescita come documentano anche i livelli occupazionali: nel 1923 c’erano 8 operai, l’anno successivo erano 10, ma nel 1925 dava lavoro a 19 operai che diventarono 28 nel 1926 e 31 nel 1928. Il personale era completamente di sesso maschile: soltanto nel 1927 si contarono 5 donne.

Il cementificio ricavava la materia prima per le proprie lavorazioni dal Tevere e, quando dal 18 settembre 1927 l’ingegnere capo del Genio Civile di Arezzo vietò «di estrarre abusivamente ciottoli, ghiaia e rena dal letto del fiume Tevere lungo il tratto compreso fra lo sbocco del torrente Singerna e il ponte della strada di prima classe “Arezzo-Sansepolcro”» il Bertuzzi dichiarò che veniva così a mancare quel materiale non «sostituibile qui in zona con altre rene»; inoltre minacciò la chiusura dell’azienda con la conseguente perdita del posto di lavoro per «oltre sessanta operai», occupati per tutto l’anno. Evidentemente considerava anche l’indotto (operai addetti all’estrazione e addetti al trasporto, ecc.) e magari aveva arrotondato per eccesso per dare più enfasi alla sua protesta e poter continuare l’estrazione della rena dal Tevere. Intorno allo stabilimento del Bertuzzi nel frattempo erano sorte nuove industrie. Verso la stazione ferroviaria il cementificio confinava con la fabbrica di mattonelle della Società F.I.A.M.M.A (Fornaci Industria Argilla Manifattura Mattonelle Artistiche), costituita a metà degli anni venti. Di fronte alla F.I.A.M.M.A, attraversando la via del Prucino, nel 1925 era entrata a regime l’attività della fabbrica di conserve alimentari Resurgo. Verso Porta Fiorentina Bertuzzi confinava con la distilleria U.V.A. (Utilizzazione Vinacce Alcooliche).

La crisi economica dei primi anni trenta coinvolse anche il settore edilizio e il cementificio licenziò 20 operai, ma già a metà del decennio i livelli occupazionali erano tornati intorno ai 40 addetti.

L’azienda Bertuzzi era ormai una società anonima e stava contribuendo allo sviluppo economico di Sansepolcro. Fra le altre iniziative nel 1928 aveva aderito anche alla richiesta del podestà che cercava almeno 25 abbonati per poter istituire una rete telefonica urbana. Alla ditta Bertuzzi fu attribuito il numero di telefono 21.

In una pubblicità del 1930 si leggono anche i beni e i servizi forniti da Luigi Bertuzzi: «Stabilimento per la fabbricazione di mattonelle a Mosaico Lavori in Cemento Armato Tubi – Blocchi Impresa Costruzioni Edilizie Deposito Cementi – Gessi – Eternit e Laterizi».

Nel libro Borgo inedito di Gio Bini leggiamo che nel 1950 diventarono proprietari Osvaldo e Mario Valentini che continuarono l’attività fino al 1965.

Oggi a raccogliere l’eredità del Bertuzzi è la ditta di Chimenti Mirco, figlio di Nerio che era genero di Luigi Bertuzzi e con il quale collaborò fin dal periodo fra le due guerre.

Invece nell’agosto del 1999 la fabbrica di Luigi Bertuzzi costruita nel 1920 fu demolita per far posto a una palazzina residenziale che della costruzione in stile Liberty dello stabilimento Bertuzzi conserva i tre archi del corpo centrale.  Era una bella costruzione che l’architetto Giovanni Cecconi definì «la più significativa testimonianza architettonica di stile Liberty esistente a Borgo Sansepolcro» e «di un certo pregio architettonico che si armonizzava con le villette ivi esistenti». Denunciò anche che «l’indifferenza e l’ottusità culturale sono un precipuo patrimonio di una larga fascia dei cittadini del Borgo», anche se non si può «fare di ogni erba un fascio». Infatti la Commissione Edilizia nel 1994 aveva chiesto che fosse rispettato il prospetto Liberty su viale Vittorio Veneto, ma la Commissione è un organo consultivo con pareri non vincolanti. Le forze politiche (maggioranza e minoranza) permisero a tecnici professionisti di poco scrupolo e nessuna sensibilità culturale di arrivare a farsi approvare la «ridicola decisione di lasciare in vita i soli tre archi centrali del vecchio complesso architettonico, spogliati di ogni  sovrastruttura ‘Liberty’», commentò l’architetto Cecconi, che «impoveriti, segati e smontati» furono ricollocati nel nuovo edificio. A questi tre archi sarebbe demandato il ruolo di ricordare l’importanza dell’edificio del Bertuzzi sia per l’architettura di Sansepolcro sia per la storia dello sviluppo economico del Borgo. Già nel 1992 era stata azzerata la memoria del lavoro al pastificio Buitoni con la demolizione dello stabilimento e la costruzione del Centro Valtiberino, senza realizzare alcun progetto di riuso funzionale che permettesse una rilettura  delle condizioni di lavoro delle migliaia di operai che  sono passati in quell’area.

Oggi del pastificio Buitoni resta una ciminiera mozzata e del cementificio Bertuzzi tre asfittici archetti. A Sansepolcro il gusto per il bello si è perso nell'interesse economico e l'archeologia industriale con le sue scelte di conservazione e riuso funzionale non è mai arrivata. Nel 2000 dopo la demolizione della palazzina Liberty della ditta Bertuzzi, l’architetto Giovanni Cecconi avanzò polemicamente la proposta di esporre i tre archetti «quale reperto urbano dei primi del Novecento, nella ‘Sala delle Pietre’ del museo cittadino a perenne memoria di uno scempio architettonico  e ambientale che, per volontà della cittadinanza e del potere, non si dovrà mai più ripetere».

Ora l'ultima occasione per valorizzare un altro importante patrimonio architettonico e artistico e la storia di tanti operai, sarà la valorizzazione del complesso che ha accolto per 134 anni il magazzino dei tabacchi nell’ex Convento degli Osservanti. Sarà l’ultima occasione per fare un monumento del lavoro di Sansepolcro, per collegare le espressioni artistiche realizzate tra il Quattrocento e il Cinquecento e l’espressioni tangibili delle condizioni di vita, di lavoro e di relazione della nuova realtà economica sorta con la lavorazione del tabacco.

Speriamo…

Redazione
© Riproduzione riservata
25/08/2020 17:35:39

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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