Opinionisti Claudio Cherubini

Quell’estate del ‘45

La ripresa economica di Anghiari e il ritorno dell’energia elettrica nella valle

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Nell’estate del 1945 la voglia di rinascita percorse tutta l’Italia e anche la Valtiberina fu investita dall’entusiasmo per la riconquistata libertà.

Tra le prime delibere della giunta municipale di Anghiari il 6 giugno 1945 venne concesso in affitto, per cinque anni al canone di 1000 lire a Bruno Mangoni e Desiderio Allegretti, il locale del comune posto in piazza IV Novembre, già adibito a palestra, “per impiantarvi una lavorazione di calzature” che, secondo gli auspici, avrebbe apportato “dei sensibili benefici” dando lavoro ad “almeno una parte della manodopera […] disoccupata”, come si legge nei verbali della Giunta comunale.

Nell’autunno del 1945 la situazione economica di Anghiari era così descritta dal sindaco Ezio Bigi: “Il Comune è prettamente agricolo, esistono varie industrie boschive per il taglio della legna e la produzione di carbone ed un piccolo lanificio che occupa n° 6 operai di sesso maschile e 7 di sesso femminile”. In realtà la situazione era più articolata perché oltre al lanificio del Busatti, c’erano piccoli opifici e botteghe artigiane: 15 mulini da cereali mossi da forza idraulica di cui due che in più avevano anche un palmento mosso ad elettricità (il mulin d’Agnolo e quello di Tavernelle), un mulino  elettrico a palmenti (in località Palazzo), il mulino elettrico al centro del paese di Giuliano Martini, cinque fornaci, tre frantoi, due armaioli, cinque fabbri, tre meccanici, otto falegnami, tre bottai, tre carrai, un marmista, due muratori, uno scalpellino, due stagnini, sette magliettaie, tre fornai. Nonostante ciò la manodopera occupata ascendeva solamente a circa 200 addetti, mentre quasi altrettanti erano i disoccupati. Così anche ad Anghiari, come da tutta la Valtiberina, ripresero le emigrazioni alla ricerca di un lavoro anche all’estero: soprattutto Francia, Germania e America.

Ad Anghiari il nuovo sindaco denunciò fra l’altro anche il malcontento per la difficoltà di macinare grano e, nell’interesse della popolazione, chiese ed ottenne la scarcerazione di Giuliano Martini, “proprietario e gestore dell’unico molino elettrico da cereali esistente nel capoluogo”, evidenziò il sindaco al prefetto, che era detenuto presso il carcere mandamentale di Sansepolcro “per aver venduto farina di grano ad un commerciante di Firenze, a prezzo di mercato nero”. Tuttavia la violazione della legge sulla macinazione dei cereali era assai frequente e solo raramente veniva riscontrata dalle autorità: ad Anghiari, nel dicembre 1945 vennero sospesi i mugnai Vincenzo Bevignani e Dante Giuliattini. I due mulini dovevano restare chiusi oppure i due gestori sostituiti da un altro non parente del mugnaio: per il mulin Vicino, detto anche mulin Bianco, venne proposto Saro Draghi al posto di Bevignani; per il mulino di Tavernelle venne indicato Giuseppe Casi per rimpiazzare il Giuliattini.

Ma in quell’estate del ’45, per la “straordinaria siccità” i mulini non avevano acqua per macinare e così il sindaco di Anghiari richiese “l’autorizzazione ad usufruire della energia elettrica anche nelle ore diurne” per il mulino di Giuliano Martini. Anche nella valle del Sovara il fatto che il mulin d’Agnolo era rimasto inattivo fino a marzo per mancanza di acqua stimolò l’apertura, in località Palazzo, di un piccolo mulino elettrico a palmenti che Carlo Gallai impiantò nella propria abitazione. L’attività, con una potenzialità giornaliera di oltre 10 quintali, era gestita da Natale Corazzini e cessò nel 1957.

Comunque in questo periodo la fornitura dell’energia elettrica non era ancora costante, mentre le richieste erano in forte crescita. Perfino il pastificio Buitoni di Sansepolcro nel settembre del 1945, a causa della poca disponibilità di energia elettrica, non potè consegnare la pasta. Allo stesso modo il servizio di fornitura di energia elettrica per uso civile era ancora precario nell’estate del 1945. Come scrisse il giornalista scrittore Gianfranco Vené “l’Italia dell’autunno inverno 1945 era un paese semibuio, ma pochi lo ricordano così: la fine dell’oscuramento antiaereo totale illuminò la memoria di inesistenti bagliori”.

Nella frazione anghiarese di Micciano, l’energia elettrica tornò alla fine di giugno, ma solo perché la popolazione partecipò attivamente alla ricostruzione delle linee, pagando due operai, le antenne mancanti e il filo asportato durante la guerra.

A Pieve S. Stefano, invece ancora sul finire del 1945 si tentava in ogni modo di riattivare l’energia elettrica. Così visto che la Selt Valdarno non era riuscita a ripristinare ancora le linee elettriche, il nuovo sindaco comunicò che il comune stava provvedendo da sé: “Poiché questo Comune ha urgente necessità prima della stagione invernale di assicurare l’energia elettrica alla popolazione e d’altra parte essendo rimasti sempre infruttuosi i nostri appelli a codesta Società, abbiamo provveduto a nostre spese alla costruzione di una  linea elettrica che attingerà energia dal «Pozzale» della Ditta Santini Lino la quale è in condizioni, per il momento, di fornire fra breve tempo l’energia sufficiente per questo Comune”. Tuttavia mancava un trasformatore per la cabina elettrica che venne richiesto alla Selt Valdarno, ma ancora a fine anno persistevano i problemi per ottenere energia elettrica come si legge nelle recriminazioni che il  sindaco rivolse al prefetto: “La Centrale Elettrica Santini posta in località Pozzale di questo Comune sarebbe in condizioni tali da poter essere allacciata e potrebbe fornire la forza motrice necessaria all’azionamento delle piccole attività industriali di questo Comune, purché alla Ditta stessa fosse fornito da parte della Selt Valdarno un interruttore ad olio che il Santini non ha potuto trovare”.

A Sansepolcro l’elettricità era tornata già nel 1944 attraverso un generatore di corrente degli Alleati, collegato con un vecchio trattore. Così Arduino Brizzi racconta come fu risolto il problema della mancanza di energia elettrica: “Nei primi due mesi che seguirono l’arrivo degli inglesi, l’illuminazione delle case venne assicurata a mezzo di un trattore, situato all’interno della ex chiesa di San Giovanni, in Via G. Buitoni, che metteva in funzione un generatore di corrente alternata collegato con la rete pubblica. L’energia elettrica venne inizialmente erogata a turni: una sera alla zona di Porta Romana e un’altra a quella di Porta Fiorentina. L’ingegnoso impianto, ideato e realizzato dal concittadino Pietro Magi detto il Mégo, riusciva a compiere il miracolo di far accendere le lampadine. La loro luce, anche se debole e rossastra, simbolizzò un poco il graduale ritorno alla normalità. Anche il cinematografo (al Teatro «Dante») veniva fatto funzionare con analogo metodo da un altro trattore posto dentro un fondo di Via San Niccolò. Il suo rumore arrivava sin all’interno della sala di proiezione. Prima che avesse inizio l’inverno la rete cittadina venne di nuovo alimentata da energia elettrica proveniente da impianti situati nell’Umbria e nelle Marche. Il fronte si era nel frattempo spostato a nord e correva dalla Versilia alle Valli del Senio, in Romagna. Poiché il pericolo di bombardamenti aerei da parte dei tedeschi era del tutto remoto, essendo la Luftwaffe pressoché scomparsa dai cieli italiani, anche le strade poterono di nuovo essere illuminate”

Successivamente la SELT Valdarno ripristinò le linee elettriche della valle ed anche in Valtiberina, come nel resto dell’Italia, furono ricostruiti gli impianti elettrici distrutti e danneggiati dalla guerra, senza che lo Stato avesse fornito alcun contributo, anzi frenando gli investimenti con una politica tariffaria che deprimeva i prezzi dell’energia.

La foto è dell’Archivio Fotografico Livi di Pieve S. Stefano ed è tratta dal libro: Pieve 1944 il paese cancellato, a cura dell’Associazione Culturale Antiche Prigioni, Centro Studi Storici e Ricerche Archeologiche e Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, Pieve S. Stefano 2008.

Redazione
© Riproduzione riservata
11/07/2020 08:38:43

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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