Opinionisti Claudio Cherubini

Il fascino delle bollicine

Sempre presente a ogni ricorrenza e per celebrare con un brindisi un evento importante

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Il vino con le bollicine è sempre presente a ogni ricorrenza e per celebrare con un brindisi un evento importante.

Un po’ di storia

Questo vino si dice che ebbe origine nella regione francese denominata Champagne dopo il 1670 dal lavoro dell’abate Pierre Pérignon. Numerose sono le ipotesi di come giunse a ottenere il vino che poi prese il nome dalla regione di origine. Una congettura interessante è quella che racconta che, poiché nella Champagne l’inverno è rigido, l’imbottigliamento avvenisse con un importante residuo zuccherino perché il freddo bloccava la fermentazione alcolica e che quando arrivava la primavera ripartiva anche la fermentazione, si produceva anidride carbonica, e alcune bottiglie non reggevano la pressione e si spaccavano. Una fantasia che si conclude con l’abate Pierre che trovò, oltre un vetro che potesse sopportare una seconda fermentazione senza esplodere, anche un metodo per produrre del buon vino con le bollicine da diffondere presso le corti europee. Però la storia ci racconta che vini frizzanti c’erano già al tempo dei greci e probabilmente anche prima. Il vino frizzante non va confuso con il vino spumante di oggi, ma di sicuro i romani già producevano un vino con la rifermentazione programmata nelle anfore di terracotta allo stesso modo di Dom Pérignon ben sedici secoli prima.

Successivamente la rifermentazione è stata perfezionata e recentemente siamo arrivati a quella in autoclave impiegata per quasi tutti i rinomati vini Prosecco, ma purtroppo per i francesi non sono loro gli inventori del vino spumante. Intanto non dimentichiamo Francesco Scacchi, il medico e cronista di Fabriano vissuto a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, che nel 1622 descrisse dettagliatamente il metodo per spumantizzare il vino in bottiglia e cioè come trasformare il vino fermo in frizzante con l’aggiunta di mosti o uve passite. Poi gli inglesi intorno al 1658 già conoscevano la pratica della rifermentazione con il fine di creare le bollicine, aggiungendo zucchero ai vini provenienti dalla Champagne che forse erano già in parte rifermentati. In Francia con Dom Pérignon si iniziò a migliorare questi metodi. Ai produttori francesi dello Champagne va riconosciuto il merito del lavoro svolto per la qualità di questo vino, dall’allevamento della vite alle cuvée, e per la sua promozione commerciale. Per citare dei singoli produttori di Champagne possiamo ricordare Madame Clicquot che nel 1818 inventò la tecnica del remuage che permetteva di eliminare per gravità i lieviti necessari per lo sviluppo delle bollicine, ma che fino ad allora avevano intorbidito il vino, e Adolphe Jacquesson che nel 1844 brevettò la capsula metallica permettendo al tappo di resistere a una pressione superiore consentendo un maggior sviluppo di bollicine. Il vino spumante che beviamo oggi è il risultato di un’evoluzione secolare a cui molti hanno contribuito e che ha visto il punto di svolta, come tutta l’enologia moderna, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento con lo studio sui lieviti del chimico francese Louis Pasteur che dimostrò che la fermentazione non era un processo chimico naturale come si credeva fino a quel momento, bensì un processo prodotto da microrganismi e in particolare dai lieviti e in pratica scoprì che per fare del buon vino occorreva eliminare gli organismi indesiderati.

Il vino spumante oggi

Secondo la normativa vigente occorre distinguere i vini spumanti dai vini frizzanti: i vini spumanti sono soltanto quelli che in bottiglia alla temperatura di 20°C sviluppano una pressione minima, dovuta all’anidride carbonica, di 3 atmosfere; tutti gli altri sono vini frizzanti. Negli spumanti di qualità questa anidride carbonica viene prodotta in modo naturale tramite una seconda fermentazione dopo quella avvenuta per la produzione del vino di base.

I vini spumanti più prestigiosi sono quelli francesi, italiani e spagnoli. Oltre allo Champagne francese e al Cava spagnolo, ci sono i crémant che sono gli altri spumanti francesi prodotti al di fuori della regione Champagne e gli spumanti italiani che vengono principalmente da cinque “zone spumantistiche”: nell’astigiano in Piemonte, in Trentino, in Veneto e in due zone in Lombardia, una nell’Oltrepò Pavese e l’altra in Franciacorta nella parte sud-orientale del lago d’Iseo.

Per ottenere uno spumante di qualità è fondamentale partire da un vino di base di qualità. Si possono miscelare anche vini di base provenienti da diverse vigne, da diversi vitigni, da uve a bacca bianca e a bacca nera, nonché di annate diverse. Se un’annata prevale di almeno l’85%, quello spumante si potrà dire Millesimato e si troverà l’indicazione dell’annata sull’etichetta. Questa miscela, o cuvée, è importante per determinare le caratteristiche organolettiche di uno spumante e per distinguerlo dagli altri. Fatto questo assemblaggio il vino deve fare una seconda fermentazione. Anche i metodi per indurre la seconda fermentazione produrranno caratteristiche organolettiche molto diverse. I metodi sono principalmente due: il metodo classico o Champenoise e il metodo Martinotti o Charmat. Con il metodo classico si avrà uno spumante dove i sentori legati ai lieviti sono più pronunciati a seguito della lunga permanenza del vino sui lieviti; inoltre per far sì che gli aromi dei lieviti non sovrastino le altre qualità specifiche del vino è importante che le uve provengano da vitigni che possiedono una struttura e buone caratteristiche varietali come Chardonnay, Pinot nero, Pino Meunieur, Pinot bianco (recentemente vengono spumantizzati sempre di più anche grandi vitigni autoctoni). Nel metodo Martinotti il contatto dei lieviti con il vino è molto più breve e quindi prevarranno i sentori del vitigno; per questo vengono utilizzati i vitigni Glera (Prosecco), Moscato, Brachetto, Malvasia, Riesling e anche qui altri autoctoni specialmente aromatici o semi aromatici.

Con una sintetica descrizione dei due processi si può capire meglio come alla fine lo spumante prodotto con metodo classico sia molto diverso da quello ottenuto con il metodo Martinotti.

Il metodo classico o Champenoise

Nel metodo classico la rifermentazione avviene in bottiglia e subito si aggiunge lo “sciroppo di tiraggio” (in Francia liqueur de tirage). Questo sciroppo è fatto con il vino di base aggiungendo precise quantità di zucchero, lieviti e sostanze minerali con lo scopo di far avvenire una seconda fermentazione. Le bottiglie vengono chiuse con un tappo a corona che ha nella parte inferiore un tappo di plastica  (bidule) per raccogliere i lieviti. Poi vengono messe in posizione orizzontale al buio e al fresco della cantina per qualche settimana: lo zucchero si converte in alcol, si produce anidride carbonica che con l’aumento di pressione si scioglie nel vino. Questa fase è detta “presa di spuma” perché è responsabile del perlage (l’insieme delle bollicine) e della spuma che si vedono quando poi si verserà lo spumante nel calice. La fase successiva è l’affinamento sui lieviti per dare profumo, gusto e finezza al perlage. Qui i tempi sono più lunghi: minimo 18 mesi, ma si può andare anche oltre i 6 anni. Prima della messa in commercio però i lieviti andranno eliminati e ciò si fa con l’operazione di remuage. Questa operazione consiste nel ruotare e scuotere le bottiglie più volte in modo che i residui dei lieviti si depositino verso il collo della bottiglia. Quest’operazione che una volta era manuale, e talvolta lo è ancora oggi, deve essere fatta con molta cura. Nella regione Champagne anticamente il remueur era un vero e proprio mestiere che richiedeva esperienza e specializzazione per scuotere e girare migliaia di bottiglie al giorno: spesso veniva tramandato di padre in figlio. Dalla posizione orizzontale della “presa di spuma” lentamente la bottiglia alla fine si ritrova in posizione verticale a testa in giù e i residui dei lieviti si sono depositati in quell’apposito tappo di plastica, che in Francia è chiamato bidule. Completato il remuage verrà eseguita la sboccatura per espellere i lieviti: si può fare manualmente al volo oppure meccanicamente congelando il vino in prossimità del tappo ed espellendo questo blocco di ghiaccio; in entrambi i casi la pressione dell’anidride carbonica farà uscire il tappo di plastica con i lieviti. Prima di mettere il tappo finale con la sua gabbietta, al posto del prodotto perso con la sboccatura, si aggiunge un’altra miscela di vino denominata “sciroppo di dosaggio o di spedizione” (in Francia liqueur d’expédition) che ogni produttore compone secondo il proprio stile mettendo insieme allo zucchero vino distillato oppure liquoroso oppure vino di vecchie annate. La quantità di zucchero aggiunta in questa fase farà dello spumante un vino più o meno dolce o più o meno secco.

Il metodo classico è utilizzato per tutti gli Champagne, per molti crèmant, per l’istituzionale marchio Cava, per l’Asti metodo classico, per gli spumanti Alta Langa millesimati (in omaggio alla tradizione spumantistica risalente agli inizi dell’Ottocento sviluppata da Carlo Gancia tra i viticoltori di Canelli), per il DOC Trento (dalla tradizione di Giulio Ferrari iniziata agli inizi del Novecento), per i Franciacorta (la cui regione scopre la vocazione spumantistica negli anni Sessanta del Novecento grazie alla produzione di Guido Berlucchi), ecc.

Il metodo Martinotti o Charmat

Nel metodo Martinotti o Charmat la rifermentazione non avviene in bottiglia, bensì in autoclave. E’ nell’autoclave che viene messo lo “sciroppo di tiraggio” per la seconda fermentazione risparmiando tempo per l’affinamento, che va da uno a sei mesi (contro i 18 mesi come minimo del metodo classico). In questo modo si ha anche una “presa di spuma” molto rapida, ma la qualità del perlage viene penalizzata (le bollicine sono meno fini e meno persistenti). Talvolta per migliorarla si allunga l’affinamento sui lieviti per un ulteriore periodo di 6-12 mesi (metodo Charmat lungo). Altro tempo risparmiato (e di conseguenza altri costi di produzione ridotti) si ha nel processo di eliminazione dei lieviti che qui avviene tramite filtraggio a differenza del lungo e laborioso processo di remuage. Tutte le apparecchiature utilizzate lavorano in condizioni isobariche per non perdere la pressione dell’anidride carbonica sviluppatasi durante la “presa di spuma”. Quindi, dopo essere filtrato, lo spumante può essere dosato con l’aggiunta dello “sciroppo di spedizione” e poi imbottigliato.

Il metodo Martinotti è il più utilizzato per gli spumanti aromatici e dolci, ma anche per spumati secchi o amabili. Viene utilizzato per l’Asti spumante, per il Moscato d’Asti, per il Prosecco, ecc. 

Il metodo ancestrale

Ci sarebbe un terzo metodo, meno utilizzato, che ultimamente però sta prendendo piede. Seguendo la moda delle produzioni “naturali” anche per lo spumante, questo metodo, detto appunto ancestrale, fa riferimento alle tecniche di spumantizzazione delle origini. Così nel metodo ancestrale non si aggiunge lo zucchero nella fase di rifermentazione. Questo significa che le uve vengono vendemmiate quando hanno completato la maturazione zuccherina. Poi non verrà prodotto un vino di base, ma un mosto la cui fermentazione verrà bloccata con l’arrivo delle temperature invernali. Questo mosto ha così un residuo zuccherino che permetterà la seconda fermentazione con il rialzo delle temperature a primavera.  Dopo si procede all’imbottigliamento per la “presa di spuma” e l’affinamento utilizzando i lieviti della prima fermentazione o aggiungendo lieviti selezionati, ma mai zuccheri. Infine si procede come nel metodo classico, anche se alcuni spumanti possono non essere privati del residuo dei lieviti.

Dolce o Secco?

In origine lo Champagne era soltanto dolce. Solo più recentemente i gusti si sono orientati verso gli spumanti secchi che oggi sono i più consumati. Gli inglesi preferivano la variante secca e così dalla metà dell’Ottocento anche i produttori francesi si orientarono verso questo importante mercato al quale ben presto si aggiunsero quello americano e quello russo: gusti sempre più attratti dal brut. Infatti il termine “brut” si usa soltanto per lo spumante secco, ma c’è da tenere presente che, prima della rabboccatura della piccola quantità di vino persa per espellere i lieviti, tutti i vini spumanti sono secchi. Poi con l’aggiunta dello “sciroppo di dosaggio” (liqueur d’expédition) a discrezione dell’enologo della casa produttrice, lo spumante diventa di tipologie diverse: lo spumante dolce è quello con un dosaggio che supera i 50 grammi di zucchero per litro, il Demi-sec ha tra i 35 e 50 grammi di zucchero per litro, il Dry tra 18 e 35, l’Extra-dry tra 12 e 18, il Brut ne ha meno di 12, l’Extra-brut meno di 6, il Brut-nature meno di 3 e infine il pas dosè meno di un grammo, cioè in pratica non è stato aggiunto “sciroppo di dosaggio” e lo zucchero è quello dell’uva. Quest’ultimo è uno spumante che potremo definire puro perché senza “sciroppo di dosaggio” e può essere considerato di maggior qualità perché più difficile da ottenere. Infatti lo “sciroppo di dosaggio” può essere utilizzato anche per correggere eventuali “difetti” del vino.

I vini spumanti secchi sono adatti per accompagnare un pranzo dall’inizio alla fine (esclusi i dolci), abbinando la struttura del vino con le portate. I dolci devono essere abbinati esclusivamente con spumanti dolci.

Cin cin!

Redazione
© Riproduzione riservata
08/01/2020 09:01:20

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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