La strage infinita dei morti sul lavoro
Necessario un impegno concreto nel corso della nuova legislatura
Non c’è modo di dimenticare l'immane tragedia sul lavoro avvenuta la mattina del 3 maggio del 2021 in una azienda tessile a Oste di Montemurlo, in provincia di Prato. Luana, una giovane ragazza di soli 22 anni, aveva trovato la morte in fabbrica, schiacciata dal rullo di un macchinario, un orditoio. Un evento terribile e insensato che aveva scioccato l’opinione pubblica. Un fatto sconvolgente che, per qualche settimana, aveva riportato di attualità un problema che troppo spesso viene dimenticato, quello delle tante morti e degli innumerevoli infortuni nei luoghi di lavoro. La freddezza dei dati statistici, che pur delineano un fenomeno grottesco con oltre 1000 morti ogni anno sul lavoro (per la precisione, nel 2021 sono stati denunciati 1102 morti in occasione di lavoro di cui 200 legati al covid e 204 avvenuti con mezzo di trasporto; inoltre sono stati denunciati ulteriori 259 morti in itinere), non possono minimamente descrivere il dolore e l'inconsolabile angoscia dei familiari di queste vittime innocenti. Nulla può mitigare il dolore di chi ha subito una perdita così opprimente. Poche settimane fa ci è giunta la notizia che il Giudice per l'udienza preliminare ha accolto la richiesta di patteggiamento avanzata degli avvocati difensori dei due titolari indagati per omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele antinfortunistiche per quell’infortunio. Due anni di reclusione per la titolare dell’azienda, datore di lavoro, ed un anno e sei mesi per il marito, titolare di fatto. Per entrambi pena sospesa. Rinviato invece a giudizio il tecnico manutentore dell'orditoio su cui aveva trovato la morte la giovane Luana. Aldilà dei tecnicismi giuridici, hanno concorso per l’accoglimento del patteggiamento, il risarcimento liquidato ai familiari, la celerità con cui si è arrivati all'udienza preliminare e l'atteggiamento di accettazione delle responsabilità addebitate agli imputati. Molti commentatori hanno accolto la notizia del patteggiamento con stupore e incredulità, ritenendo la pena non commisurata con la gravità del reato.
Ma la strage continua ed è drammatica ed implacabile. Pochi giorni fa, nella notte fra il 6 e il 7 novembre, Nicoletta, cinquantenne operaia specializzata, ha trovato la morte durante un turno notturno in una vetreria di Borgonovo, in provincia di Vicenza. Le cronache riferisco che da una prima ricostruzione, Nicoletta è rimasta schiacciata tra un nastro mobile trasportatore e un macchinario porta bancali. Vani i tentativi di soccorso del 118. I Vigili del fuoco hanno lavorato a lungo per liberare il corpo. E la scia di tragedie non si è fermata neppure nei giorni successivi. Neppure oggi.
Qualcosa dunque non sta funzionando. Quanto fatto, soprattutto in questi ultimi vent’anni, non è oggettivamente sufficiente, non è risolutivo e soprattutto non ha ottenuto gli esiti sperati. Le ammende e le pene che prevedono l'arresto, di cui è certamente infarcito tutto il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08), non sembrano risultare un deterrente sufficiente a ispirare in maniera diffusa, maggioritaria e predominante, comportamenti pienamente conformi alle regole da parte dei vari attori coinvolti. Se i numeri dei morti e degli infortuni sul lavoro permangono insopportabile elevati, vi devono essere necessariamente dei motivi. Non si può andare avanti ulteriormente con annunci, buone intenzioni e modifiche normative che almeno nelle intenzioni appaiono sempre risolutive. Ma i numeri dicono qualcosa di diverso. Ormai il trend in discesa degli infortuni sul lavoro, che pur ci è stato negli anni 90, si arrestato. I dati sono implacabili.
La propensione italica ad una legislazione d’urgenza, all’emanazione quasi incessante di norme e regolamenti, talvolta anche ripetitivi per quanto nei fatti poco efficaci, non riesce a evitare il susseguirsi incessante e drammatico di tragedie nei vari luoghi di lavoro. L’idea che le leggi e le norme possano da sole risolvere il problema degli infortuni sul lavoro è aimè una pia illusione. Chi conosce il settore sa bene che siamo letteralmente sommersi di regole. Leggi di ispirazione europea, norme prevenzionistiche che si rifanno ai fondamentali decreti della metà degli anni 50, norme tecniche di ogni tipo e per qualsiasi argomento. Dobbiamo essere consapevoli che in Italia non soffriamo di lacune normative. Anzi, probabilmente è l’esatto contrario. Molto è stato fatto, ma il meccanismo non sta funzionando come il legislatore si sarebbe aspettato. A gennaio saranno trascorsi 26 anni dall’entrata in vigore di quella norma “rivoluzionaria", il D.Lgs.626/94, che nelle intenzioni doveva porre fine a questo fenomeno inaccettabile. La direttiva sulla sicurezza nei cantieri ha ugualmente oltre vent’anni e chi frequenta i cantieri sa bene che resta tantissimo da fare sul fronte della sicurezza dei lavoratori in tali ambiti.
Non è trascorso neppure un anno dalle ultime modifiche normative varate dal Governo Draghi in materia di sicurezza sul lavoro (Capo III del DL 146/2021 “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”). Modifiche condivisibili, certamente utili ma che non sembrano, ancora una volta, arrestare il fenomeno dei troppi infortuni e dei troppi morti. Fra tutte le disposizioni inserite nel Decreto vanno evidenziati interventi molto severi e che apparirebbero risolutivi. La possibilità data agli organi di vigilanza (Ispettorato ed ASL) di sospendere le attività dell’impresa nel caso di accertamento di gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ma non dimentichiamo che tale potere sospensivo è presente nella norma attuale fin dall’aprile 2008. Dunque, anche in questo caso, qualcosa non ha funzionato. L’intervento del Governo Draghi è stata più una riformulazione dell’istituto della sospensione, eliminando la necessità di reiterazione dell’illecito per far scattare la sospensiva oltre ad eliminare la discrezionalità degli organi ispettivi prima prevista. Sono 13 i casi enunciati dall’Allegato I che fanno scattare il blocco delle attività. E non si tratta di omissioni nella elaborazione di documenti o di atti prettamente “burocratici”, ma in prevalenza di condizioni di estremo pericolo per la sicurezza dei lavoratori come, solo per fare qualche esempio, operare in prossimità di linee elettriche in assenza di protezioni dal rischio di folgorazione, la mancanza di protezione verso il vuoto con rischi di cadute dall’alto e, in particolare, i casi di rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza. Gli strumenti anche di carattere coercitivo non sembrerebbero dunque mancare. Ma qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. È necessario, di conseguenza, individuarne le ragioni, correggere ciò che non funziona sia nel sistema imprenditoriale, che nella gestione dei rapporti di lavoro ma anche, se è il caso, nelle attività di doverosa ed incisiva vigilanza. Aspetto non trascurabile è che in questi ultimi anni la sicurezza sul lavoro sembra aver avuto una preoccupante involuzione di carattere prettamente documentale e burocratico. Quantità inimmaginabili di carta, registri, verbali, attestazioni, valutazioni e documenti di ogni genere che affollano in maniera eccessiva il sistema della prevenzione. Tanta carta che rischia di sottrarre energie, di distrarre l’attenzione sugli aspetti che realmente sono alla base di una reale ed efficace cultura della sicurezza a tutti i livelli. Manca troppo spesso la consapevolezza del rischio, una continua sottovalutazione dei pericoli. La formazione e l’addestramento dei lavoratori (per la quale il Governo precedente aveva deliberato di procedere con una completa revisione) è probabilmente ancora poco mirata, estremamente generica e non incisiva. Formazione che diventa talvolta balzello, semplice adempimento formale e non trasmissione di nozioni, insegnamenti pratici, buone prassi, comportamenti corretti e dove vi sia cioè una tangibile condivisione d’intenti fra datori di lavoro ed operatori, un reale e pragmatico impegno alla diffusione della cultura della sicurezza.
Non è possibile aspettare oltre. Non è più il tempo di tergiversare con la sottoscrizione di ennesimi protocolli d’intesa. Siamo sommersi dalle buone intenzioni. Sono anni che ad ogni tragedia si invoca astrattamente la necessità di maggiore impegno. Via dunque ogni adempimento puramente formale, ogni documento che non apporta nulla alla prevenzione. Via tutta la carta inutile. Via tutti quegli attestati che certificano unicamente che un lavoratore è stato in una aula per qualche ora ad ascoltare un oratore. Semplificare, snellire, rendere il sistema sicurezza immediato, tangibile, pragmatico. In fondo, gli infortuni mortali sono sempre gli stessi da decenni, semplici, paradossalmente banali, orrendamente prevedibili. Cadute dall’alto, trascinamenti e schiacciamenti con macchine e linee produttive, elettrocuzione, investimenti, seppellimenti.
Nella recente campagna elettorale si è parlato di tutto ma non mi pare vi siano stati impegni e proposte concrete per la riduzione del fenomeno infortunistico. Il nuovo Governo deve assumersi la responsabilità di un obiettivo concreto. Ridurre di almeno il 50% gli infortuni nel corso della legislatura. I numeri resterebbero alti ma saremmo comunque sulla strada giusta. Che il Ministro del Lavoro e i sottosegretari appena eletti ci mostrino dunque quanto prima il loro piano di attacco per arginare il fenomeno. Se non hanno idee possono chiedere in giro.
“La cultura della sicurezza di una organizzazione è il prodotto dei valori, degli atteggiamenti, delle percezioni, delle competenze e dei modelli di comportamento individuali e di gruppo che determinano l’impegno, lo stile e la competenza della gestione della sicurezza di un’organizzazione (Cox and Flin 1998).”
Paolo Tagliaferri
Libero professionista – già dipendente del Centro ricerca e sviluppo della Pirelli Spa con esperienza presso il complesso metallurgico BMZ nella ex Unione Sovietica, da oltre venticinque anni consulente direzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, normativa ambientale e antincendio. Docente formatore in corsi professionali. Auditor di sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro per l’ente internazionale DNV. Scrittore autodidatta e per diletto.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
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