Opinionisti Paolo Tagliaferri

Un mondo di pazzi!

"I migliori assassini sono quelli che predicano la vita"

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Un mio caro amico, a cui spesso faccio leggere in anteprima i miei pezzi, mi ha confidato che ho perso tempo e che potevo condensare questo articolo in una semplice frase: “E’ diventato un mondo di mer..!!”.

Come dargli torto. Ma sono convito che nelle ere precedenti non se la passavano certo meglio. Per fare solo un esempio, oggi è la giornata che ricorda l'immane tragedia delle foibe della Venezia Giulia di quasi ottant'anni fa, dove migliaia di nostri concittadini furono, senza tanti complimenti, gettati a morire negli inghiottitoi carsici. Militari e civili trucidati senza pietà, atroce vendetta per altri eccidi perpetrati dalle forze di occupazione naziste e fasciste nei territori jugoslavi e dell’Istria durante la guerra. Pulizia etnica, sottolineano alcuni studiosi, a danno delle popolazioni italiane di Istria e Dalmazia. Ci sono voluti tanti anni di oblio prima di dare giusto rilievo anche a questa barbaria e, ancora oggi, in molti tentano comunque di trovare giustificazioni al comportamento dei carnefici. E pochi ricordano che a pochi chilometri dalle foibe, nella città di Trieste, fu organizzato dopo l’armistizio del ‘43, un vero e proprio campo di sterminio, il Polizeihaftlager nazista, l’unico del genere in terra italiana.  Nessuno pare avere memoria per quello che avvenne nella Risiera di San Sabba dove, fino alla data della liberazione, si stima che il forno crematorio sia stato adoperato per bruciare i corpi di oltre 3500 prigionieri. Luogo di torture da parte delle spietate Schutz Staffel tedesche, esecuzioni attuate per gassazione, attraverso automezzi appositamente attrezzati o con un colpo di mazza alla nuca o per fucilazione. Prevale spesso la tendenza, anche davanti a tutti gli eventi atroci che caratterizzarono la seconda guerra mondiale, a fare distinzioni, a individuare chi aveva ragione e chi torto, a dividere il male dal bene e a trovare una giustificazione per taluni fatti storici mentre altri meritano solo l’universale condanna. Come se la morte non fosse per tutti uguale, come se le torture e le brutalità potessero in alcuni casi essere giustificate dagli eventi. Le guerre giuste, le chiamavano un tempo, e non pare sia cambiato molto anche ai giorni d’oggi.

Il secolo scorso ha senza dubbio mostrato il volto più spietato, disumano e apocalittico di un genere umano che nella storia, non si è peraltro mai distinto per equilibrio, misura e tolleranza. Un mondo di pazzi fin dagli albori. Barbari eravamo, barbari siamo rimasti.

Gli attuali conflitti locali di Gaza, Ucraina, Siria, tanto per citare i più conosciuti, stanno raggiungendo un livello di crudeltà degno del secolo scorso con l’aggravante, se così possiamo definirla, di una progressiva e passiva accettazione da parte dell’opinione pubblica. Più che un senso di rassegnazione, pare ormai prevalga un senso di disinteresse. L’empatia per le sofferenze altrui che diviene distacco, insensibilità, apatica non curanza. Cifre e dati statistici svuotati di ogni significato, gettati in pasto all’opinione pubblica come un qualsiasi bollettino finanziario. Migliaia di morti, donne, bambini, uomini, soldati, che non impressionano perché non riusciamo neppure a dargli un volto, non li vediamo, non sentiamo l’odore nauseabondo e spettale di una città bombardata. Non vediamo il sangue scuro e vivo uscire dai corpi martoriati. Non vediamo le lame che squarciano le carni, che trafiggono vite deboli ed indifese. Non sentiamo il pianto straziante dei bambini, le urla disperate delle madri e non sentiamo il fetore che investe i luoghi di morte e distruzione.      

Le guerre di questo secolo esplodono accompagnate dal clamore dei mass media, che trascinano dietro di se la temporanea e scomposta indignazione generale che scompare in pochi mesi, mentre morti e atrocità continuano nel silenzio. Prevale l’acritica accettazione della versione di comodo prevalente al momento, che giustifica gli uni e condanna gli altri, nel nome di un astratto e vile ordine mondiale ove invece gli interessi economici sembrano decidere le sorti dei popoli, stabilendo chi ha licenza di uccidere e chi ha invece la colpa di non essere ancora morto. L’antitesi della razionalità che ci viene inculcata come verità e come giustizia, nelle nostre menti fragili e distratte di uomini beceri ed ipocriti. Perché il bene, così ci ripetono, riuscirà comunque a trionfare.

Nulla sembra essere cambiato nei secoli, mentre ci ostiniamo a definirci civili, umani, progrediti, saggi e consapevoli. Una civiltà di individui “sostenibili”, ma che non prova alcuna vergogna per i propri peccati e che consente in maniera complice e colpevole che si continuino a perpetuare massacri su massacri. Grida di indignazione e di circostanza, che diventano vuoti slogan come una qualsiasi campagna pubblicitaria. La guerra che diventa un prodotto da smerciare come un qualsiasi smartphone, apoteosi di una umanità che di umano ha davvero poco.

E purtroppo non ci sono solo le guerre. La lista delle pazzie che quotidianamente caratterizza il genere umano è lunga e drammatica e non lascia spazio al dubbio.

“C'è abbastanza perfidia, odio, violenza, assurdità nell'essere umano medio per rifornire qualsiasi esercito in qualsiasi giorno. E i migliori assassini sono quelli che predicano la vita. E i migliori a odiare sono quelli che predicano l'amore. E i migliori in guerra in definitiva, sono quelli che predicano la pace.”

(Charles Bukowski).

Redazione
© Riproduzione riservata
11/02/2024 13:37:12

Paolo Tagliaferri

Libero professionista – già dipendente del Centro ricerca e sviluppo della Pirelli Spa con esperienza presso il complesso metallurgico BMZ nella ex Unione Sovietica, da oltre venticinque anni consulente direzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, normativa ambientale e antincendio. Docente formatore in corsi professionali. Auditor di sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro per l’ente internazionale DNV. Scrittore autodidatta e per diletto.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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