Opinionisti Claudio Cherubini

Allevamenti industriali, fabbriche di morte

Il Coronaviris ci fa perdere di vista il vero problema. Perché c’è questa pandemia?

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Le proteste silenziose di Greta Thunberg e tutto il movimento che ne era seguito avevano iniziato a sollevare il problema, ma già prima della diffusione del virus i centri di potere, guidati dalle grandi multinazionali, erano riusciti a soffocare l’informazione orientando i mezzi di stampa, la televisione, i social.

Resta il fatto però che le problematiche del clima e la pandemia hanno radici comuni. Il sistema agro-industriale alimentare è responsabile di circa la metà dei gas serra che producono il cambiamento climatico e l’allevamento intensivo è il maggior responsabile di queste emissioni. Inoltre negli allevamenti nidificano i virus che mutano rapidamente perché gli animali sono detenuti in spazi minimi con lo scopo di ottenere da loro, al costo più basso, la massima quantità di prodotto (carne, lette, uova).

Ecco che allora il Covid-19, come molti scienziati hanno segnalato, è un effetto. La causa  principale della pandemia sono gli allevamenti industriali di animali (polli, tacchini, maiali e mucche). Le pandemie ci sono sempre state proprio per la promiscuità della vita umana con quella animale, ma negli ultimi decenni si sono ripetute sempre più frequenti per il diffondersi degli allevamenti di massa. Il loro successo parte dagli anni ’60 del Novecento con la comparsa degli antibiotici; molti animali si ammalavano per le malsane condizioni di allevamento costretti a vivere ammassati e con scarsi standard igienici e i farmaci hanno compensato la cattiva cura.

Poi si aggiunge l’agricoltura industriale, intensiva anch’essa e fondata sulla chimica; terre coltivate, soprattutto a foraggi, che per oltre la metà (altre ricerche parlano del 75%) servono a produrre alimenti per gli animali di quegli allevamenti lager in cui agli animali vengono somministrati fin dalla nascita continuamente antibiotici e antivirali e in più sono esposti ai vari pesticidi presenti nel loro cibo. Allevamenti in cui si sviluppa sempre di più la resistenza ai farmaci, e più vengono usati e più gli agenti patogeni si evolvono per resistere. A nulla sono servite le campagne per limitarne l’uso e in Italia circa il 70% dei prodotti animali (carne, uova, latte) viene prodotto così. Allevamenti che secondo la FAO occupano più di un quarto delle terre del pianeta; un consumo di terra esagerato per la produzione di alimenti destinati ai mangimi per animali: campi che se coltivati con prodotti per l’alimentazione umana produrrebbero una quantità di proteine 18 volte superiore a quella destinata agli allevamenti intensivi (occorrono circa 15 Kg di mangime per produrre un Kg di carne) e darebbero un contributo notevole a debellare la fame nel mondo (la maggior parte di coloro che soffrono di fame vivono in quei paesi in cui i terreni agricoli sono destinati alla produzione di mangimi con cui vengono nutriti gli animali che poi vengono mangiati nel mondo occidentale). Allevamenti che secondo sempre la FAO hanno un ruolo rilevante anche nelle emissioni dei gas serra contribuendo per il 18%, superando il settore dei trasporti che incide per il 13,5%. Allevamenti che hanno un alto consumo idrico e inquinano le falde acquifere. Allevamenti che al loro interno sviluppano virus che possono essere trasmessi anche agli umani.

Infine c’è la terza causa del Covid che è il consumo del suolo per le aree urbane e industriali. Queste tre cause provocano inquinamento, deforestazione, estinzione della fauna selvaggia e distruzione degli habitat naturali. Tutti gli ecosistemi naturali sono fondamentali per la regolazione delle malattie. Le foreste assorbono il CO2 e limitano il riscaldamento terrestre, ma hanno anche un effetto di filtro per limitare la propagazione de agenti patogeni dalla fauna selvatica all’uomo, compresa le zoonosi come ad esempio il Covid-19. Alcuni ricercatori hanno messo in evidenza come la perdita di foreste o la loro frammentazione mettono in contatto ecosistemi che prima non riuscivano ad avvicinarsi. Ad esempio, uno studio ci dice che la perdita del 4% di foresta provoca un aumento di casi di malaria del 50%. Non è più una questione degli ambientalisti, ma è un problema di tutti: un problema di sopravvivenza. I consumatori dei paesi ricchi devono condizionare con le loro scelte le produzioni agro-alimentari e zootecniche. Sono oltre mezzo miliardo i consumatori europei e la loro pressione sul mercato può farsi sentire scegliendo prodotti a deforestazione zero e carni non provenienti da allevamenti industriali.

Tutto parte dagli allevamenti intensivi causa principale del surriscaldamento del pianeta e causa principale delle malattie dell’uomo (si consideri anche quelle causate, oltre che da cibo scadente, anche da un eccessivo consumo di carne). E per quanto riguarda i virus Silvia Ribeiro, giornalista e attivista ambientale, agli inizi del luglio scorso segnalava la comparsa di un altro virus pericoloso per l’uomo: uno studio avvertiva che il virus dell’influenza suina “è mutato in modo da infettare gli esseri umani e si sta diffondendo in varie provincie della Cina. […]. Gli autori avvertono che la sua capacità di trasmissione potrebbe aumentare fino a creare un’epidemia o una pandemia, come è successo con l’influenza suina in Messico nel 2009”. E non è detto che possa mutare ancora e diventare più aggressivo nei confronti degli umani, come è accaduto per il SARS-Cov-2 che è ha dato luogo al Covid-19. Le condizioni di vita in cui sono costretti a vivere gli animali negli allevamenti, ammassati e immuno-depressi, fa sì che il virus muti velocemente. Eppure denuncia Silvia Ribeiro “non è stato fatto nulla per cambiare il sistema di allevamento e il sistema agricolo industriale che lo supporta con estese monocolture, soprattutto di varietà transgeniche. […]. I profitti di queste imprese carnivore sono talmente grandi (dal momento che esternalizzano tutti i costi delle malattie che provocano negli esseri umani, negli animali e nell’ambiente), che persino in mezzo alla peste e all’attuale pandemia continuano a fare grossi affari. […]. Invece di incrementarlo, c’è l’urgente necessità di smantellare l’intero sistema agricolo e zootecnico industriale, una macchina letale di produzione di malattie per le persone, gli animali e l’ambiente”.

A niente servirà “la focalizzazione sulle strategie per affrontare l’emergenza e la ricerca di presunti vaccini, che implicano che la pandemia possa essere controllata con mezzi tecnici”, chiosa la Ribeiro, perché si nascondono le cause e si perpetua il problema, “perché altre epidemie o pandemie arriveranno finché le cause rimarranno intatte”.

Redazione
© Riproduzione riservata
19/10/2020 15:40:09

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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