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L’ospedale “Cenerentola” della provincia di Arezzo è quello della Valtiberina

E la politica cosa vuol fare per la sanità del territorio?

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Quale futuro per l’Ospedale della Valtiberina di Sansepolcro? Questa la domanda che si pongono molti cittadini biturgensi e del comprensorio. Il plesso ospedaliero di vallata è oramai da decenni al centro di polemiche, a seguito del graduale depotenziamento della struttura messo in atto dalla Regione Toscana. Come si ricorderà – e riavvolgiamo il nastro di quasi mezzo secolo – in zona erano presenti fino agli anni ’70 del secolo scorso tre ospedali: quello alla Croce di Anghiari, quello della Madonna dei Lumi a Pieve Santo Stefano e quello appunto di Sansepolcro, i cosiddetti “Spedali Riuniti”, che avevano la sede in via della Misericordia, ossia all’interno del centro storico, soluzione logistica oggi impensabile e che anche allora cominciava a palesare le sue difficoltà dal punto di vista della comodità e soprattutto e della celerità per i mezzi di soccorso in caso di necessità. Non dimenticando la situazione in cui versava l’ospedale all’interno, con posti letto ricavati anche lungo i corridoi del vecchio palazzo, oggi riconvertito per metà a servizio di igiene mentale e per l’altra metà a Teatro alla Misericordia. Per più motivi, insomma, a Sansepolcro quell’ospedale – e in quelle condizioni – non aveva più motivo di esistere; in effetti, era già da tempo in fase di costruzione il plesso nuovo, in collina, ossia l’attuale edificio. Nel novembre del 1976, quindi stiamo parlando di 44 anni fa, il nuovo ospedale entra finalmente in esercizio e il cittadino biturgense non arrossisce più alla precisa domanda sull’argomento, perché ora finalmente c’è un edificio moderno, con finestroni che danno luce, con giusti spazi e con l’organizzazione dei reparti, per poter lavorare al meglio. Non solo: essendo nuovissimo in tutto e per tutto, l’ospedale è di conseguenza al passo con la tecnologia del momento. Ben presto, la struttura di Sansepolcro finisce con l’accorpare anche i piccoli ospedali di Anghiari e Pieve Santo Stefano, operazione che viene a essere completata all’inizio degli anni ’80. La cronaca degli ultimi due-tre decenni - soprattutto quando la logica degli accentramenti (e dei tagli in sanità) comincia a prendere sempre più campo ed è noto che il centro più grande finisce inevitabilmente con il sottrarre qualcosa a quello piccolo - non è di certo brillante. All’Ospedale della Valtiberina, che con il tempo ha cominciato a perdere sempre più pezzi, non sono rimaste che le… promesse: quelle che in particolare facevano i candidati ogni volta che si avvicinavano le campagne elettorali. Promesse da marinai: una categoria che, sotto questo profilo, fa “scopa” con quella dei politici. Alla resa dei conti, esce fuori – ma non svelo di certo una sorpresa – che il presidio ospedaliero con sede a Sansepolcro è il più penalizzato della provincia di Arezzo. Basta dire che quello della Valtiberina è l’unico delle vallate aretine a non avere la rianimazione, altro obiettivo che in campagna elettorale è da realizzare, ma che dopo il voto torna a livello di “vedremo”. Come tutti sanno, la rianimazione - o terapia intensiva che dir si voglia – è una componente essenziale per far sì che una struttura ospedaliera possa essere definita tale. Senza di essa, si comprende benissimo che il reparto di chirurgia sia costretto a effettuare piccoli interventi operatori, per cui va bene la convenzione con Careggi per l’alta traumatologia dello sport, ma senza la terapia intensiva funzionante non è possibile fare più di tanto. È ovvio che Valtiberina stia pagando da tempo due ordini di handicap: il primo riguarda la sua popolazione, appena superiore alle 30mila unità, distribuita in sette Comuni fra versante montano e fondovalle; per giunta, nella parte in assoluto più a est della Toscana, ovvero ai margini di una provincia già snobbata, a sua volta,  dai centri nevralgici dei palazzi fiorentini. Se tanto mi dà tanto, pochi abitanti significa anche pochi votanti (ammettiamo che siano il 75% del totale, dal momento che la Valtiberina non abbonda di giovani sotto i 18 anni) e quindi un bacino elettorale poco appetibile, o non certo alla pari di Valdarno e Valdichiana, per non parlare di Arezzo. Combinato con le limitate dimensioni del “serbatoio” di voti, c’è poi lo scarso o nullo peso politico del territorio, peraltro confermato dal fatto che in cinquant’anni esatti di vita delle Regioni la Valtiberina abbia spedito in consiglio regionale soltanto due suoi esponenti: Athos Fiordelli dell’allora Pci nella prima legislatura (in maggioranza) e Dario Locci della Lega (all’opposizione) qualche anno addietro e per un periodo oltretutto molto breve, perché è venuto prematuramente a mancare nel febbraio del 2013. Un peso scarso anche in Provincia, oltre che in Regione: c’è stato nella nostra storia – è vero – un Amintore Fanfani, ma chissà quando tornerà, se tornerà e se eserciterà lo stesso carisma suo. Morale dalla favola: se a Firenze chiediamo a qualche consigliere regionale se sa dove si trova Sansepolcro, probabilmente nutre qualche dubbio sull’appartenenza alla Toscana e magari confonde – perché è successo anni addietro con la questione della “Due mari” - Monterchi con Montieri, paese che ha le stesse prime quattro lettere iniziali e che ha un numero di abitanti vicino a quello della Valtiberina, ma che si trova in provincia di Grosseto. Torniamo adesso sul binario principale dell’ospedale: è ovvio che, di fronte alle condizioni attuali nelle quali si trova quello di Sansepolcro, l’utenza della Valtiberina Toscana abbia la propensione a rivolgersi al San Donato di Arezzo, o al più vicino ospedale di Città di Castello ed è persino ridicolo il fatto che, di fronte ad alcune visite specialistiche, si ritrovi costretta a girare per Valdichiana, Valdarno e Casentino, perché questo è il “modus operandi” dei dirigenti della Asl Toscana sud-est. In luglio – e anche in questo caso eravamo in piena campagna elettorale – è arrivata la buona notizia dell’importante finanziamento di 12,6 milioni di euro, stanziato dalla Regione Toscana per l’Ospedale della Valtiberina di Sansepolcro. Visto il periodo nel quale la notizia è stata comunicata e quello attuale, ossia post-elettorale, alcuni interrogativi ce li dobbiamo porre. Il primo: sarà vero? Purtroppo, non è la prima volta che si promette senza poi mantenere. Analizziamo poi la destinazione della somma in base alle voci di spesa; si ricava che 8 milioni sono destinati all’adeguamento sismico dell’edificio, 3 alla ristrutturazione interna (compreso l’Ospedale di Comunità) e il restante milione di euro è riservato alle attrezzature. Entriamo allora nello specifico, visto che la destinazione di questi soldi era stata accolta come un gran risultato. Fermo restando che senza questa cifra sarebbe stato peggio, ne deduciamo che chi opera dentro la struttura lo fa non in condizioni di sicurezza, perché evidentemente lo stabile non è a norma. Ma c’è di più. Di fronte a questo consistente importo di 8 milioni, non ci vuole molto a capire che gli interventi di adeguamento saranno importanti e che creeranno notevoli disagi al personale ospedaliero e ai degenti. I 3 milioni per l’Ospedale di Comunità servono solamente per il potenziamento di questa divisione e quindi – bene che andrà – alle apparecchiature necessarie per il funzionamento di qualità dell’ospedale rimane il milione e poco più. E considerando anche gli interventi di riammodernamento dell’unità operativa di medicina, iniziati nel gennaio di quest’anno e poi rallentati dal Covid-19, ci ritroveremo senza dubbio davanti a una bella struttura, ma di fatto a un contenitore vuoto (o invariato) dal punto di vista della dotazione funzionale. Come dire, insomma, che l’ospedale ora è più bello e sicuro, ma che come livello di prestazioni sanitarie è rimasto sempre lo stesso. E tutto ciò cosa sta a significare? Che la Regione Toscana non crede a strutture di queste dimensioni, per cui se si continuerà a operare senza la necessaria dotazione assisteremo a un continuo cambio di medici, che ambiranno a trovare il posto in centri più organizzati e per i quali l’ospedale di Sansepolcro si trasformerà in mero luogo di passaggio per la loro carriera professionale. Ma così facendo non si trova mai una stabilità e poco vuol dire se adesso il responsabile della chirurgia è tornato a lavorare in pianta stabile al Borgo, ossia non c’è più il chirurgo che viene qui da questo o quell’ospedale della Asl per un giorno alla settimana. Per carità, aver recuperato il responsabile fisso (come esisteva fino a qualche anno fa) è un importante risultato; il problema diventa semmai la durata della sua permanenza in Valtiberina. La città deve quindi tornare ad alzare la voce, come era successo a metà degli anni Novanta con la creazione del Comitato per la difesa dell’ospedale di Sansepolcro, presieduto da Gian Piero Giuliani e con molti suoi esponenti che facevano parte anche della lista civica Viva Sansepolcro. Come qualcuno ben ricorderà, la prima grande battaglia del comitato fu quella per il mantenimento del punto nascita, che è rimasto a Sansepolcro fino al 2006, quando è stato smantellato per mancanza dei numeri che rispettassero il parametro annuale, ma è stata la dimostrazione di come un gruppo di pressione possa riuscire a spuntarla impostando la propria azione nella giusta direzione. Su qualche decisione, la Regione fu infatti costretta a fare marcia indietro. Credo quindi che sia un dovere, quello della politica locale, di lavorare per un potenziamento dell’ospedale di zona, evitando di dare ascolto ai diktat che arrivano ai partiti perché mascherino le varie inefficienze. Fare politica nel locale vuol dire essere i portatori degli interessi di chi vive e risiede nel territorio; se invece ci si comporta diversamente, vuol dire che dietro vi sono secondi fini, oppure la classica voglia di campare con la politica, che alla fine un posto di lavoro lo trova a tutti. Non si può transigere sul ripristino della terapia intensiva che, a maggior ragione in tempi di Covid-19, è diventata il reparto più importante, né si può e si deve ogni volta confidare sulla buona sorte, come è avvenuto in marzo e aprile. Una volta sei fortunato e ti salvi, ma non è detto che quella successiva vada alla stessa maniera. Quando perciò fra qualche mese arriveranno in processione i vertici regionali a raccontarci le novelle (quelle novelle che hanno premiato il centrodestra, facendo diventare la coalizione prima in tutti e sette i Comuni della vallata), che portino appresso un assegno con qualche milione di euro a beneficio delle attrezzature sanitarie, perché un buon chirurgo senza bisturi non opera. E non è giusto continuare ad andare avanti con le donazioni delle associazioni del posto: un fattore lodevole, che meriterebbe però una particolare riflessione. Nel senso che se provvede il volontariato con i soldi raccolti attraverso le iniziative, vuol dire che chi dovrebbe occuparsene non dimostra una particolare premura. Riassumendo: qui nel posto i politici, pensando alle poltrone, hanno finito con il vendere la gestione delle acque, della diga di Montedoglio e dei rifiuti e con il vedere penalizzato l’ospedale di vallata. E allora mi domando: in questo modo sono al servizio del territorio - come si ritengono loro – oppure pensano soprattutto a guadagnare stipendi e a sistemarsi personalmente?

Domenico Gambacci
© Riproduzione riservata
24/11/2020 08:51:10

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Imprenditore molto conosciuto, persona schietta e decisa, da sempre poco incline ai compromessi. Opera nel campo dell’arredamento, dell’immobiliare e della comunicazione. Ha rivestito importanti e prestigiosi incarichi all’interno di numerosi enti, consorzi e associazioni sia a livello locale che nazionale. Profondo conoscitore delle dinamiche politiche ed economiche, è abituato a mettere la faccia in tutto quello che lo coinvolge. Ama scrivere ed esprimere le sue idee in maniera trasparente. d.gambacci@saturnocomunicazione.it


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