C’eravamo tanto amati
“Qui riposa in onorata gloria un compagno d’armi noto solo a Dio”
All’interno del cimitero militare americano di Firenze, le stradine asfaltate costeggiano i prati verdi e perfetti su cui sono allineate le lapidi bianche dei caduti. Il memoriale sorge a pochi chilometri a sud del capoluogo Toscano, in un terreno in leggera pendenza immerso in una zona boschiva e rigogliosa, attraversata dal fiume Greve e donato a suo tempo gratuitamente dal governo italiano agli Stati Uniti. L’alto pennone bianco troneggia all’ingresso di questa area solenne che copre ben 28 ettari. La bandiera a stelle e strisce, sbattuta dal leggero vento di questa calda mattina di maggio, rompe il silenzio quasi assoluto che regna in questo luogo di pace che accoglie le spoglie di 4402 soldati americani che qui hanno trovato la propria sepoltura. Uomini, perlopiù giovani o giovanissimi, appartenenti alla 5ª armata che fra il ’43 e ‘45 fu impegnata nella campagna per la liberazione del nostro Paese. I due viali paralleli, in leggera salita, dall’ingresso conducono al memoriale nella parte più alta del cimitero e delimitano, a destra ed a sinistra, l’area in cui sono state posizionate le lapidi, perlopiù croci latine, ma si intravedono anche le stelle di Davide dedicate ai caduti di religione ebraica.
In ogni lapide i nomi sono semplicemente incisi sul marmo bianco, indicando il grado, il corpo di appartenenza, la provenienza e il giorno della morte, ma ci si può imbattere anche in croci di soldati rimasti ignoti che riportano mestamente la frase “Qui riposa in onorata gloria un compagno d’armi noto solo a Dio”. Percorrendo il lato sinistro del cimitero si scorge la lapide in uno dei quattro soldati decorati che riposano nel cimitero toscano. La si riconosce immediatamente in mezzo alle altre perché l’incisione è impreziosita da un colore dorato con il nome sovrastato da una stella e con la scritta “Medal of Honor” riportata in verticale. Si tratta di Roy Woodroe Harmon, 28enne di Pixley, California, in servizio come sergente nella compagnia C, 362° reggimento di fanteria, 91° divisione. Il 12 luglio 1944, vicino a Casaglia in Val di Cecina (PI), attaccò da solo tre postazioni tedesche che stavano sparando su un plotone amico. Distrusse una posizione e, nonostante fosse ferito durante il suo avvicinamento, continuò a fare fuoco sulle altre. Rimase ucciso mentre attaccava la terza posizione e fu insignito postumo della Medaglia d'Onore, la più alta decorazione militare assegnata dal Governo degli Stati Uniti.
Dovremmo restare grati a questi ragazzi e al loro Paese per sempre, senza indugio o riserve, anche dopo tutti questi anni. Giovani che erano giunti in Europa ed in Italia inviati a combattere e a morire, contribuendo con il loro estremo sacrificio a liberare il nostro Paese e l’Europa dalla tirannia nazista. Le truppe Alleate anglo-americane da un lato e l’Armata Rossa da est che riuscirono, a partire dal ’44, a chiudere in una morsa le forze indomite e spietate della Wehrmacht scaraventandole indietro fino a Berlino.
Ma quella di oggi è una America che molti non riconoscono più, dove chi l’ha amata ed osannata per decenni, acquisendone pregi e certamente i difetti, non riesce più a decifrarne i contorni, le dinamiche e lo spirito che ne condiziona le scelte spesso sconsiderate e non solo in politica estera. Una America che forse ha dimenticato gli insegnamenti che i loro Padri fondatori declamavano con orgoglio nella dichiarazione d’Indipendenza, ove i principi di uguaglianza e di libertà avrebbero dovuto ispirare ogni loro azione futura. Il tempo in cui le truppe americane giungevano in Europa per mettere fine alle guerre e per ristabilire la pace, è scomparso ormai da quasi ottant’anni, divorato da un imperialismo talvolta sfacciato e fin troppo arrogante. Un desiderio di predominio economico e militare che per molti anni ha trovato la sua giustificazione nella necessità di contrapporsi all’Unione Sovietica e a quello che il Presidente Ronald Reagan definiva “l’impero del male” ma che ormai non ha più nessun motivo per essere accettato e subito in maniera così passiva. I vincitori che, grazie al loro predominio quasi incontrastato, hanno influenzato le politiche mondiali diventando l’ideatore e il vigoroso propulsore di quella economia globale di cui ancora non si riesce a decifrarne gli effetti o i reali benefici, mentre i disastri e le sventure che ne sono derivate rischieranno nel tempo di prevalere. Gli Stati Uniti che in questi anni hanno stabilito arbitrariamente che era loro il compito di definire quando una guerra era legittima e sacrosanta (le loro), distinguendola in maniera netta ed inappellabile da tutte le altre azioni belliche (quelle degli altri) che al contrario meritano la condanna ed il disprezzo universale. A loro l’onere autoreferenziale di ristabilire la libertà, di esportare in maniera astratta una democrazia imperfetta in quei paesi a loro parere regno di barbarie, caos e terrorismo. La guerra in Vietnam è ormai lontana e in molti non ricordano cosa sia successo nel paese asiatico oltre cinquant’anni fa, ma è perfettamente vivo e incancellabile l’esito della recente disastrosa disfatta militare americana in Afghanistan. Vent’anni di una guerra irresponsabile ed inutile, nata come reazione ai fatti dell’11 settembre, ma che con il tempo è naufragata, schiacciata da una completa assenza di strategia e di intenti. Gli afgani, che avevano creduto fosse finalmente giunta l'ora del riscatto e per una seppur complessa ma possibile pacificazione nazionale, sono stati abbandonati in fretta e furia al loro destino incerto; uomini e donne che avevano collaborato con le forze americane e che da un giorno all'altro si sono trovati alla mercé delle vendette dei talebani che in pochi giorni si sono impadroniti del paese senza trovare resistenza. Un popolo tradito ed umiliato dalle vuote promesse americane che dopo anni di azioni militari più o meno confuse ed inconcludenti, hanno abbandonato il campo con un nulla di fatto. La fuga che ha lasciato interdetti gli stessi loro alleati e che anche il popolo americano ha giudicato frettolosa e sciagurata. E le nostre forze militari, così come era già successo in passato in particolare nella Guerra del Golfo, in Jugoslavia e in Iraq, si sono fatte trascinare nel deserto e fra le montagne impervie e inespugnabili afgane senza un chiaro compito. Non si è mai saputo se eravamo in guerra, se i nostri ragazzi erano lì a combattere, quali fossero le reali regole di ingaggio e soprattutto quale era l’eccezione in terra afgana per giustificare la sospensione del principio costituzionale con cui l’Italia ha deciso di ripudiare la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali.
Forse dovremmo smettere di seguire il governo degli Stati Uniti come se fossimo dei cagnolini ammaestrati. L'Italia, per storia e cultura, non lo merita. Ma del resto siamo in buona compagnia in Europa, fatta eccezione di qualche voce che sporadicamente si alza in difesa dell’indipendenza europea. In queste settimane, dall'attacco barbarico all’Ucraina perpetrato del tiranno Putin (con cui peraltro la maggior parte dei paesi avevano allegramente fatto affari fino a qualche giorno prima), è seguita una corsa delle varie cancellerie europee, con il fiero Boris Johnson in testa, a chi si dimostrava più risoluto ed interventista. Una gara a chi la sparava più grossa. Sembra che tutti abbiano il desiderio di menare le mani, ritenendo la guerra inevitabile, evocando anche lo spettro di un conflitto mondiale che, come è noto, non verrebbe condotto solo con armi convenzionali. Migliaia di ordigni nucleari sono infatti pronti per l’eventuale resa dei conti finale.
Quella pazzia generalizzata ricordata da un Santo Padre inascoltato, che non si stanca ogni giorno di ripetere quella che dovrebbe essere una ovvietà. Dobbiamo cercare la pace; è certamente un dovere dei governanti opporsi alle prepotenze di Putin ma cercando con tutti i mezzi la pace, unica risposta ad un mondo che rischia altrimenti la catastrofe. Papa Francesco che è stato addirittura accusato di ‘giustificare' l’invasione di Putin. Un Papa che viene zittito, quasi deriso e che da più parti se ne raccomanda addirittura la destituzione. Ma il governo degli Stati Uniti sembra essere disinteressato ad un accordo fra le parti, sprezzante del pericolo e privo della necessaria saggezza, costantemente impegnato a gettare nuova benzina sul fuoco. I governi europei, compreso il nostro governo “dei migliori”, sembrano volersi accodare acriticamente agli Stati Uniti mentre dovrebbero lavorare esclusivamente per ottenere un cessate il fuoco. Ne avrebbero la forza e l’influenza.
Il tempo delle truppe americane che venivano a salvarci ed a ristabilire la pace appartiene ormai alla storia. Ci resta il ricordo indelebile e di profonda gratitudine ai 32.000 soldati americani che dal '43 persero la vita in Italia per contribuire a ridare la libertà al nostro amato Paese.
Paolo Tagliaferri
Libero professionista – già dipendente del Centro ricerca e sviluppo della Pirelli Spa con esperienza presso il complesso metallurgico BMZ nella ex Unione Sovietica, da oltre venticinque anni consulente direzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, normativa ambientale e antincendio. Docente formatore in corsi professionali. Auditor di sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro per l’ente internazionale DNV. Scrittore autodidatta e per diletto.
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