Opinionisti Paolo Tagliaferri

Mireille Yoga e la riscoperta del gusto per la vita

Racconta la sua esperienza, la sua vita di donna in un paese come il Camerun

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Nella serata di martedì 13 aprile e tra qualche problema di collegamento, si è tenuto sul canale youtube del “Centro Culturale di Arezzo” l’incontro con Mireille Yoga, direttrice del centro di assistenza per ragazzi di strada “Edimar”, attivo dal 2002 nella città di Yaoundè nel Camerun. Come ha spiegato Mireille ad inizio serata, questi sono giorni di intense piogge nel suo paese che rendono instabili e ancor più difficoltosi i già precari collegamenti con la rete internet. Il centro Edimar ospita ogni giorno circa un centinaio di ragazzi di strada che qui possono trovare un aiuto e una parola di conforto; possono lavarsi, possono fare scuola, imparare un mestiere, giocare e stare insieme ai propri coetanei lontani dai pericoli della strada, dove la miseria e l’abbandono sopraffanno le loro esistenze precarie e dimenticate. Sono migliaia i giovani e giovanissimi tra i 10 e i 20 anni che emigrano dalle campagne verso la città per sfuggire a situazioni familiari difficili. Finiscono per vivere in strada, fra violenza e furti, dove molto spesso la droga si insinua prepotente e distruttiva nelle loro esistenze, nell’effimero tentativo di allontanare le loro menti da una vita di stenti e di disperazione. Il centro Edimar aiuta i ragazzi di strada di Yaoundé dal 2002. Fondato dal missionario del Pime padre Maurizio Bezzi, è cresciuto sotto l’impulso di un religioso francese, già cappellano del carcere, assassinato in Camerun proprio da un giovane di strada a cui aveva dato un aiuto.

Mireille Yoga ci racconta la sua esperienza, la sua vita di donna in un paese come il Camerun in cui ai già innumerevoli problemi si è aggiunto ultimamente anche il pericolo del covid. Storie semplici, di dolore personale, di paure e di riscatto. Lei, donna e sposa di Victorien, che nell’angoscia di non riuscire ad avere figli, di poter donare la vita, ritrova nella Fede la propria strada e la propria missione. Una società tradizionale che considera una maledizione le donne che non possono avere figli, un motivo di imbarazzo e di vergogna, inutili alberi che non possono dare frutti. I primi incontri in strada narrati da Mireille, le sue prime esperienze che progressivamente la trasformano nella madre spirituale di molti ragazzi. Ci ricorda ad esempio di Raina, diciassettenne incinta e drogata che la propria famiglia ha allontanato e ripudiato, e che giunge al centro Edimar solo per trovare qualcuno che possa darle un’altra possibilità, che possa ridarle fiducia.

I racconti di Mireille potrebbe sembrare l'ennesima raccolta di storie tristi provenienti da un mondo a noi pressoché sconosciuto, da un continente martoriato come l’Africa dove nell'immaginario collettivo si è ormai consolidata l'idea che nessun problema potrà mai essere risolto. Nessun racconto a lieto fine, nessuna storia di redenzione e riscatto ci pare possa mai giungere da questi paesi dimenticati, dove qualsiasi desiderio di

speranza viene immediatamente soffocato da una realtà spietata e immutabile. Ci restano solo le immagini, i filmati e i volti di uomini, donne e più spesso bambini che appaiono di tanto in tanto in televisione e che accompagnano le campagne di raccolta fondi delle tante organizzazioni impegnate a portare loro un sostegno economico, sanitario e scolastico. Immagini che ci affliggono il cuore per alcuni istanti prima che ce ne torniamo inevitabilmente a disinteressarci di un mondo così lontano da noi, che non ci potrà mai appartenere e coinvolgere realmente. Tra carestie, guerre civili infinite, malattie e fame, sopravvivono realtà di sofferenza e di privazioni dove sono i bisogni più elementari ad essere scomparsi.

Ma i racconti di Mireille Yoga ci danno anche degli elementi diversi, forse troppo spesso dimenticati e tralasciati ma altrettanto fondamentali. Non sono solo la fame, le malattie e le privazioni economiche che affliggono questi ragazzi. E’ il desiderio di amore che li spinge a bussare alla porta del centro Edimar. Un’affannosa ricerca di quegli affetti elementari a loro sconosciuti, di cui sono stati precocemente privati nelle loro vite di strada o che ancor peggio non hanno mai avuto. La ricerca dolorosa di qualcuno che ti accolga, che ti tenga semplicemente la mano, che ti dia una possibilità pur remota di riscatto e che ti faccia sentire ancora vivo. Un desiderio ben rappresentato dall’immagine che ci offre Mireille di un ragazzo di strada che vuole incontrare suo marito Victorien per poter sedersi sulle sue gambe, per scoprire cosa si possa provare a sentirsi come un figlio fra le braccia di un padre. O la storia struggente, dolorosa, di quel bambino di sei anni che racconta a Mireille che non può tornare da sua madre, perché quando nacque sua madre lo avvolse in un telo e lo buttò in un pozzo. Una creatura che vive in strada con il padre malconcio, lo stesso padre che chiede a Mireille di prendersi cura del suo bambino.

E l’amore per vita, il gusto per la vita di cui ci parla Mireille nella sua testimonianza dal lontano Camerun. Perché, come ricorda Mireille, “Se Dio è nella realtà devo cercare lì per vedere lui”. L’invito di questa coraggiosa donna a non scandalizzarsi di quando si incontrano realtà difficili, incomprendibile, realtà che non vorremmo che esistessero. L’invito a vincere sempre quella paura che blocca i nostri desideri e i nostri cuori distratti, perché solo l’amore è credibile!

Paolo Tagliaferri
© Riproduzione riservata
27/04/2021 10:36:00

Paolo Tagliaferri

Libero professionista – già dipendente del Centro ricerca e sviluppo della Pirelli Spa con esperienza presso il complesso metallurgico BMZ nella ex Unione Sovietica, da oltre venticinque anni consulente direzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, normativa ambientale e antincendio. Docente formatore in corsi professionali. Auditor di sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro per l’ente internazionale DNV. Scrittore autodidatta e per diletto.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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