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Monsignor Marco Salvi, da parroco di Anghiari a Vescovo di Perugia-Città della Pieve

Intervista esclusiva alla nostra redazione

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Da don Marco a Sua Eccellenza monsignor Marco Salvi: un passo tanto importante quanto breve, forse inatteso, ma una elevazione che questo sacerdote e uomo di cultura merita in pieno. Sansepolcro la sua città di nascita e di origine, Anghiari quella in cui ha finora esercitato il suo apostolato ed è cresciuto sotto ogni profilo: la Valtiberina può e deve orgogliosa di questo conterraneo, chiamato a esercitare le mansioni di vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, che però potrebbe all’atto pratico diventare effettivo a seguito dei tanti impegni che attendono il cardinale Gualtiero Bassetti (già vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro) nelle vesti di presidente della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana. Nel cuore di tutti, rimarrà comunque “don Marco”, che – da persona di grande intelligenza, accompagnata con la fede – riesce a ironizzare anche sulla sua nomina a prelato e questo lo rende ancor più personaggio, oltre che sacerdote in una chiave prettamente moderna, fatta di principi tradizionali da rispettare ma anche di sostanza da mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Raccontare il suo percorso di vita per “L’Eco del Tevere” offre a monsignor Salvi anche lo spunto per scherzare: “Sono nato al “piazzone” – esordisce - termine con il quale a Sansepolcro è conosciuta piazza della Repubblica, quella in fondo ai giardini di Porta Fiorentina, per cui mi sento un borghese doc (e per “borghese” si intende biturgense, in quanto persona originaria del Borgo n.d.a.) che nella sua città ha frequentato scuole elementari e medie inferiori. Quando poi mi sono iscritto alle scuole superiori, ho optato per Città di Castello, dove ho frequentato l’istituto per geometri, scegliendo quindi un indirizzo tecnico. Da Città di Castello a Firenze, dove nel 1979 mi sono laureato in Architettura e ho sostenuto subito l’esame di Stato. Nel frattempo, durante la mia parentesi universitaria, ho incontrato Comunione e Liberazione (dapprima chiamata Gs, cioè Gioventù Studentesca) e questo è stato significativo per me, poichè è maturata in questo frangente l’ipotesi di donazione totale a Cristo e a Dio della mia vita. L’esperienza universitaria ha quindi esercitato un ruolo determinante: teniamo presente che erano gli anni ’70, quelli dei comitati di agitazione, delle occupazioni e del delitto Moro”.

 

LA LAUREA IN ARCHITETTURA, POI L’INGRESSO IN SEMINARIO

Per chi decide di intraprendere la strada del sacerdozio, si parla di vocazione attraverso una “chiamata” che sarebbe venuta dall’alto. Per lei, quando è arrivata questa “chiamata”?

“Attenzione: la cosiddetta “chiamata” non è un mattone che ti casca in testa, ma è il risultato di una serie di incontri, di circostanze e di persone che hai incontrato e che alla fine riconosci come segnali di chiamata. Nasce per te una storia e sei disponibile a seguirla. È successo nel 1979, dopo la laurea e dopo essere rimasto all’università come assistente del professore con il quale avevo preparato la tesi. Sono entrato in seminario ad Arezzo, poi ho preso il baccalaureato alla Pontificia Università Gregoriana attraverso l’Istituto Superiore Teologico Fiorentino”.

Le figure chiave nella scelta di Marco Salvi?

“Senza dubbio don Luigi Giussani, teologo e fondatore di Comunione e Liberazione. Con lui ho avuto un ottimo rapporto e l’ho incontrato diverse volte, poi ci sono i preti di Sansepolcro: don Pietro Zazzeri, don Angelo Chiasserini, don Piero Pilotti, don Giovanni Panichi, don Zeno Gori e ovviamente don Giacomo Babini (poi diventato vescovo), che è stato anche il mio parroco. Tutte figure importanti per me, alle quali debbo essere grato”.

Immaginiamo che ricorderà benissimo le sensazioni provate il giorno della sua ordinazione sacerdotale.

“Era il 29 maggio 1983, nella cattedrale di Sansepolcro e il vescovo che mi ordinò era l’allora titolare della diocesi: monsignor Giovanni Telesforo Cioli. Le sensazioni di quel giorno furono molteplici, ma ricordo in particolare la grande emozione che mi ha accompagnato per l’intera cerimonia: ero circondato da amici, parenti e dalla comunità. Un atto di totale donazione a Dio”.

I luoghi nei quali ha finora esercitato il suo apostolato?

“Appena diventato prete, sarei dovuto andare a Roma per un perfezionamento negli studi, poi il vescovo mi propose Sestino e io accettai, ma il prete del paese aveva forse timore di un religioso giovane vicino a lui e allora mi prese don Piero Pilotti per fare il cappellano nella chiesa di San Giuseppe Artigiano alle Forche di Sansepolcro. Mi sono così ritrovato per un anno e mezzo a operare nella mia parrocchia ed è stato il momento più bello, perché don Piero non mi faceva celebrare i funerali e mi aveva affidato l’incarico di stare a contatto con i ragazzi, vedi campeggi e gite. Francamente, è stata un’esperienza che, come cappellano, ancora rimpiango. Dalle Forche, sono stato trasferito nel 1985 a Tavernelle di Anghiari e lì è iniziata la bella avventura nel ruolo di parroco: un’avventura stupenda, perché ricca di incontri e significativa per la mia crescita personale, con assieme la realtà delle suore del cenacolo di Montauto e così via. Nel 1999/2000 sono venuto ad Anghiari nella Propositura, che è la principale chiesa del paese; alla morte di don Vittorio Bartolomei e poi di suo fratello, don Fabio, sono divenuto parroco e rettore del Santuario della Madonna del Carmine al Combarbio. Attualmente – seppure ancora per poco – sono titolare di 7 parrocchie, di un santuario e di 36 chiese, quindi diciamo che, a modo mio, ho una piccola diocesi e mi sono già esercitato nel fare il vescovo”.

Un segnale dei tempi di oggi, nel senso che mancano le vocazioni e quindi anche i sacerdoti scarseggiano?

“Sì, mancano preti e parroci. Mentre prima ogni parrocchia aveva il suo titolare, adesso siamo io e due cappellani stranieri: uno di colore, originario dell’Africa e un altro indiano, che mi stanno aiutando. In tre corriamo dappertutto”.

Quali ruoli ricopre o ha ricoperto all’interno della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro?

“Sono stato presidente dell’Ufficio di Sostentamento del Clero. Una responsabilità molto importante, trattandosi dell’istituto che accorpa tutti i beni beneficiari delle parrocchie: qualcosa come 1000 edifici, 2000 affittuari e poi ristoranti, agriturismo e caserme. Un’altra esperienza formativa durata 12 anni, che mi ha affinato nella gestione di certe problematiche e soprattutto un’altra esperienza a livello umano: sono entrato in contatto con gente semplice e allo stesso tempo autoritaria, che mi ha reso più determinato nel carattere, insegnandomi a non aver paura nell’affrontare le questioni e nel prendere le decisioni. Ho fatto il presidente per due mandati, quindi per 10 anni, poi l’allora vescovo Gualtiero Bassetti non riusciva a trovare il sostituto e allora sono rimasto per altri due”.

La notizia della elevazione a vescovo l’ha colta di sorpresa, oppure era nell’aria? 

“Premetto che sono vecchio per fare il vescovo. La nomina avviene in genere fra i 50 e i 55 anni e io ne ho 65. Non nego che sul mio conto qualche voce circolasse, anche se nel nostro ambiente è normale. Dico la verità: mi sentivo oramai al sicuro e infatti ho comprato casa a Sansepolcro, accendendo un mutuo, per cui pensavo di essere fuori; invece, il 4 febbraio scorso ricevo una telefonata sotto segreto pontificio, vengo convocato a Roma per le 10.30 del giorno successivo - martedì 5 - e mi viene comunicato che papa Francesco ha scelto anche me per questa nomina e che avrei dovuto rispondere subito. Non ho avuto quindi il tempo per riflettere. Evidentemente, il Signore si serve anche di cose strane che accadono e di imprevisti, o di circostanze non programmate, per condurti dove vuole Lui”. 

Con la nomina a vescovo e il trasferimento a Perugia, diventa automatico anche l’azzeramento degli incarichi non religiosi da Lei ricoperti?

“Non c’è incompatibilità, ma nemmeno la convenienza nel mantenerli. Alludo al ruolo di consigliere di amministrazione della Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo: presto rassegnerò le mie dimissioni. Non ritengo che debba avere altre responsabilità: d’altronde, diventare vescovo è come rimettersi in gioco e ricominciare daccapo. Fino a Pasqua sarò titolare della parrocchia qui ad Anghiari, poi saluterò tutti nel pomeriggio del 28 aprile al Carmine e la mia entrata ufficiale a Perugia è in programma domenica 5 maggio, giorno del trasferimento a Lucca di monsignor Paolo Giulietti, del quale prenderò il posto. Già, comunque, un paio di volte alla settimana mi reco a Perugia per fare conoscenza con alcune realtà, vedi il seminario”.

Un chiarimento: perché Lei è titolare a Termini Imerese, in Sicilia e ausiliario a Perugia?

“Perché ogni vescovo ha bisogno di una sede di titolarità: non esiste concettualmente un vescovo senza sede. A Termini Imerese non c’è più il vescovo, ma è rimasta la sede; o meglio, era sede di diocesi, che poi è stata accorpata con quella di Palermo, però la sede è rimasta e la titolarità di Termini Imerese mi dà la possibilità di essere vescovo a tutti gli effetti, da impiegare anche in altre responsabilità e funzioni. Ricordiamo che anche il papa è tale, in quanto vescovo di Roma”.

Con quale spirito si appresta ad affrontare la nuova missione di vescovo?

“Mi sto sempre più rendendo conto della complessità di Perugia, città molto viva e variegata, con molti problemi ma anche con molte risorse umane, che costituiscono la ricchezza di una comunità. Adesso sto facendo un’attenta opera di ascolto per inquadrare la situazione. Oltre che a quella della Chiesa, la mia attenzione sarà rivolta anche alla realtà dei sacerdoti e dell’amministrazione, perché la diocesi necessita di una struttura curiale che funzioni”.  

Come dire che il lavoro ricomincia a 65 anni?

“E fino a 75, età nella quale i vescovi vengono collocati in pensione, sicchè la quiescenza è rimandata”.     

E lavoro al fianco del cardinale Gualtiero Bassetti.

“Prima di tutto, conoscendo il cardinale Bassetti, più che il ruolo colpisce lo spessore umano di questa persona: arguta e intelligente, ma allo stesso tempo molto buona e capace di accoglierti come persona. Sono preoccupato per molte cose, ma tranquillo per il rapporto che ho con Bassetti, il quale mi sta ricevendo con una paternità infinita e questo mi dà sicurezza”.  

Considerati gli impegni di Bassetti in qualità di presidente della Cei, il vescovo operativo sarà Lei?

“Diciamo che “al pezzo” ci starò io, ma che andremo comunque avanti in comunione di intenti”.

Quanto Le dispiace dover salutare Anghiari?

“Si chiude un capitolo lungo più di 30 anni, includendo anche il periodo di Tavernelle. Da una parte è un dolore, perché sono cresciuto in questa realtà e con queste persone: basta incontrarle in giro e ci si accorge dell’esistenza del substrato di un rapporto durato anni e anni. Perderlo è un dispiacere e confesso che da parte mia sia faticoso lasciare. Dall’altra parte, però, ci sono anche il fascino e la curiosità di un qualcosa di nuovo, tanto che il motto scelto per il mio stemma è “Duc in altum”, ossia “prendi il largo”. Quando Cristo si presenta ai pescatori e agli apostoli che non avevano pescato niente ed erano sfiduciati dopo aver faticato tutta la notte, dice loro: “Prendete il largo, rimettetevi in corsa”. Loro lo hanno fatto e il risultato è stato una pesca miracolosa”.

Chi sarà il suo successore alla Propositura?

“Non lo so, anche qui c’è il totonomine. Spero che non lo giochino al Lotto, come hanno fatto con le mie date quando sono diventato vescovo”.  

Prima del congedo, Lei ha fatto un ultimo regalo ai suoi parrocchiani. Quale?

“L’accurata ristrutturazione della Propositura. Un intervento di restauro della chiesa abbastanza consistente ed esteso all’oratorio esterno; abbiamo rimesso in sicurezza il tetto, rifatto la copertura ex novo e proceduto con il consolidamento, quale intervento di miglioramento sismico. Intonaci e tinteggiature hanno rifinito il tutto”.

Una forma di “omaggio” alla chiesa stessa, che è stata costruita nel 1719 e che quindi compie 300 anni esatti. Una chiesa che ha subito anch’essa la botta con il forte terremoto del 13 giugno 1948.

“Il tetto era stato rifatto nel 1936, prima della guerra e quindi ha resistito abbastanza bene, naturalmente con le caratteristiche tecniche di 80 anni fa, per cui aveva bisogno di un bella risistemazione”.

Essendo architetto, Lei è stato anche il progettista. Una soluzione in casa, quindi?

“Sì, anche se mi hanno aiutato il geometra Marco Marioli per la parte grafica e l’ingegner Armando Babbini per il capitolo del consolidamento sismico. I lavori sono iniziati in settembre e, nonostante il fermo invernale, a fine marzo sono terminati, con l’inaugurazione che si è tenuta il 5 aprile e l’arcivescovo Riccardo Fontana che ha presieduto la cerimonia. Abbiamo anche redatto una pubblicazione, distribuita alle famiglie e a chi ha aiutato e contribuito”.    

Ha avuto modo di incontrare papa Francesco?

“Sono andato a Roma per fare il giuramento davanti al papa, come spetta a ogni vescovo appena nominato, ma quel giorno era mercoledì e il pontefice era impegnato nell’udienza generale. Ha allora delegato un cardinale a fare il giuramento di fede e di obbedienza al papa. Non l’ho così trovato, ma in settembre proprio papa Francesco ha chiesto che i 35 nuovi vescovi di tutto il mondo stiano dieci giorni con Lui, perché vuole insegnarci a svolgere il nostro compito. In quella sede lo conoscerò”.

Papa Francesco, il pontefice giusto al momento giusto?

“Sì, ha lasciato un po’ perplessi all’inizio, poi - rimanendo fedeli e andando a fondo su ciò che il papa sta portando avanti – possiamo affermare che si tratta di una bella novità per la Chiesa. C’è bisogno di uno svecchiamento e della stimolazione di una società oramai vecchia e allora questo papa è frutto di una grazia. Un uomo semplice, che però invia messaggi forti; un papa buono e nel contempo molto deciso e dal carattere determinato, per cui non è facile scherzarci. Anche la mia scelta può avere una spiegazione, non legata a esigenze di carriera. Questo papa è più orientato verso parroci e pastori e ciò può avermi favorito al momento della nomina”.

E se Marco Salvi non avesse imboccato questa strada, oggi sarebbe stato impegnato come architetto nel suo studio professionale?

“Probabilmente sì… ma vai a capire dove sarei stato! Sicuramente, non sarei stato contento come lo sono ora, quindi debbo ringraziare il Signore che mi ha indirizzato su questa strada, perché fare il prete è faticoso, ma arrivi alla sera che ti senti soddisfatto e appagato. Se sono vescovo, è merito anche del popolo che mi ha generato. Non si nasce a caso: c’è sempre un humus che determina una crescita e penso di essere cresciuto grazie a questo popolo e a una Valtiberina che sono stati punto di riferimento per la mia crescita. Grazie a loro, quindi!”.

 

Marco Salvi è nato il 4 aprile 1954 a Sansepolcro da padre biturgense, Salvio (scomparso diversi anni fa) e da madre aretina, la signora Tina. È il secondo di quattro figli: più giovane della sorella Giuliana e più grande del fratello Alessandro e dell’altra sorella, Laura, che da sempre vivono a Sansepolcro. Laureato in Architettura all’Università di Firenze con massimo dei voti e lode, discutendo una tesi in materia di industrializzazione edilizia, è poi entrato nel seminario vescovile di Arezzo, ricevendo l’Ordine Sacro nel maggio del 1983. Dopo una breve esperienza da cappellano nella chiesa di San Giuseppe Artigiano alle Forche, nel 1985 è diventato parroco a Tavernelle di Anghiari e lo stesso incarico lo ha poi ricoperto nella parrocchia della Propositura, la principale chiesa del capoluogo, dove è arrivato nel 1999. Nella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, ha ricoperto per 12 anni la presidenza dell’Ufficio di Sostentamento del Clero, mentre fra gli incarichi extra-religiosi c’è quello di consigliere di amministrazione della Banca di Anghiari e Stia, che tuttora ricopre. Iscritto all’albo degli architetti, ha potuto sviluppare per la diocesi una intensa attività di studio, progettazione e restauro di edifici religiosi e storici, che lo ha portato a curare il recupero di molte chiese e di strutture ecclesiastiche bisognose di intervento. Appassionato e anche docente di storia dell’arte in istituti medi superiori di Arezzo e Cortona, ha pubblicato anche due opere di storia dell’architettura e dell’abitare. Il 5 febbraio 2019, a Roma, ha ricevuto la comunicazione della nomina a vescovo da parte di papa Francesco, in qualità di titolare della sede di Termini Imerese e di ausiliario della diocesi di Perugia-Città della Pieve, dove farà l’ingresso ufficiale domenica 5 maggio.     

Redazione
© Riproduzione riservata
09/05/2019 11:19:11


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