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Maria Grazia Spillantini, la ricercatrice amica e collega di Rita Levi Montalcini
Nativa di Caprese Michelangelo e docente all’Università di Cambridge di neurologia molecolare
Sì, è uno dei cervelli in fuga dall’Italia. Lei è Maria Grazia Spillantini, classe ’57 cresciuta a Caprese Michelangelo dove ancora oggi risiede la sorella e parte della famiglia. Di professione ricercatrice, ma anche docente all’Università di Cambridge di neurologia molecolare. Per anni ha lavorato fianco a fianco con il Premio Nobel Rita Levi Montalcini, portandola in visita anche nella sua Caprese Michelangelo nel maggio del 2009, che gli ha consentito di crescere nel proprio percorso lavorativo. La professoressa Maria Grazia Spillantini, da sempre, è impegnata nello studio e nella ricerca di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e l’Alzheimer.
· Chi è Maria Grazia Spillantini?
“Sono nata ad Arezzo, cresciuta a Caprese Michelangelo e con residenza a Pieve Santo Stefano. Avendo studiato alle scuole medie Buonarroti di Sansepolcro e al Liceo Scientifico ‘Città di Piero’, mi sembra di rappresentare un po’ tutta la Valtiberina e ho amici ovunque! La mia base è però la Lama, a Caprese, dove c’è mia sorella, con la quale sono molto legata, cosi come con la sua famiglia. Ho studiato Biologia a Firenze dove, lavorando sul dolore nelle cefalee all’istituto diretto dal professor Federico Sicuteri, ho capito quanto mi appassionasse la ricerca; sono sempre stata curiosa e mi impunto fino a quando non trovo delle risposte. Mi piace andare a cercare i funghi, ci andavo con il mio babbo e delle volte non mi spostavo da un punto finché non ne trovavo uno! Il mio babbo diceva che insistevo così tanto che li facevo nascere. Raccogliere le castagne era più semplice, ma molto meno stimolante”.
· Come nasce il suo percorso di studio che l’ha portata in Inghilterra e in giro per il mondo?
“Dopo avere fatto Biologia all’Università di Firenze andai con una borsa di studio al Centre ‘Paul Broca’ all’INSERM di Parigi a studiare le sostanze coinvolte nel dolore. Successivamente, ritornai a Firenze con la borsa di studio ‘Giuseppe Guelfi’ dell’accademia dei Lincei sponsorizzata dalla professoressa Levi Montalcini e da qui poi mi spostai all’Istituto Superiore di Sanità di Roma nel gruppo del professor Massotti con una nuova borsa di studio. Fare ricerca non è semplice, soprattutto all’inizio, perché occorre trovare borse di studio per continuare e mantenersi. Il professor Sicuteri ci incoraggiava a fare domande ovunque era possibile. Dopo l’Istituto Superiore di Sanità ritornai a Firenze e feci una domanda per un’altra borsa di studio dell’Accademia dei Lincei per andare a Cambridge. Questa fu supportata dal professor Erspamer, un noto farmacologo romano e membro dell’Accademia. Ebbi la borsa di studio per un anno ma il professore con cui avrei dovuto lavorare si era spostato e quindi finii in un altro laboratorio, quello di Stephen Hunt che collaborava con Michel Goedert sullo studio di ‘nerve growth factor’. Michel era un senior postdoctor nel Laboratorio di Biologia Molecolare del Medical Research Council (MRC-LMB) dove era arrivato con Sir Sidney Brenner e aveva appena iniziato a lavorare con Sir Aaron Klug per identificare la proteina che componeva le inclusioni intracellulari nei pazienti con Alzheimer. Poco prima di partire per l’Inghilterra avevo vinto un dottorato all’Università di Firenze, ma appena giunta all’ MRC-LMB mi venne suggerito di fare il dottorato (PhD) a Cambridge. Era un impegno che non potevo sostenere economicamente, ma Rita Levi Montalcini mi disse che non potevo perdere quell’opportunità di lavorare all’MRC-LMB, che aveva partorito 14 Premi Nobel. Fu lei a trovarmi una borsa di studio e cosi iniziai nel laboratorio di Sir Aaron Klug lavorando con Michel Goedert a fare il PhD Università di Cambridge e associata a Peterhouse, college più antico e fondato nel 1254. Dopo vari anni mi venne offerto un posto al CNR a Roma, Rita mi diceva sempre ‘dobbiamo ritornare nel nostro Paese’, come aveva fatto lei e quindi ritornai. Purtroppo l’esperienza non fu delle migliori e dopo qualche anno, con il suo assenso, diedi le dimissioni e ritornai come senior postdoctor a Cambridge, questa volta all’Università al Cambridge Centre for Brain Repair, non all’MRC-LMB. Qui diventai Lecturer, poi Reader (Professore Associato) e nel 2007 professore Ordinario di Neurologia Molecolare, e questo sebbene non fossi medico”.
· C’è stato sicuramente un legame importante con Rita Levi Montalcini: come si è creato questo rapporto ed in particolare che tipo di rapporto era?
“Mentre ero a Parigi feci una domanda per la borsa di studio dell’Accademia dei Lincei ‘Giuseppe Levi’ che era stata creata da Rita Levi Montalcini con i soldi ereditati dal padre. A mia sorpresa, Rita mi invitò ad una interview a Roma. Quando arrivai, la trovai seduta al microscopio e mi fece vedere come sezionare un embrione di pollo. Mi chiese da dove venivo e ci mettemmo a chiacchierare, sebbene fosse prima del Nobel: era una scienziata molto conosciuta e mi stupì il suo atteggiamento amichevole e non altezzoso come altri avrebbero avuto. Era il 1982 e da quel momento nacque un forte rapporto che è rimasto fino alla sua scomparsa. Fra noi c’era amicizia e rispetto anche scientifico. Era Rita la persona che mi incoraggiava nei momenti in cui gli esperimenti non funzionavano o che mi telefonava quando aveva bisogno di un consiglio. Dopo il Nobel per festeggiare, invitò a pranzo me e Michel Goedert (che aveva lavorato su NGF) al Russell Hotel di Londra. Michel e io ci incontrammo per la prima volta in quell’occasione per cui fu bello quando portai nostro figlio Thomas a conoscerla! Rita aveva una forza e passione per la ricerca incredibili e la trasmetteva a chi le stava vicino: metteva un po’ di soggezione pensando alla persona che era, ma ti faceva sempre sentire a tuo agio”.
· ‘Spillantini Lab’: cosa significa?
“Nel mio laboratorio ho 12 persone fra tecnici, postdoctors, studenti e visitors. Ogni student e postdoctor ha un proprio progetto di ricerca. Lo scopo del nostro lavoro è capire le cause delle malattie di Alzheimer e del Parkinson. Al momento non esistono cure. Queste malattie sono caratterizzate dalla presenza di aggregati di proteine che portano allo sviluppo della patologia. Queste proteine sono normalmente nel nostro cervello ma ad un certo punto, per ragioni ancora non chiare, cominciano a non svolgere più il loro compito e formano degli aggregati filamentosi tossici che portano alla morte delle cellule nel cervello. Noi abbiamo contribuito all’identificazione di queste proteine, come ad esempio la proteina Tau che si aggrega nei cervelli di soggetti con varie forme di demenza come l’Alzheimer e la demenza frontotemporale. Per quanto riguarda il Parkinson abbiamo mostrato che la proteina a-sinucleina, che avevamo inizialmente identificato nel cervello umano, forma gli aggregati caratteristici della malattia che si chiamano corpi di Levi. Varie malattie con aggregati di tau ora sono chiamate Tauopathie o se invece hanno aggregati di a-sinucleina sono conosciute ora come Synucleinopathie. Sia gli aggregati di tau che di alpha-synuclein sono ora il target da eliminare per trovare una cura per queste malattie”.
· Quanto è importante fare e investire nella ricerca?
“Investire nella ricerca è fondamentale. È l’unico modo per progredire, mantenersi all’avanguardia a livello internazionale e riuscire a risolvere i vari problemi del mondo che ci circonda. È comunque importante investire in modo mirato, solo dare fondi non basta”.
· Le manca l’Italia, sia da punto di vista professionale che personale?
“L’Italia mi manca da un punto di vista personale, non professionale. Dopo alcuni anni a Cambridge nel 1991 vinsi un posto da ricercatore al CNR di Roma. Andai a Roma ma dopo qualche anno diedi le dimissioni e ritornai all’Università di Cambridge come postdoctor, non era un posto fisso come a Roma ma facevo la ricerca che mi piaceva e soprattutto in assenza di politica. In Italia contava molto, a quei tempi, da che famiglia uno veniva, mentre in Inghilterra c’era meritocrazia e contava quello che facevi. Dal punto di vista personale, in Italia ho mia sorella e la sua famiglia che per me sono un punto di riferimento: ho anche tanti amici e la cosa bella è che quando li rivedo sembra che il tempo non sia passato. La famiglia, le amicizie e il modo di vivere sono quello che mi manca dell’Italia”.
· Emergenza delle patologie degenerative: come si combatte e qual è l’entità del problema a livello globale?
“Le malattie neurodegenerative sono sempre esistite, già si trova menzione della perdita di memoria in scritti di Cicerone e del Parkinson si parla nella medicina Ajurveda 5000 anni BC. Oggi queste malattie sono molto più comuni perché sono associate con l’età e ora viviamo molto più a lungo. Inoltre, i metodi diagnostici sono migliorati permettendo una diagnosi più precisa. I dati odierni predicono che nel 2030 ci saranno quasi 75 milioni di persone nel mondo affette da demenza e 10 milioni con il Parkinson. Purtroppo non ci sono cure ma solo trattamenti sintomatici per il Parkinson. Per l’Alzheimer sebbene si sia parlato molto recentemente di trattamenti con anticorpi, questi riescono a rallentare la progressione solo di qualche mese e possono dare gravi effetti collaterali. È necessario capire le cause por poter trovare delle cure efficaci, ed è quello che noi ed altri cerchiamo di fare. Cercare di rimanere attivi sia dal punto di vista fisico che intellettivo è quello che può aiutare”.
· Ci può descrivere una giornata ‘tipo’ della professoressa Spillantini?
“Io lavoro bene la mattina e quindi cerco di alzarmi presto per scrivere papers, grants o fare reviews come referee. A metà mattinata vado in laboratorio e mi piace parlare con le persone che ci sono. Una volta alla settimana ci riuniamo per discutere i progressi nel lavoro e i risultati. In genere non pranzo, prendo un caffè. Nel pomeriggio ho degli appuntamenti singolarmente con i vari membri del lab per vedere insieme come procede il lavoro e appianare eventuali problematiche. Ho vari meetings nel dipartimento che possono essere sia la mattina che il pomeriggio. Spesso ho incontri su zoom con collaboratori in varie parti del mondo. Verso le 19 vado a casa, preparo la cena e finisco la giornata rilassandomi guardando qualche film alla televisione Italiana. Alcune volte ho dei meetings al college di cui sono membro, Clare Hall, questi in genere sono nel tardo pomeriggio e in quel caso rimango a cena lì con i miei colleghi. Anche Il weekend è di solito dedicato molto al lavoro, eccetto il sabato mattina quando vado a camminare per circa 10 chilometri per scaricare la tensione della settimana. La mia vita sociale è soprattutto in Italia e quando viaggio per conferenze, il che accade molto spesso. Mi piace viaggiare e scoprire nuovi posti e culture anche se per ora lo faccio prevalentemente per lavoro”.
· Quale consiglio darebbe ad un giovane che oggi vorrebbe intraprendere un percorso professionale come il suo?
“Di seguire la sua curiosità e la passione per la ricerca, anche se in alcuni momenti ti fa pensare di essere irresponsabile facendo quello che ti piace e ignorando il resto. Non si guadagna molto e ci vuole tempo prima di avere un posto fisso, ma quando si ottiene un bel risultato da un esperimento la soddisfazione ripaga e apre strade insospettate”.
Secondo lei c’è una soluzione per evitare la ‘fuga di cervelli’ dall’Italia?
“Importante è aumentare i fondi per la ricerca, inclusi gli stipendi considerando quanto costa vivere nelle grandi città dove ci sono gli Istituti di ricerca. Ma fondamentale è la meritocrazia, vivendo all’estero sono stata in contatto con tanti “cervelli in fuga” e una delle ragioni maggiori per lasciare l’Italia è la mancanza di valorizzazione degli individui meritevoli. È triste vedere quanti italiani all’estero ottengano risultati importanti ed è vero che fanno onore al nostro Paese, ma questo andandosene!”.
Davide Gambacci
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