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Elia Volpi, l’antiquario mecenate che volle la pinacoteca nella sua Città di Castello

Partito come restauratore, era riuscito a creare un museo privato, ma si ritrovò coinvolto anche in uno scandalo falsario, uscendone comunque con una immagine onesta

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Di lui si ricorda soprattutto la creazione della collezione di palazzo Davanzati a Firenze, edificio acquistato all'inizio del '900. Un'operazione non indifferente, perché nessun antiquario in Europa poteva vantare a quell'epoca una sede così prestigiosa. È quanto Dino Marinelli, autentico cantore della "tifernalità" con la penna, scrive nelle sue "Storie di vicoli e dintorni" e su "L'altrapagina" a proposito di Elìa Volpi, il pittore, mercante d'arte e appunto antiquario di fama mondiale nativo di Città di Castello e vissuto a cavallo fra XIX e XX secolo. I destini della vita lo portarono a Firenze, ma per la sua città si comportò da autentico mecenate, restituendo il suo a Palazzo Vitelli alla Cannoniera, che avrebbe donato al Comune a una condizione ben precisa: che vi fosse insediata la pinacoteca. Partito come restauratore, era riuscito a creare questo museo privato, ma si ritrovò coinvolto anche in uno scandalo falsario, uscendone comunque con una immagine onesta. Con l'ausilio di Dino Marinelli, memoria storica, andiamo a ricostruire il profilo di questo signore, da collocare senza dubbio a pieno titolo fra le figure più significative che Città di Castello ha saputo esprimere.

GLI ANNI DEL SUCCESSO PROFESSIONALE A FIRENZE, LEGATI A PALAZZO DAVANZATI

Elìa Volpi era nato il 25 marzo 1858 a Città di Castello (ma si specifica che la località era quella di Colle Plinio) e diventò antiquario di livello assoluto in una Firenze che proprio fra la fine dell'800 e l'inizio del '900 era uno dei centri principali del commercio in questo settore, perché tanti erano i collezionisti e i direttori di musei europei e americani che vi gravitavano per l'acquisto di opere d'arte del Medioevo e del Rinascimento, con le quali arricchire le loro collezioni. E Volpi non era soltanto un commerciante, ma anche un appassionato di pittura, di restauro e di collezionismo. A Firenze aveva frequentato l'Accademia delle Belle Arti ed era anche un eccellente pittore, che però fu costretto a cambiare mestiere per cercare un'attività più redditizia. Aveva iniziato come restauratore e assistente di Stefano Bardini, antiquario fiorentino originario di Pieve Santo Stefano e poi a metà degli anni '90 del XIX secolo scorso si era messo in proprio, dando vita a un'attività autonoma di antiquariato artistico con clienti di tutto riguardo: Wilhelm von Bode, direttore di museo e tanti collezionisti americani chiamati Bernard Berenson e Isabella Steward Gardner, ma anche Pierpont Morgan, banchiere. L'Annunciazione di Sandro Botticelli, in origine alla collezione Barberini, finì proprio a Elìa Volpi, che poi la vendette negli Stati Uniti e oggi si trova al Metropolitan Museum di New York. L'antiquario tifernate è stato artefice anche del passaggio del Ritratto del cardinale Pietro Bembo, dipinto da Tiziano, alla National Gallery di Washington. L'inaugurazione di palazzo Davanzati, avvenuta nel 1910, ha aperto la strada alla diffusione del Neorinascimento in America: d'altronde, il museo privato era stato allestito nel contesto di una residenza rinascimentale di Firenze. E i tanti visitatori stranieri che venivano a Firenze hanno poi contribuito anche ad allargare il giro di affari di Elìa Volpi. Palazzo Davanzati si trova in via Porta Rossa, nel centro di Firenze e si deve all'illustre tifernate il merito di averlo a suo tempo restituito all'antico splendore, trasformandolo nel prototipo dell'antica casa fiorentina. Volpi lo acquista nel 1904 e vi dedica energie e denaro per cinque anni, lavorando in segretezza ma realizzando tutti gli interventi che potessero migliorarne stabilità, aspetto e funzionalità. Elimina per esempio i soppalchi e sistema tetti, soffitti e pavimenti, rispolverando le decorazioni murali, ma realizza anche ascensore e impianto di riscaldamento, affidandosi ad artigiani e collaboratori di fiducia e andando avanti, nonostante i vincoli apposti dallo Stato. Il 24 aprile 1910 è il giorno dell'inaugurazione di Palazzo Davanzati in qualità di museo privato della Casa Fiorentina Antica; il giorno successivo è invece quello della grande asta nel villino Volpi di piazza Dora D'Istria: in vendita mobili, dipinti, sculture e maioliche. Dopo gli anni del successo, nei quali commercio e cultura procedono a braccetto, subentrano le difficoltà economiche, che costringono Elìa Volpi a vendere l'intero arredo del palazzo nelle aste di New York del 1916 e 1917. Il nuovo arredo dell'edificio, voluto da Volpi nel 1920, viene trasferito nel 1924 agli antiquari Leopoldo e Vitale Bengujat, che acquistano l'immobile nel 1927 sistemandovi tappeti e arazzi, armi e ferri battuti nella loggia d'ingresso. Una volta entrati in crisi anche i Bengujat, è lo Stato che acquista Palazzo Davanzati negli anni '50, restituendogli l'immagine che gli aveva dato Elìa Volpi, ovvero quella di antica casa fiorentina con il ritorno di mobili, maioliche, sculture, dipinti e pezzi provenienti dai depositi delle gallerie fiorentine e con l'aggiunta di donazioni di antiquari e collezionisti che si riconoscevano nel palazzo per il suo carattere rievocativo, espressione di una "fiorentinità" di dimensione mondiale. L'edificio è stato testimone dell'alluvione del 1966, nel senso che è stato sede del Centro restauri per le sculture e oggetti d'arte minori invasi dall'acqua, poi nel 1995 è stato chiuso al pubblico per una decina di anni a causa di problemi di staticità. La riapertura ha riconsegnato il 9 giugno 2009 alla città toscana la dimora medievale dei Davizzi e l'ideale rievocazione della casa fiorentina antica: un successo dell'impostazione data 100 anni prima da Elìa Volpi. E proprio fino a quel periodo riavvolgiamo il nostro ideale "nastro", perché con l'apertura di Palazzo Davanzati – scrive Dino Marinelli nel suo libro – "il provinciale povero di Città di Castello trattava con clienti di altissimo rango. Le sue aste americane riempivano pagine delle riviste specializzate". L'asta del 1916 a New York, evento del quale parlarono i giornali di tutto il mondo, porta a Volpi qualcosa come un milione di dollari di allora; una cifra da capogiro. Fra gli oggetti battuti, anche quelli di uso quotidiano e per la diffusione del gusto neorinascimentale negli Stati Uniti è stata una tappa chiave.

LO SCANDALO DEI FALSI DOSSENA E LA DIGNITA' DI VOLPI

Ma c'è anche un capitolo difficile nella vita professionale di Elìa Volpi, legato all'ultima asta tenuta a New York nel 1927: quello dei falsi Dossena. In altre parole, capolavori di scultura attribuiti ad artisti di rilievo del Rinascimento, quando invece erano opera del geniale falsario e scultore cremonese Alceo Dossena. Fra gli antiquari e i critici d'arte coinvolti nella vicenda c'era appunto anche Elìa Volpi, sul quale la stampa si accanì, ma Volpi ebbe comunque il grande merito di risarcire i clienti truffati. Il prestigio del personaggio è comunque salvo ed Elìa Volpi rimane a pieno titolo uno fra dei più grandi antiquari dei primi decenni del Novecento. Per rendere l'idea di chi fosse stato Elìa Volpi, Marinelli riporta quanto scritto sul quotidiano "La Nazione" il giorno dopo la sua morte, avvenuta il 26 novembre 1938: " ...la sua scomparsa priva la città di un figlio affezionato, di un mecenate, di un benefattore". E anche il Comune di Città di Castello lo volle ricordare con un pubblico manifesto affisso nel quale aveva fatto scrivere: "Egli non dimenticò mai la sua e la nostra città, dando linfa con le sue innumerevoli elargizioni ai nostri istituti di beneficenza, fino a far dono al Comune del monumentale palazzo della Cannoniera".

IL GRANDE REGALO ALLA SUA CITTA': PALAZZO VITELLI ALLA CANNONIERA

Risale al 1907, quindi siamo praticamente in contemporanea con l'operazione di Firenze, l'acquisto di palazzo Vitelli alla Cannoniera, l'elegante edificio cinquecentesco con la facciata decorata e l'annesso giardino che si trova nella parte sud del centro storico di Città di Castello, esattamente nel rione Prato. Elìa Volpi lo prese per donarlo al Comune tifernate, purchè ne facesse la sede della pinacoteca, come del resto è tuttora. "Il palazzo versava nel più totale abbandono – così almeno scrive Magherini Graziani – e dalle porte sconnesse fischiava il vento con gemiti sinistri; non solo: le mura erano sporche con cretti e le ragnatele si trovavano dappertutto. Una di queste tele – strana per la sua conformazione – cadde sotto gli occhi di Elìa Volpi e somigliava alle antiche trine veneziane del '500; misurava un metro e 40 centimetri per uno e 10 e l'insetto autore era chiamato "Panettiere". Ebbene, Elìa Volpi la volle incorniciare e la conservò nella sua casa di Firenze, poi nel 1930 la donò alla pinacoteca, dove si trova anche adesso. A notare la speciale "trina" era stato anche un grande artista del secolo scorso, Corrado Cagli, pittore e scenografo marchigiano. E Dino Marinelli, nelle sue "Storie", sottolinea ciò che scrisse Cagli in "Carte Segrete": "In Umbria, a Città di Castello, in un androne di palazzo Vitelli, non a me, né ad Alberto Burri, non a Nuvolo, né a Livio Dalla Ragione, può essere sfuggita l'inquietante immagine che larva di "Panettiera" aveva scavato [...] di quell'opera animale non ricordo la storia ma poiché palazzo Vitelli alla Cannoniera era stato, fin dai tempi di Elìa Volpi, adibito a Pinacoteca comunale, mi è apparsa in quel vestibolo la presenza di un poetico enigma di cui responsabile non fosse proprio l'uomo...". Palazzo Vitelli alla Cannoniera è stato la dimora del condottiero tifernate Alessandro Vitelli e la sua costruzione risale al decennio compreso fra il 1521 e il 1531, quando proprio Alessandro si sposò con Angela de' Rossi. La facciata è opera di Cristoforo Gherardi, artista della vicina Sansepolcro detto il Doceno e pare che il disegno originale sia stato dell'aretino Giorgio Vasari, amico del Gherardi; la facciata è un messaggio politico, dal momento che le mezzelune presenti (simbolo dei Vitelli, rappresentate anche nel loro stemma) sono disposte alla stessa maniera delle palle dello stemma dei Medici. Il messaggio è quindi chiaro: alleanza stretta con il futuro Granduca di Toscana, Cosimo I de' Medici. Ma sempre nella facciata erano presenti i busti di imperatori romani, tra cui quello di Vitellio; oggi, di queste sculture realizzate dai Della Robbia, non resta nulla: alcuni antiquari le hanno vendute alla fine dell'Ottocento. Sotto lo stemma dei Vitelli, è rappresentato un agnello incastrato tra i rami di un rovere, che alludono alla famiglia nemica dei Della Rovere (il rovere) e a un rappresentante della famiglia stessa poi divenuto Papa, Sisto IV (agnello). Nel palazzo, si vedono anche alcune scene mitologiche e richiami alla natura, con vari animali. La Signoria dei Vitelli prese il potere della città nella seconda metà del '400 e il segno lasciato è tuttora evidente: volevano rendere più bella ed elegante la città attraverso chiese, palazzi e monumenti seguendo gli stili dell'architettura toscana dell'epoca. La pinacoteca comunale tifernate ha compiuto i 100 anni di vita nel 2012, essendo stata allestita nel 1912 da Elìa Volpi dopo gli interventi di restaurazione già descritti in precedenza. Si compone di 21 saledisposte nei diversi piani e corridoi dell'edificio. Una nuova ala contiene diverse opere in gesso di Elmo Palazzi, una collezione di bronzi di Bruno Bartoccini e 23 opere donate da Ettore Ruggieri. Dal 21 aprile 2007 il piano interrato ospita il Museo delle conchiglie, in cui è esposta la collezione personale di Guglielmo Biraghi. La pinacoteca comunale di Città di Castello è la seconda per importanza in Umbria; nelle 21 sale sono esposte opere eseguite dal 1300 fino al secolo scorso; fra le più significative, lo Stendardo della Santissima Trinità di Raffaello (1503 circa, ex voto per la peste), il Martirio di San Sebastiano di Luca Signorelli (1497-98) e dipinti di Domenico Ghirlandaio, Andrea Della Robbia, Lorenzo Ghiberti, Antonio Vivarini, Raffaellino del Colle e il Pomarancio. La pinacoteca comunale tifernate si inserisce nell'itinerario artistico-culturale cittadino che comprende anche il museo del Duomo, i due musei di Alberto Burri (Palazzo Albizzini e Rignaldello) e quello della Tela Umbra. Negli ultimi anni, il numero dei visitatori è salito; il trend positivo continua e ci sono nuovi attori protagonisti, in linea con i tempi di oggi, ma tutto è partito da Elìa Volpi e dalla felice intuizione di creare una collezione d'arte dentro un contenitore speciale: un palazzo storico di una bellezza tutta sua, recuperato nel migliore dei modi quando oramai era in preda al degrado e alle ragnatele.

Articolo tratto dal periodico l'Eco del Tevere

Redazione
© Riproduzione riservata
13/11/2017 09:35:48


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