Vinosanto affumicato dell'Alta Valle del Tevere
Nei locali costruiti per stendere ad asciugare le foglie di tabacco, i produttori di vino sistemavano anche i grappoli, esponendoli al fuoco e al fumo delle grandi stufe a legna. Il connubio tra i due prodotti continuava anche dopo: quando i contadini dissotterravano le casse in latta dove avevano nascosto un po' di tabacco per sottrarlo ai monopoli di stato, per ammorbidire le foglie le irroravano con il vinosanto. E la tradizione di inzuppare il sigaro toscano nel vinosanto prima di fumarlo esiste ancora oggi.
Le uve impiegate sono trebbiano, malvasia ma anche grechetto, cannaiolo, vernaccia e san colombano, tutte raccolti a maturazione ancora non eccessiva, affinché le bucce degli acini siano spesse e resistano all'appassimento, che dura almeno tre, quattro mesi, fino a dicembre o gennaio. I grappoli sono quindi diraspati, pigiati e lasciati a fermentare in botti di legno con il lievito madre che ogni famiglia custodisce. Rimangono poi in locali ben areati e soggetti agli sbalzi di temperatura stagionali. Il tempo fa il resto, offrendoci - dopo almeno tre anni - un vino amabile con note di frutta secca e miele di castagno, ma con un inconfondibile sentore di fumo che ricorda appunto il tabacco da sigaro.
Commenta per primo.