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Crollo degli ovini in Valtiberina, colpa del lupo… ma non solo

Negli ultimi 10 anni si é registrato un calo del 50%

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L’emorragia è marcata, ben visibile ad occhio nudo facendo un rapido confronto con gli ultimi dieci anni. Sono poi i numeri che confermano la forte preoccupazione degli allevatori, spesso lasciati soli di fronte alla violenza del lupo e ai problemi che interessano le zone più marginali. Abbiamo preso come riferimento la Valtiberina, meglio ancora i due Comuni più in quota come Badia Tedalda e Sestino, seppure il problema emerge un po’ a macchia di leopardo in tutta l’Alta Valle del Tevere e in Italia. Veniamo al dunque. Negli ultimi dieci anni si è registrato un calo della presenza di ovini e caprini – tradotto in pratica pecore e capre – di quasi il 50 per cento: dato ancora più marcato in alcuni dei Comuni della Valtiberina Toscana, seppure la media precisa oscilla tra il 45 e il 46 per cento. Un dato analizzato nei dettagli, ma che purtroppo si rispecchia sia nel numero degli allevamenti presenti che in quello del totale dei capi allevati. Ma se ovini e caprini stanno segnando questo rapido declino dovuto a vari fattori, non stanno meglio i bovini tenendo pure conto che in questo angolo di Toscana insiste la pregiata razza Chianina. Quella tipologia di carne le cui problematiche sono state trattate nel numero di aprile dell’Eco del Tevere con tanto di storia e di testimonianze dirette degli allevatori. Inchiesta, oggi, basata sia nei dati che sono stati estrapolati dalla Banca Dati Nazionale della Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare ma anche su testimonianze dirette di allevatori che questo declino lo hanno vissuto ma lo stanno vivendo tuttora in prima persona.

L'allevamento delle pecore nel tempo è stata una delle più antiche forme di attività economiche nei Comuni di montagna come possono essere Badia Tedalda e Sestino. Oltre alla carne per alimentarsi, questi animali sono in grado di fornire latte per produrre formaggi, lana per riscaldarsi, agnelli da vendere nel periodo di Pasqua oppure pelli da conciare. Fino agli anni ’70 e ‘80 del secolo scorso gli allevatori erano numerosi, tanto da essere considerata una delle principali attività della zona: negli ultimi decenni, però, c’è stato il crollo della produzione nonostante si configura anche un dato interessante più volte messo in evidenza dalle associazioni di categoria del settore; ovvero, quello che tanti giovani stanno portando avanti l’attività di famiglia, i quali hanno scelto poi di rimanere nel territorio nonostante marginale e con tutta una serie di difficoltà. Un dato interessante, vero, ma che si focalizza principalmente su attività agricola e allevamento di bovini, molto meso su quelli di ovini e caprini. Gli allevamenti per la maggior parte erano a conduzione familiare, sparsi in località di montagna. A Pratieghi, per esempio, si contavano 20 gruppi con circa 700 pecore; a Fresciano 4 gruppi e 450 pecore; a Caprile e dintorni 10 gruppi e 400 pecore; Rofelle 20 gruppi e 680 pecore mentre a Montebotolino 3 gruppi e 130 pecore. A Badia Tedalda e dintorni, come nelle zone di Stiavola, Mondatio e Monteviale, vi erano invece 8 gruppi per un totale 350 pecore. Ma c’è anche la particolarità nell’enclave, la Toscana in Romagna nella località di Cà Raffaello, che contava un centinaio capi. Numerosi erano anche nel Comune di Sestino, sparsi tra le frazioni da Ponte Presale e il Sasso di Simone Simoncello ai confini con le Marche. Tutti avevano nella stalla il loro gregge. A distanza di qualche decennio qualcosa è però cambiato e si assiste al picco di calo demografico di ovini e caprini. Lo scenario è decisamente triste, tale da portarsi dietro un danno produttivo e ambientale molto devastante; l’emorragia dello spopolamento ha iniziato nell’ultimo ventennio, più accentuato negli ultimi dieci anni, arrivando fino ai giorni nostri con ricoveri svuotati e chiusure inevitabili.

IL DECLINO DEGLI ALLEVAMENTI

Questo progressivo declino, in primis, viene attribuito alla presenza di predatori come il lupo: allarme lanciato da decenni dagli allevatori nei territori montani, chiedendo un piano più incisivo di contenimento che salvaguardi la specie per non rendere vano il lavoro di un’intera stagione. Una risposta chiara, però, non c’è mai stata e di conseguenza ha inciso negativamente sugli allevamenti. Un altro fattore importante, invece, doveva essere il ricambio generazionale che però in questo settore non c’è stato più di tanto, probabilmente dovuto alle grandi difficoltà e la scarsa tutela al tempo stesso spingendo i giovani a intraprendere altri percorsi rimanendo pur sempre nel mondo agricolo; gli ultimi allevatori, infatti, erano e sono principalmente dei pensionati. Un altro problema che ha messo a rischio la produzione locale sono stati i prezzi di mercato che in molti casi non coprono neppure i costi dell’alimentazione. Altra spina nel fianco sono le importazioni a basso costo senza garanzie da Paesi stranieri: questo ha inciso su tutta la filiera produttiva. Sta di fatto che gli appelli lanciati negli anni si sono rivelati solo grida nel nulla, poiché nessuno si è preso l’impegno concreto di muovere un dito a favore dei piccoli allevatori. E se qualcuno matura ancora qualche dubbio, la conferma purtroppo arriva dai numeri estrapolati dalla Banca Dati Nazionale della Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare. Al 31 maggio 2024 – quello che mostriamo è quindi una fotografia piuttosto attuale – nei sette Comuni della Valtiberina sono presenti ben 95 allevamenti che sviluppano un totale di 2311 capi registrati con regolare targhetta. Calcolatrice alla mano, seppure il dato non è comunque reale, porta alla media di 24 animali per ogni allevamento con la presenza maggiore registrata nel Comune di Anghiari con 742 capi. Bene, dieci anni fa com’era la situazione in Valtiberina? Ecco i numeri registrati al 31 dicembre 2014: sempre nel territorio della Valtiberina Toscana, infatti, gli allevamenti censiti erano 135 per un totale di 4235 animali; sempre la famosa calcolatrice dice la media di 31 capi per allevamento. Un calo piuttosto omogeneo nel territorio bagnato dal fiume Tevere, seppure il più marcato è proprio quello emerso da Badia Tedalda: nel 2014 c’erano 18 allevamenti per un totale di 700 capi, oggi ci troviamo di fronte ad appena 8 allevamenti registrati e 230 capi presenti. Un numero più che dimezzato, mentre maggiormente contenuto il calo è stato nei Comuni di Sestino e Pieve Santo Stefano per quello che riguarda gli allevamenti ma resta marcato se consideriamo quello singolo dei capi: -261 nell’ultimo lembo della Toscana, -355 nella Città dei Diari. Non stanno sicuramente meglio, però, gli altri Comuni colpiti da varie problematiche.

LE CARATTERISTICHE DEGLI ALLEVAMENTI LOCALI

La pecora “nostrana” di razza locale si muove libera in ampi pascoli, mentre in forma stanziale nei piccoli allevamenti, e ogni famiglia nel passato era proprietaria di alcuni capi che consentivano di soddisfare le necessità primarie. La tradizione prevedeva durante l’inverno che ogni proprietario accudisse le proprie pecore, alimentate con foraggi grossolani e frasche sia in prossimità del parto che durante la lattazione. In estate, invece, le pecore venivano inviate al pascolo e la “dieta” si arricchiva con fieni più nutrienti e appetibili. Per pasqua, invece, la tradizione prevedeva – ancora oggi - la vendita dell’agnello, figlio della pecora, poiché la sua carne era sicuramente migliore di quella prodotta all’estero. Il latte appena munto rappresenta un’eccellenza agroalimentare italiana molto più ricco di altri, con una quantità di grassi e proteine notevolmente superiore con il quale si producono i più famosi formaggi. Nel mese di maggio le pecore vengono sottoposte alla tosatura e un tempo le famiglie potevano rifornirsi di lana per essere poi utilizzata nel realizzare materassi, calze e maglioni. In questi luoghi non sono mai esistiti allevamenti intensivi: l’erba è frutto di un ambiente genuino, sano e naturale di un pascolo incontaminato e la loro nutrizione non è soggetta a nessun tipo di trattamento farmacologico. La tenuta del gregge recava pochissimo lavoro o fastidio: questo è uno dei meriti che i contadini attribuiscono ad esse. Nella mancanza di commercio e nella ristrettezza dei mezzi economici, le pecore e gli agnelli fornivano la massima quantità e qualità della carne e di risorse tra gli abitanti, dove l’economia rurale ha avuto un ruolo non trascurabile. L’allevamento delle pecore è sempre stato un punto fermo, anzi nei tempi passati lo era molto più rispetto a quelli attuali. Oggi i ritmi quotidiani sono diversi, tutto scorre più rapidamente e spesso vengono meno tutta una serie di principi consumando il dramma su un territorio dove la maggior parte delle famiglie viveva di pastorizia. Per salvare gli allevamenti locali occorrerebbe un cambio di passo che sia realmente risolutivo, dove gli operatori siano in grado di praticare la vendita diretta del loro latte o del trasformato. Se lo scenario non cambia rapidamente ovini e caprini, ma l’allevamento più in generale, restano solamente uno spaccato di storia.

… SOFFRONO ANCHE I BOVINI

Già, il nostro focus nel numero di luglio è basato su allevamenti ovini e caprini ma come accennato in parte non stanno sicuramente meglio quelli dei bovini. Attingendo sempre dalla Banca Dati Nazionali, infatti, possiamo mettere in luce anche questa situazione dove il calo c’è stato, ma non marcato come nell’altro caso. Il dato è sempre quello aggiornato al 31 maggio 2024: in Valtiberina Toscana sono presenti 136 allevamenti per un totale di 5411 capi censiti, mentre alla fine del 2014 se ne contava 6430 su 182 allevamenti. Sestino è sempre il Comune che ospita più capi mentre il calo maggiore nell’ultimo decennio si è avuto a Sansepolcro. Interessante, invece, è quanto emerge sulla riga di Caprese Michelangelo: in dieci anni, infatti, sono stati ‘persi’ solamente dieci capi ma anche 9 allevamenti; questo, però, significa che quelli rimasti hanno incrementato il numero degli animali presenti nelle stalle.

CI SENTIAMO SCONFITTI E UMILIATI

“Danni agli allevamenti dai lupi, la situazione è sempre più complessa – dicono Giorgio e Lorenzo Ferri Marini, titolari di allevamenti di pecore in località Caibugatti nel Comune di Sestino – e ci sentiamo sconfitti e umiliati. Questo conflitto in corso da decenni rappresenta una delle principali minacce del momento. Per salvare la specie, siamo dovuti intervenire con delle recinzioni particolari e mettere dei cani al seguito H24. Il branco è sempre lì che segue ogni mossa delle nostre povere bestie. Pertanto, invitiamo le istituzioni a fare la loro parte, di portare avanti un programma che preveda l’adozione di un piano di gestione delle popolazioni del lupo”.

NON SI TROVANO PASTORI PER GLI ALLEVAMENTI

“I giovani scelgono altre professioni. Negli ultimi decenni hanno chiuso i battenti decine di stalle, non ci sono più pastori disposti a lavorare in campagna – racconta Luana Vergni, titolare dell’allevamento di pecore in località Cerreto di Badia Tedalda - la pastorizia non è più il futuro, un addio che riguarda la nostra montagna, dove mancano le condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di allevatori. La causa si individua nei prezzi bassi e per la concorrenza sleale dei prodotti importati dall’estero”.

Notizia tratta dal periodico l'Eco del Tevere
© Riproduzione riservata
24/08/2024 11:33:57


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