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Cibo sintetico? No, grazie! Me ne guardo bene

Un attacco all’economia, alla cultura, alla tradizione e alla genuinità della gastronomia italiana

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Dall’America, dove c’è stato un primo ok, stanno per arrivare in Europa carne e pesce provenienti dal laboratorio. Una rivoluzione che sta preoccupando non poco: un attacco all’economia, alla cultura, alla tradizione e alla genuinità della gastronomia italiana e di quella sana più in generale che non possiamo assolutamente accettare

Premetto che nel titolo mi sono ispirato a quanto decenni addietro stava scritto sulle coccarde che giravano a proposito dell’energia nucleare e di chi era contrario a essa. Il paragone è però di natura soltanto dialettica. Normalmente, nel numero di dicembre del periodico ero abituato in passato a occuparmi del Natale, a stilare il consuntivo dell’anno trascorso e a parlare delle aspettative per l’anno che sarebbe di lì a poco iniziato, ma stavolta ho deciso di soffermarmi su una questione di stretta attualità che reputo una vera e propria vergogna: la carne sintetica. È notizia di questi giorni il pronunciamento (non è un qualcosa di definitivo) della Food and Drug Administration, la nota FDA, che ha detto un primo “sì” ai nugget di carne di pollo coltivata da Upside Foods, azienda che produce pollo sintetico raccogliendo cellule da animali vivi poi moltiplicate in un bioreattore. Fermiamoci per ora qui: l’America ha dato il primo ok di fatto a questa eventualità, per cui ciò vuol dire che in futuro ci potremmo cibare anche di carne sintetica o coltivata in laboratorio. Chi mi conosce, sa benissimo quanto io sia amante del buon cibo e difensore della tradizione a tavola. Proprio per questo motivo, nel 2013 ho creato l’Accademia Enogastronomica della Valtiberina, al fine di tutelare la nostra produzione di qualità e di salvaguardare il grande patrimonio di ricette, specialità e tradizione che l’Italia può vantare nel mondo. Un progetto di questo tipo ha – a mio avviso - due grandi criticità: mette a rischio il futuro della cultura alimentare delle nostre campagne, degli allevamenti e dei pascoli di una filiera che si troverebbe spiazzata e con gli operatori costretti a cambiare lavoro. Niente più bistecche alla fiorentina, niente più pollo e niente più pesce, perché dovremmo mangiare una “cosa” prodotta in laboratorio. Di questa “cosa” si parla da anni e per la precisione dal 2015. E allora, ritengo giusto dover informare i lettori sul significato di carne sintetica e sui forti dubbi che nutro in proposito, perché quando si parla di cibo c’è di mezzo la salute di tutti e quello di sapere cosa si mangia è un diritto sacrosanto. Torniamo a Upside Foods: è un’azienda ancora “giovane”, nel senso che è stata fondata nel 2015 in California ed è la prima di carne in provetta, ma anche di pollame e frutti di mare sintetici: ha raccolto fondi per un totale di 608 milioni di dollari anche da Abu Dhabi Growth Fund (ADG), Bill Gates, Richard Branson, Kimbal e Christiana Musk, Cargill, Baillie Gifford, Future Ventures, John Doerr, John Mackey, Norwest, Softbank, Temasek, Threshold, Tyson Foods e altri. Qual è il timore? L’approvazione negli Stati Uniti potrebbe costituire il viatico per un ingresso dei cibi sintetici anche in Europa, dove già dall’inizio del 2023 – quindi stiamo parlando in pratica di adesso – potrebbero essere introdotte le prime richieste di autorizzazione alla commercializzazione, quindi molto dipenderà dall’atteggiamento dell’Unione Europea. Gli italiani si sono già espressi con preoccupazione, tanto che il 75% si è dichiarato totalmente contrario a una eventualità del genere: questo il risultato emerso in base ai dati del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi economica. Insomma, tre italiani su quattro non vogliono assolutamente sulla propria tavola la ribattezzata “carne di Frankestein”. Una percentuale elevata, ma a mio parere anche bassa, perché nemmeno quell’italiano su quattro dovrebbe accettare un fatto del genere. Pretendiamo la sicurezza su tutto ed è giusto che sia così: quando si tratta di alimenti, cioè di pietanze che entrano dentro la nostra bocca, dovremmo essere più rigorosi che mai, perché su determinate questioni non si può scherzare. Ebbene, il solo pensare al modo in cui viene ottenuta la presunta “carne” lascia quantomeno esterrefatti: si tratta di una produzione in laboratorio al “latte” senza mucche, fino al “pesce” senza mari, laghi e fiumi. E questi sono i prodotti che rischiano a breve di invadere il mercato europeo. Per quanto riguarda la “carne” da laboratorio, la verità sulla quale si tace in maniera ingiustificabile riguarda la sua stessa essenza: è infatti un prodotto sintetico e ingegnerizzato, non salva gli animali perché viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare, non è accessibile a tutti poiché è nelle mani delle grandi multinazionali. Eccoci al dunque, perché qualcuno nel frattempo si sarà posto una domanda legittima: come è possibile una simile assurdità? La risposta non può che essere una: le multinazionali e i colossi dell’hi tech che vi stanno dietro. Se qualcuno non lo avesse ancora capito, sono queste potenze economiche a guidare (e non da ora) il mondo e a dettare i tempi del business; che lo possano fare su merci non commestibili mi può stare anche bene – semprechè vi sia una componente etica di base – ma non è accettabile che il cibo in provetta riesca a far presa sui consumatori grazie a mirate operazioni di marketing che coprono tutti i seri punti interrogativi generati da una simile strategia. Apprezzo l’uscita determinata del neo-ministro Francesco Lollobrigida, titolare del dicastero dell’agricoltura, delle foreste e della cosiddetta “sovranità alimentare”. Lollobrigida è stato chiaro: “Finchè saremo al governo, sulle tavole degli italiani non arriveranno cibi creati in laboratorio. Il governo è contrario a cibo sintetico e artificiale e ha intenzione di contrastare in ogni sede questo tipo di produzioni. Ritengo che il cibo sintetico rappresenti un mezzo pericoloso per distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola, con i diversi territori, cancellando ogni distinzione culturale, spesso millenaria, nell’alimentazione umana e proponendo un’unica dieta omologata, con gravissime ricadute sociali sui piccoli agricoltori”. Non posso che essere d’accordo con il ministro e spero che le sue parole diventino fatti. A proposito di parole: ci chiedevamo cosa volesse significare l’inedito termine “sovranità alimentare” fra le deleghe assegnate a Lollobrigida e quale fosse lo spirito della singolare dicitura; la questione del cibo sintetico ci offre uno spunto unico per dare la risposta attraverso una sorta di “teoria degli opposti”, perché proprio di fronte a questa insidia la nostra “sovranità” deve imporsi con forza, senza accettare compromessi. Il solo sentir parlare di prodotti chimici mi fa venire i brividi. Qui da noi, cioè in Italia, l’unica ad essersi per ora mobilitata è Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza degli agricoltori, che lo ha fatto anche attraverso Filiera Italia – prima forma di alleanza fra agricoltura e industria – e Campagna Amica, la realtà garante della genuinità del prodotto a chilometro zero. Non ci ha pensato due volte nel dare il via alla raccolta di firme e io stesso ho apposto la mia durante l’iniziativa tenutasi a Caprese Michelangelo per evitare un’autentica devianza della nostra sana cultura alimentare. Mi pare allora che i concetti da me espressi nelle righe precedenti siano stati chiari e prima di avviarmi verso la conclusione voglio ricordare un altro precedente, quello di “mucca pazza” all’inizio di un terzo millennio per ora più tormentato che tranquillo. La causa di questa malattia degenerativa dei capi bovini venne individuata nelle modifiche apportate al processo di produzione delle farine di carne, dal momento che per eliminare l’eccesso di grassi si usavano solventi potenzialmente cancerogeni. Ricordate bene la diffidenza che creò questa epidemia fortunatamente estinta. E comunque, solo la fiducia totale nei nostri allevatori ci spinse a continuare a mangiare la carne bovina. Ora c’è all’orizzonte l’incognita del cibo sintetico, che mi ricorda per certi aspetti quel periodo, ma con una preoccupazione ancora maggiore, perché stavolta la pazzia non sembra aver contagiato le mucche. Non solo: si parla di carne rossa, carne bianca e pesce, ma a quanto pare sulla stessa strada sembra essere indirizzata anche la verdura, per cui non è escluso che a fungere da contorno alla carne sintetica vi possa essere un domani l’insalata altrettanto sintetica. Peggio che mai, quindi. Non sono né filoamericano né contro l’America, ma credo che in questo caso si debbano erigere le barricate contro quello che ha le caratteristiche di un salto nel vuoto. E dico: se l’America vuole introdurre il cibo sintetico, faccia pure a suo uso e consumo; noi italiani non siamo d’accordo e peraltro proprio gli americani dovrebbero interrogarsi sul fatto di avere un alto indice di obesità determinato dai suoi regimi alimentari. La gravità legata all’introduzione e alla diffusione del cibo sintetico rischia di ledere il principio basilare dei corretti stili di vita che in ultimo anche i media stanno predicando e che stanno cercando di trasformare in cultura. Stili di vita che prevedono l’attività motoria combinata con una sana alimentazione, che poggia a sua volta le basi sulla qualità e la certificazione dei prodotti. La carne che il macellaio ti affetta sul momento, la tracciabilità di ogni capo bovino e il pesce che odora di fresco non possono che essere sostituiti da… essi stessi. Non esistono surrogati o prodotti sintetici che tengano e chi può affermarlo meglio di noi italiani, che possiamo senza ombra di dubbio definirci con orgoglio la potenza gastronomica mondiale? Un titolo che tutti ci riconoscono: siamo quelli che a tavola facciamo scuola e nostra è la maggioranza di cuochi e chef di livello mondiale, perché – lo ripeto – questa è una cultura ereditata dalla storia e dalla tradizione, che dovremmo essere noi a diffondere nel mondo. Si tenta invece di fare il contrario, ossia di barattare le buone abitudini con quelle cattive (perché un cibo sintetico non potrà mai essere una buona indicazione) e di smantellare una filiera e un know-how di successo che parte dagli allevatori e da un’attività economica che spesso salva intere realtà destinate altrimenti a morire – specie quelle di montagna – per poi arrivare sui piatti delle nostre case e dei nostri ristoranti. Un’eccellenza a pieno titolo che rischia di subire un forte scacco: no, se vogliamo davvero bene al nostro Paese e ai nostri cari questo non lo possiamo e non lo dobbiamo permettere.         

Domenico Gambacci
© Riproduzione riservata
26/12/2022 12:39:12

Punti di Vista

Imprenditore molto conosciuto, persona schietta e decisa, da sempre poco incline ai compromessi. Opera nel campo dell’arredamento, dell’immobiliare e della comunicazione. Ha rivestito importanti e prestigiosi incarichi all’interno di numerosi enti, consorzi e associazioni sia a livello locale che nazionale. Profondo conoscitore delle dinamiche politiche ed economiche, è abituato a mettere la faccia in tutto quello che lo coinvolge. Ama scrivere ed esprimere le sue idee in maniera trasparente. d.gambacci@saturnocomunicazione.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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