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Pensioni, le minime aumentano di 45 euro. Bonus del 10% a chi resta al lavoro

Con Quota 103 il ritiro dopo 41 anni di contributi

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Ipensionati al minimo si accontentino di 45 euro in più, 7 se si calcola che buona parte era comunque dovuta come recupero sull’inflazione, e scordino i mille euro al mese promessi da Berlusconi. Chi sperava di andare prima in pensione faccia invece finta di non aver mai ascoltato Salvini che in campagna elettorale prometteva il riposo con soli 41 anni di contributi, 39 per le donne, anziché i 42 e 10 mesi previsti dalla Fornero. Tutte cose che costano decine di miliardi, impossibili da reperire. È già tanto se il nuovo governo è riuscito ad evitare per meno a 50mila lavoratori il gradone previsto proprio dalla Fornero, che fa andare in pensione a 67 anni e 20 minimi di contributi. Oppure a 42 anni e 10 mesi di contribuzione a prescindere dall’età. 

Con “quota 103” l’uscita sarà invece garantita anche a chi ha 62 anni di età e 41 di contributi. Una piccola apertura in attesa di riformare l’intero sistema di uscita dal lavoro nel corso del 2023. Anche se sarà difficile puntare su quella quota 41 di contributi senza riferimenti anagrafici, della quale la Lega aveva fatto un cavallo di battaglia in campagna elettorale. Nella più ottimistica previsione del sottosegretario al lavoro Durigon, lo smantellamento della legge Fornero portato a compimento con “quota 41” costerebbe infatti 4 miliardi il primo anno fino a crescere gradualmente per sfiorare i 10 miliardi nel 2029. Con quota 103 il costo dovrebbe invece essere contenuto intorno ai 700 milioni il primo anno, il doppio il successivo, perché è probabile che come già accaduto per “quota 102” solo una minoranza opti alla fine per l’uscita anticipata, che fa perdere pur sempre qualcosa all’assegno, visto che il calcolo degli ultimi anni avviene con il meno vantaggioso contributivo.

Resta però il fatto che a pagare “quota 103” saranno i pensionati con assegni dai duemila euro in su, che subiranno un decurtamento fino al 60% per i trattamenti sopra i 4mila euro mensili dell’adeguamento all’inflazione che a gennaio sarà appieno del 7,3% solo per le pensioni entro 4 volte al minimo e andrà invece via via a diminuire per quelle di importo superiore facendo perdere dai 47 ai 381 euro.

Che il governo pensi ad avvantaggiare soprattutto le donne che fanno figli lo conferma la nuova “opzione donna”, che manda in pensione a 60 anni chi è senza e 58 chi ha prole al seguito. Un bonus “decontribuzione” premierà con un aumento in busta paga del 10% i lavoratori che rinviano l’accesso alla pensione.

Lo stop alla Fornero. La soluzione ponte per 48 mila lavoratori
Dopo “quota 102” in scadenza a fine anno il governo fa un passettino verso chi vuole andare prima in pensione rispetto ai 67 anni previsti dalla Fornero (o 42 anni e 10 mesi di contribuzione a prescindere dall’età) salendo di un gradino a “quota 103”, ossia 41 anni di contributi e 62 di età. Questa è una possibilità che interessa solo 48mila lavoratori sui circa 300mila che ogni hanno dicono addio al lavoro. Per chi utilizzerà quota 103 la manovra prevede che fino a 67 anni non si possa incassare un assegno superiore di 5 volte la minima, ossia la pensione non potrà superare i 2.850 euro mensili. Chi tra i lavoratori privati uscirà con quota 103 dovrà attendere la finestra di uscita nel mese di aprile del prossimo anno mentre i dipendenti del pubblico dovranno pazientare fino ad agosto. La legge di Bilancio rispolvera poi il “bonus Maroni” per chi resta al lavoro, pari a una decontribuzione del 10 per cento.

L’indicizzazione. A settembre atteso un altro ritocco
Dei mille euro promessi in campagna elettorale alla fine ai due milioni e mezzo di pensionati al minimo ne arriverà la miseria di 45 euro in più. Appena 7 non previsti se si considera che, a prescindere dal contentino, il prossimo anno sarebbero già aumentate di 38 euro. Quelli che servono a recuperare uno striminzito 7,3% eroso dall’inflazione, che in realtà viaggia oggi all’11,9%. Fatte le debite somme, l’attuale assegno di 525 euro passerà così a 570-580 euro a seconda di alcuni requisiti che regolano l’assegnazione dell’assegno minimo. Un risultato che fa sbandierare al governo la raggiunta indicizzazione del 120% delle pensioni minime rispetto a quanto previsto, ma che di certo non farà sorridere chi deve tirare avanti con meno di 600 euro al mese. Una manciata di euro in più potrà poi arrivare a settembre, quando l’indicizzazione delle pensioni verrà aggiornata in base ai dati reali dell’inflazione, molto più alta di quella risarcita ora.

L’adeguamento. Più soft il ricalcolo anti-inflazione
Per finanziare “quota 103”, che vale circa 700 milioni di euro il primo anno e 1,4 miliardi il secondo, alla fine si è dovuto tagliare sulla rivalutazione delle pensioni rispetto alla quota erosa dall’inflazione. Una indicizzazione che a gennaio sarà del 7,3% ma che a settembre dovrà essere adeguata, e non di poco, se si continuerà a viaggiare con una inflazione vicina al 12%. Per gli assegni fino a quattro volte quello al minimo, ossia per le pensioni di circa 2.100 euro mensili, l’adeguamento rimarrà quello previsto e farà aumentare l’assegno di 146 euro. Per i trattamenti tra quattro e cinque volte il minimo la rivalutazione dall’attuale 90% del massimo previsto calerebbe invece all’80%, pari a una perdita di 47 euro. Tra cinque e sei volte il minimo, l’indicizzazione scende al 55% del massimo previsto e fa calare l’assegno di 139 euro. Tra le sei e le sette volte il minimo l’adeguamento sarebbe invece del 50%, pari a una perdita di 255 euro rispetto alle previsioni, mentre oltre la rivalutazione è del 40%, per un taglio pari a 381 euro.

La flessibilità. Opzione donna premia le mamme
Per garantire un minimo di flessibilità in uscita, oltre a “quota 103” il governo ha deciso di prorogare sia l’Ape sociale che Opzione donna. Con la prima si continuerà ad andare in pensione a 63 anni e un assegno massimo di 1.500 euro fino a 67 anni. In più l’Ape sociale può essere richiesta dai disoccupati con almeno trent’anni di contributi versati, dai lavoratori che assistono un proprio caro da almeno sei mesi, dagli invalidi civili al 74% con trent’anni di contribuzione e dai dipendenti con 36 anni di contributi che abbiano svolto lavori pesanti. Diverso il discorso per “Opzione donna”, che viene prorogata di un anno ma con dei paletti legati alla presenza di figli. Le lavoratrici potranno si andare in pensione a 58 anni se autonome e a 59 se dipendenti, con almeno 35 anni di contributi in entrambi i casi, ma solo se hanno due o più figli, mentre con uno solo si esce a 59 anni di età. Se non si hanno figli, invece, bisogna aspettare il compimento del sessantesimo anno.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
23/11/2022 14:08:03


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