Opinionisti Mariantonietta Nania

Mia libertà

Negata, limitata, pretesa, concessa, tolta

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In questi ultimi anni nel nostro fortunato e ricco mondo occidentale scombussolato e ferito da un’inattesa pandemia si è fatto un gran parlare di “libertà”.

Negata, limitata, pretesa, concessa, tolta. La lotta al virus ha avuto e ha ancora come sottofondo una guerra accanita e violenta tra chi, nei vari schieramenti, accusa l’altro di imporgli cose, di privarlo di altre, tra chi reclama il diritto alla salute, ma anche quello di aver paura, di andare a cena al ristorante, di lavorare, di raggiungere l’immunità di gregge, di avere cure domiciliari, viaggiare e chi più ne ha, più ne metta.

E che cos’è, realmente, la libertà?

Da che l’Uomo ha coscienza di sé, la libertà è considerata qualcosa di estremamente prezioso da ottenere, pretendere, per cui lottare. Ma è davvero possibile, o almeno, giusto, pretendere libertà in un mondo che ci vede vivere vicini e connessi gli uni agli altri? Se essere liberi significa fare tutto ciò che vogliamo, senza dipendere da nessuno e senza curarci del fatto che la nostra libertà, necessariamente, va in conflitto con quella di qualcun altro, come possiamo pensare che sia possibile esercitarla e soprattutto esigerla a tutti i costi? Ed eventualmente, perché io e non tu?

I punti di vista in merito sono svariati, ma molti risultano confusi e perfino contraddittori.

Il primo dizionario che mi capita sotto mano così definisce la parola “Libertà”: stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale, garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico. Si conquista, si mantiene, si rivendica; la libertà è partecipazione. Anche Giorgio Gaber, citando in qualche modo il filosofo Jean Jacques Rousseau, nella sua canzone “La libertà” ripeteva questo concetto: Libertà è partecipazione. Finché l’Uomo ha vissuto più o meno come un animale, in effetti è stato libero, ma non è stato in grado di rendersene conto. Nel momento in cui siamo consapevoli del nostro essere al mondo e di cosa significhi essere condizionati, perché interconnessi, dall’esistenza degli altri, capiamo che quel tipo di libertà è un’utopia. Più l’Uomo si allontana dalla natura selvaggia e si avvicina alla civilizzazione, meno è libero.

La libertà, nella misura in cui ne disponiamo, infatti, è una grande responsabilità. Essere liberi vuol dire trovarsi continuamente davanti a una scelta. Considerare le conseguenze. Forse saremmo veramente liberi se potessimo NON scegliere. Paradossalmente, ci sono persone che rimpiangono o si augurano di vivere in dittatura perché tutto sommato ciò rende le cose più semplici: le scelte le compie qualcun altro per noi. Non importa che siano scelte inique, ingiuste, sbagliate, basta che a compierle e a imporle sia qualcun altro e che sia lui a prendersene la responsabilità; male che vada, quelle persone saranno libere di lamentarsene. Ma senza dover scomodare un dittatore, sono tante le persone che si lasciano serenamente guidare da altri, che siano i consorti, che siano i principali sul lavoro, i figli, i genitori, molta gente delega pigramente o pavidamente la propria esistenza alle scelte altrui. Il più delle volte non se ne rende neanche conto. Così come tutti noi, più o meno consapevolmente, siamo limitati nella nostra libertà di pensiero e di scelta dal bombardamento della pubblicità: anche nel momento in cui crediamo di fare una scelta, quella è frutto della manipolazione a cui siamo continuamente sottoposti. Ma siamo la parte ricca del mondo, per cui siamo convinti, nonostante tutto, di essere più liberi degli altri.

Se la mia libertà finisce dove inizia quella di un altro, io e l’altro siamo in contrapposizione. A meno che non scegliamo di condividere e collaborare. Ecco perché Libertà è partecipazione. Ecco perché alla fine una buona dose di libertà, di fronte all’altro, ce l’ho comunque. Posso scegliere di essere gentile o criticare, di accogliere o giudicare, di farmi forza o lamentarmi, di impegnarmi o abbandonare. Soprattutto, posso decidere di essere me stesso e di credere nei miei talenti accettando le mie fragilità per poter dare anche agli altri il meglio di me affrontando ogni ostacolo attivamente anziché passivamente. Posso essere un buon esempio. Posso seguire dei buoni esempi.

Liliana Segre, nel momento in cui avrebbe potuto raccogliere una pistola e sparare al crudele nazista che aveva di fronte ha scelto di non farlo, di preservare la libertà di essere se stessa, al contrario di lui. Il campo di concentramento le ha quasi tolto la vita, ma non la libertà di scegliere chi voleva essere. In quel momento lei si è sentita davvero libera. Libera di non essere un’assassina come quelli che aveva davanti.

Nelson Mandela è stato detenuto ingiustamente per 27 anni, eppure ha mantenuto liberi la sua mente e il suo cuore. Perché la vera libertà è quella.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.

(William Ernest Henley)

Mandela aveva scelto questa poesia, Invictus, come motto della sua resistenza. Rimase libero dal rancore nei confronti dei suoi aguzzini, non si lasciò imprigionare dall’odio. I cattivi sentimenti verso gli altri ci rendono prigionieri più di qualunque catena, chi è veramente libero sa perdonare, non si lascia avvelenare dal risentimento e non perde lucidità. Resta libero anche in una cella.

E i buoni sentimenti? Ci riportano alla responsabilità e alle scelte più difficili:

if you love somebody, set them free, cantava Sting (se ami qualcuno lascialo libero),

mentre Kahlil Gibran ha scritto...

Sei libero davanti al sole del giorno,

sei libero davanti alle stelle della notte;

e sei libero quando non c'è sole, né luna, né stelle.

Sei libero persino quando chiudi gli occhi su tutte le cose.

Ma sei schiavo della persona che ami, perché l'ami...

e sei schiavo della persona che ti ama, perché ti ama.

Possiamo ben tollerare questo tipo di schiavitù, dal momento che è ciò che dà senso alla nostra esistenza. Oppure no?

Mariantonietta Nania
© Riproduzione riservata
17/02/2022 08:54:25

Mariantonietta Nania

MARIANATONIETTA NANIA: Nata a Napoli nel 1970, vive da sempre tra Umbria e Toscana. Dopo la laurea in Pedagogia, una borsa di studio in Psicologia Sociale l’ha portata come ricercatrice in Egitto alla scoperta delle fiabe arabe. Al Cairo ha trascorso quasi tre importantissimi anni, anche insegnando al Liceo Scientifico internazionale italiano Leonardo da Vinci. Ha vissuto e lavorato a Roma e Palermo per stabilirsi poi a Sansepolcro (AR) e tornare all’insegnamento, ma nella Scuola Primaria. Ama viaggiare, leggere, scrivere, far foto, dipingere e cantare.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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