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Quattro chiacchiere con Giovanni Boninsegni enologo di Sansepolcro

"Lo Stato doveva concederci sgravi nelle tasse e nelle varie imposte"

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Conosciuto anche come vigile del fuoco, in congedo da pochissimo tempo per raggiunti limiti di età, Giovanni Boninsegni è soprattutto un enologo che assieme al fratello Giuseppe e alla cognata sta al timone della omonima azienda enologica, comprensiva anche dell’enoteca “Fuori Porta” a Sansepolcro. Il marchio “Cinque Vie”, che contraddistingue i vini, prende il nome dalla località e dall’azienda agraria fondata nel 1911 da Mario Boninsegni, anche se la svolta è maturata negli anni ’60, quando Francesco Boninsegni, enologo e padre di Giuseppe e Giovanni, decide di trasformare la sua passione in professione, impiantando vigneti con varietà tipiche della Toscana e vendendo il vino prodotto. I due figli hanno raccolto il testimone, creando un elegante punto vendita in via Anconetana, a due passi da Porta Romana.   

Boninsegni, nonostante la vostra attività sia rimasta aperta anche durante l’emergenza, quali sono state le conseguenze del Covid-19?

“Direi che sono state brutte: il calo di fatturato è stato vistoso, quasi totale in alcuni frangenti. D’altronde, quando siamo stati costretti a stare “chiusi” nei confini territoriali, la botta è stata avvertita: abbiamo clienti da Anghiari, Caprese Michelangelo, Pieve Santo Stefano, Monterchi, Bagno di Romagna, San Giustino e Città di Castello, per cui da questi centri le entrate sono state pari a zero, in quanto erano impossibilitati a muoversi. A volte, abbiamo fatto orario ridotto con la dipendente in cassa integrazione, altre volte abbiamo tenuto chiuso e allora ne ho approfittato per fare altro, sempre in funzione della nostra attività”.

Dal 4 maggio, è stata ripartenza anche per voi?

“Quello onestamente sì, anche se pian piano stiamo riavvicinandoci ai livelli pre-crisi. Nei primi tre giorni, poi, è stata un’autentica invasione da parte di coloro che, previlegiando da sempre il nostro vino, ne sentivano la nostalgia. Poi, ovviamente, la situazione si è stabilizzata. Stiamo reagendo abbastanza bene”.

Si è detto che fra i pochi risvolti positivi del duro periodo di lockdown vi sia stato quello di riscoprire il pregio dei prodotti nostrani. Conferma?

“Sì, confermo. Noi vendiamo anche olio e altre tipicità, che in effetti hanno goduto delle dovute attenzioni. La riscoperta c’è quindi stata, anche perché accompagnata dalla sicurezza del prodotto e in momenti del genere la sicurezza è tutto. Andando avanti con il tempo, la nostra azienda si è specializzata anche in prodotti per la cura del vino, che vanno dalla vite fino al consumo. È in fondo un processo fisiologico di evoluzione”.

Come valuta il comportamento del governo centrale in questa parentesi di difficoltà per la stragrande maggioranza delle aziende?

“Oltre alla dipendente in cassa integrazione, abbiamo beneficiato del bonus di 600 euro. Per carità, meglio di niente, ma - al di là del contributo più o meno sostanzioso - avremmo preferito uno sgravio di imposte e tasse. Per meglio dire, non pagarle o alleggerirle ora, dandoci la possibilità di recuperare terreno con lavoro e incassi e dilazionando nel tempo l’importo con una precisa pianificazione. Noi avremmo avuto così la possibilità di far fronte agli impegni, perche le tasse debbono essere comunque pagate e lo Stato, seppure con un po’ più di tempo, avrebbe preso quanto di sua spettanza senza comprimerci in una fase di difficoltà”.

Preoccupazioni per l’autunno e per le notizie che circolano su un possibile ritorno del virus?

“Sì, anche perché per un’azienda come la nostra è proprio l’autunno la stagione chiave, dalla vendemmia in poi. A maggior ragione, quindi – ma parlo non soltanto per noi – dobbiamo fare in modo di scongiurare questa ipotesi. Confido nell’intelligenza di tutti gli italiani, nonostante qualcuno si prenda qualche licenza in più che potrebbe rischiare di farci tornare al punto di prima”.  

Redazione
© Riproduzione riservata
05/07/2020 08:55:25


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