Opinionisti Alessandro Ruzzi

I problemi di Italia, quelli di Arezzo

Confido che sacche del nostro territorio stiano meglio

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L'uscita dalla crisi economica suscitata dalla pandemia e dai conseguenti lockdown sconta le note carenze del sistema paese Italia.
Mi stupisce molto che un presidente del consiglio in carica da due anni debba convocare dei cosiddetti Stati Generali (dopo aver coinvolto -e speso- per il super ultra mega manager con annesso pacco d'esperti pagati centinaia d'euro al giorno a testa) per farsi dire dove agire, la esasperazione nella analisi non seguita da una sintesi espressa tramite interventi suscita perplessità a livello dei nostri partner nella Unione europea, anche se molti di essi hanno un interesse malcelato a tenere la nostra nazione in uno stato di sudditanza. Certo che la proposta del recovery fund venuta dalla commissione dietro stimolo di Francia e Germania con la erogazione di decine di miliardi a fondo perduto ha scatenato un assalto alla diligenza con i soldi europei che non può che aver fatto schifo ad altri paesi. Perché alla inefficienza della burocrazia italiana sottointende invece la capacità della criminalità organizzata a farsi collettore dei fondi che potrebbero venire dalla Unione Europea.
Quando si descrive la burocrazia come  il massimo dei mali, si dice una bugia: è la accezione che la burocrazia ha preso in Italia a provocare effetti disastrosi. La burocrazia deve verificare il possesso dei requisiti da parte di coloro che chiedono alle pubbliche amministrazioni un documento, un'autorizzazione, e molte altre cose, ma la verifica è soltanto formale, anzi si basa semplicemente sulla consegna di uno degli innumerevoli allegati che ora vengono forniti in autonomia e quindi senza nessuna certezza reale se ci si trovi di fronte ad un documento originale o a un tarocco. Rarissime verifiche sostanziali, che non a caso troppo spesso rilevano irregolarità. Questa burocrazia complica la vita ai cittadini ossequiosi (invece di tutelarli), spalanca praterie invece per quelle reti criminali che in questa struttura legislativa galoppano. Quindi non soltanto cantiamo vittoria (i denari europei) prima di essere scesi in campo (il documento definitivo), un atteggiamento che naturalmente non viene apprezzato in molti altri paesi europei, anzi dimostriamo una volta di più di non avere una reale volontà di incidere sulle cause dell'arretratezza e della debolezza del nostro paese e di contare su denari a fondo perduto.
Come cittadino di Arezzo le politiche portate avanti dall'amministrazione comunale mi sono particolarmente chiare e riscontro errori in tutto simili a quelli fatti a Roma: a esempio siamo impantanati nella adozione di un piano strutturale la cui elaborazione era stata inizialmente affidata a professionisti lontani dalla realtà cittadina col risultato di correre a redigerne un altro, la cui produzione non ha visto il coinvolgimento delle categorie professionali. Risultato: il piano si è bloccato non tanto per l'emergenza sanitaria, ma per il diluvio di osservazioni che mettono in evidenza le incertezze di uno strumento fondamentale per lo sviluppo delle città.
La amministrazione uscente si è sbilanciata a favore di un solo settore economico (il turismo) attraverso una serie di iniziative che hanno arrecato beneficio ad un numero ristretto di attività in una area estremamente ridotta del territorio comunale. Idem nella ripartenza post blocco
Esempio di una visione parziale, se non -addirittura- orientata.
Le teorie economiche non riescono a tenere in conto degli innumerevoli incroci fra multinazionali che operano sui mercati diversi, delle operazioni di cartello che coinvolgono governi, ma certo vedono un sistema economico al pari di un ciclo dove la moneta fluisce attraverso i vari settori provocando diffusione della ricchezza. Ad Arezzo si interviene soltanto a livello del meccanismo finale, negozi e ristoranti, senza curarsi di sostenere attività in cui largo numero di persone ricava il proprio reddito (classicamente agricoltura e industria), non si provoca alcun effetto duraturo: gli aiuti finiranno, la parte terminale della catena di creazione della ricchezza si bloccherà andando ad aggiungersi ai settori fondamentali che stanno a monte con il risultato di una crisi disastrosa.
Qualche dato da "focus economia" del 30 9 19 con dati 1° trim 2019
La provincia di Arezzo ha una produttività industriale in senso stretto -dati riferiti a inizio 2019- sorprendentemente bassa (indice=63) in ambito toscano, forse mascherata da sacche di evasione. La produttività nell'ambito dei servizi è modesta (indice=61), bassina rispetto alla Toscana.
Il confronto con la provincia di Lucca (che offre un numero di occupati complessivo molto simile: 153.000 in Lucca, 145.000 in Arezzo) evidenzia come nell'industria la produttività dei lucchesi abbia indice 80; del tutto paragonabile invece l'indice di produttività dei servizi con Lucca a 64.
Sotto questo profilo la produttività sia industriale che nei servizi della Provincia di Firenze risulta imbarazzante avendo valori elevatissimi pari a 83 e 67; a Prato il massimo per servizi in Toscana con 69. Valore superiore persino a tutte le città della costa che -pur disponendo di turismo e spiaggie- forse nascondono parte dei ricavi. Risulta chiaro come si possa fare meglio in Arezzo!
Il valore aggiunto complessivo della provincia di Arezzo è 8,5 miliardi, un saldo importazioni- esportazioni di circa 2,3 mld; il VAC di Lucca è di 10 miliardi con differenza fra import-export di 2,1 miliardi con un 20% di reddito disponibile in più a popolazione comparata. Mica poco.
La qualità della produzione fa la differenza, manca il contributo di parte della industria, come altrove (quasi ovunque in Toscana) ottengono.
Non i numeri di cui troppo spesso i media si gloriano salvo fare al contrario quando è tardi. Vedi il mancato inserimento di molte aziende orafe fra quelle destinatarie di crediti agevolati.
Fattori per cui desumo che nel territorio aretino non abbiamo una industria che produca forte valore aggiunto, evidentemente molte lavorazioni sono all'osso rispetto all'importo complessivo del prodotto finito. Questo settore ha il 40% degli occupati rispetto dei servizi in senso ampio, si sviluppa un problema di redditività per mancanza di innovazione con conseguente maggior reddito che non si riversa in commercio al dettaglio e pubblici esercizi. Mentre credo in provincia esistano eccellenze. Che non hanno ragione di spendere nel capoluogo. Circolo vizioso da cui in Arezzo vediamo aumento dei prezzi e diminuzione qualità. E depressione, non solo economica. Occorre sostenere tutto il meccanismo, insomma.

Alessandro Ruzzi
© Riproduzione riservata
21/06/2020 07:43:20

Alessandro Ruzzi

Aretino doc, ha conseguito tre lauree universitarie in ambito economico-aziendale, con esperienza in decine di Paesi del mondo. Consulente direzionale e perito del Tribunale, attento osservatore del territorio aretino, ha cessato l'attività per motivi di salute, dedicandosi alla scrittura e lavorando gratuitamente per alcune testate giornalistiche nelle vesti di opinionista. alessandroruzzi@saturnonotizie.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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