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Cinque domande con... Nicola Morini consigliere comunale a Città di Castello

Ricopre il ruolo di capogruppo consiliare della lista “Tiferno Insieme”.

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Insegnante di storia e filosofia al liceo classico tifernate, Nicola Morini è stato il principale avversario di Luciano Bacchetta alle elezioni comunali del 2016 a Città di Castello in qualità di candidato sindaco della coalizione di centrodestra. E’ già stato in consiglio comunale, sempre all’opposizione, durante il secondo mandato dell’ex sindaco Fernanda Cecchini (2006-2011) e al momento è il capogruppo consiliare della lista “Tiferno Insieme”. Con lui, analizziamo in controluce il periodo attuale legato al Covid-19.

Consigliere Morini, come giudica le misure messe in atto dal governo nazionale in questa fase del Covid-19?

“A mio parere sono contradditorie. Non appena mi concentro su di esse, mi sembra che si compiano un passo in avanti e due indietro, proprio perché intravedo le contraddizioni. Il fatto stesso che le Regioni dispongano di una certa autonomia finisce con il rendere meno chiaro il quadro della situazione. Poi – è normale – con una pandemia del genere nessuno si era mai confrontato, quindi anche l’esecutivo può avere le sue attenuanti, ma credo che si tratti della classe politica meno adatta che ci stiamo ritrovando nel momento sbagliato. Io lavoro nell’ambito della scuola e vedo con quante difficoltà si sta muovendo il ministro Lucia Azzolina”.

E le disposizioni messe in atto dalla Regione dell’Umbria, con la presidente Donatella Tesei criticata di scarso coraggio?

“Direi che è stata sufficientemente coraggiosa e sufficientemente fortunata: mettiamola così. Qui in Umbria abbiamo avuto il tempo di arginare uno “tsunami” che da altre parti – mi riferisco ovviamente a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – è arrivato molto prima, in misura forte e ha colto tutti di sorpresa. L’Umbria, regione più isolata, si è potuta salvare anche per questo motivo, per cui ha potuto contare su una maggiore fortuna. Do quindi anch’io una sufficienza piena alla Tesei, ma attenzione: tutto questo non significa che siamo fuori. La partita non si è conclusa e occhio a una eventuale seconda tornata”.

È il caso, dopo quanto avvenuto, di definire limiti ben precisi fra le attribuzioni del governo centrale e quelle delle Regioni?

“Assolutamente sì. Le competenze debbono essere chiare: specie per ciò che riguarda territori relativamente piccoli come appunto quello dell’Umbria, non ci possiamo misurare con i land tedeschi o con gli stati federali degli Usa. A mio avviso, è più logico che determinate facoltà vengano assegnate più a livello comunale che regionale. La riforma del Titolo V della Costituzione ha creato problemi e le persone si ritrovano in mezzo alla confusione quando un presidente dice “A”, un governo nazionale dice “B” e un ministro dice “C”. La chiarezza innanzitutto”.

Sanità e scuola, due settori chiave la cui importanza è emersa proprio in questa fase. Quanto c’è da rivedere?

“Non ho competenze particolari in materia di sanità, anche perché non sono un esponente di maggioranza, però la vecchia questione di un rafforzamento dal punto di vista comprensoriale rimane sempre in piedi. Da cittadino di una vallata divisa amministrativamente in due parti ma omogenea, dico che i confini dovrebbero essere abbattuti. Per ciò che riguarda il versante scuola, quello in cui opero, dico che la didattica a distanza è un esperimento valido ma soltanto in regime provvisorio: posso quindi capire una parentesi di 15 giorni-un mese, ma anche la più sofisticata delle tecnologie ha dei limiti che uccidono l’umanità, rallentano il percorso educativo e impediscono un’esigenza di contatto e diretto e di socializzazione, che sono fondamentali per la crescita di un giovane”.

Cosa ci ha insegnato questo periodo di ristrettezze e sacrifici?

“Lo capiremo meglio a distanza di sei mesi-un anno. Per l’estrazione culturale che ho io, è importante alzare il piede dall’acceleratore della globalizzazione. Non ha senso di parlare di mondo globalizzato se poi per garantirsi forniture essenziali occorre dipendere da altri Stati e magari di diversi continenti. Rivedere gli asset produttivi, quindi. In secondo luogo, una concezione anche etica – se vogliamo – dell’economia, che segua gli schemi tradizionali della produzione e del valore aggiunto, che sono poi le voci determinanti della ricchezza, rispetto a quella di una mole di servizi che fanno ugualmente economia, ma che alla fine non incidono come i processi produttivi tradizionali. Per dirla in un altro modo, mi subentra dentro un minimo di tristezza quando mi accorgo che c’è fretta di tornare a lavorare e a produrre per l’urgenza dell’aperitivo a fine giornata. Per carità, va bene anche il terziario, ma i settori primario e secondario sono quelli trainanti”.               

Redazione
© Riproduzione riservata
29/05/2020 09:49:05


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