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Nicaragua, a Rivas la Clinica che guarisce gli orti

Un centro medico pilota dà consigli agli agricoltori

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Per tutti è «la Clinica», anche se il suo nome ufficiale è «The Roberto Clemente Health Clinic», dal nome della fondazione Usa che l’ha aperta 16 anni fa. Si trova sulla strada che da Rivas porta verso le spiagge del Pacifico, a pochi passi dall’aeroporto Esmeralda, è una piccola struttura bianca a un piano, un bel giardino. È il riferimento per le 35 comunità sparse in questa zona a sud-ovest del Nicaragua e tutti sanno che per 30 cordobas (meno di un euro) si può avere un consulto: che sia il pediatra, un’analisi di laboratorio, un medico di base. Da qui parte l’unica ambulanza che opera h24 in tutta la zona.

Ma la Clinica è famosa soprattutto perché il dottore di punta è l’agronomo, e l’orto-madre è il più importante degli ambulatori. L’esperimento è iniziato 5 anni fa, ma è nell’ultimo anno che ha messo le ali, grazie al sostegno di «Terres des Hommes», la ong italiana che qui in Nicaragua è guidata da Giori Ferrazzi. L’agronomo, dunque. Eliezer Eduardo Holman Alguera, 32 anni, ci accompagna tra i 1300 metri quadrati del suo orto-madre, dove coltiva oltre 40 varietà vegetali che poi vengono distribuite agli orti di famiglia o di comunità. «Tutti gli indicatori sanitari ci confermavano il pessimo stato alimentare delle persone. La prevenzione doveva diventare un obiettivo chiave di salute integrale. Così abbiamo avviato un programma capillare». Oggi la clinica può vantare 77 orti in 17 comunità: «Abbiamo aiutato a recuperare terreni abbandonati o usati come discarica o deposito e a trasformarli in orti organici, il che permette di evitare l’uso di pesticidi e prodotti chimici peraltro costosissimi, ma anche di riprendere saperi antichi di coltivazione andati perduti».

L’orto-madre, ora dotato di un sistema di irrigazione per gocciolamento (fornito proprio dalla ong italiana), permette di fornire le piante e i semi. «Così abbiamo diffuso la coltivazione di verdure e vegetali poco utilizzati nelle cucine nicaraguensi e insegnato a usare varietà di insalate, sostituire le patate con melanzane, avere pomodori o cetrioli, che al mercato sono molto costosi». L’effetto è stato a catena: «Anche le famiglie con piccoli appezzamenti possono far fronte ad almeno metà del fabbisogno alimentare», spiega Eliezer.

Una parte dell’orto-ambulatorio è un erbario di cilandro, rosmarino, basilico, anice e prezzemolo, «perché benessere significa anche educarsi ai sapori: i nicas sono molto conservatori, pure in cucina», sorride l’agronomo. Qui il piatto di tutti i giorni è il gallo pinto, vale a dire riso e fagioli. Poco nutriente, ma a buon mercato.

«L’alimentazione è in gran parte responsabile anche della patologia del diabete, che colpisce più del 12% della popolazione, metà della quale non sa di soffrirne», spiega Hazel Ruiz, la direttrice dell’equipe medica. Il che è stato un motivo in più per intrecciare i programmi sanitari con quelli agronomici.

Le condizioni di vita sono peggiorate nell’ultimo anno, dopo le grandi proteste del 2018. Fuggiti turisti, investitori e capitali, chiuso il rubinetto di petrodollari dal Venezuela, il Nicaragua è precipitato in una crisi che ha colpito soprattutto le zone rurali. Da qui l’idea di accelerare con il programma di eco-sanità. «La terra è fertile – spiega Eliezer Holman Alguera – ma il suolo è pesante, argilloso, poco ossigenato. Soffre di erosione con la pioggia e si crepa con la siccità. E così insegniamo anche a rivoltare la terra più in profondità, ad arricchirla, a scegliere le piante e ad accostarle».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
23/02/2020 20:19:18


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