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Uday Hussein, il principe delle tenebre

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In "The Devil's Double", film di produzione belga del 2010, regia di Lee Tamahori, si penetra la Bagdad di Uday Hussein, figlio del Rais, spietato psicopatico. Il film narra la drammatica vicenda di Latif Yahia, tenente dell'esercito, che viene chiamato ad interpretare il difficile ruolo del sosia. Non mi soffermerò nel valutare quanto la ricostruzione sia reale e quanto fantastica.

Prenderò il film come scusa per riflettere sul lato oscuro del potere e sulle possibilità di opporvisi.

Non ho elementi per sostenere quanto la figura di Latif sia stata mitizzata e quanto corrisponda alla realtà.

Quello che posso dire è che nella Bagdad di quel periodo e nel Palazzo di Uday soprattutto, la vita umana valeva meno di niente e non credo che la situazione cambiasse molto per Latif.

Quello che è certo è che il film si basa proprio sui suoi libri "J was Saddam son's", uscito nel 1997 e quello con lo stesso titolo del film dato alle stampe nel 2003, subito dopo l'uccisione di Uday da parte delle forze di occupazione americane.

In questo mio articolo io tratterò il film come un sogno, una fantasia, una creazione e ne analizzerò, per quanto possibile, le metafore. Latif viene descritto come un doppio angelicato, incorruttibile e questo ci pone un primo quesito: è possibile stare a contatto stretto con il diavolo senza esserne minimamente contaminati? Latif, d'altronde, rappresenta la possibilità di un cambiamento che in un Bagdad sul punto di esplodere, era dai più illuminati e da quelli schiacciati da quel potere perverso sentito come un bisogno insopportabile. Latif incarna la possibilità di una trasformazione, il bene che sconfigge il male ed è un lieto fine che auspichiamo tutti. Il punto è, purtroppo, che nella realtà le cse non vano sempre così, anzi quasi mai vanno così, e il Diavolo riesce sempre, prima o poi a corromperti. Arrivi con delle buone intenzioni, cerchi di resistere alle tentazioni ma lui non ha fretta sa aspettare e nel tempo riuscirà a disvelare i tuoi punti deboli. Latif, per Uday, non rappresenta altro che un amore narcisistico per la sua immagine e da quel momento in poi la sua missione è quella di rendere il suo gemello identico a se stesso. Latif è l'incarnazione dell'incapacità di amare di Uday che ama solo se stesso e il raggiungimento dei suoi scopi, il soddisfacimento delle sue voglie perverse. Uday è lo psicopatico puro che non ha limiti morali: quello che vuole prende anche se ciò che vuole è una ragazzina di 15 anni ancora vergine, la stupra e in preda ad un delirio di sesso e droga la uccide e poi la fa scaricare come immondizia. Sono le circostanze, le situazioni, il contesto in cui viene a trovarsi Latif a corromperlo, lui era veramente diverso ma alla fine, anche se cercherà di negarlo, quella che vedrà riflessa nello specchio sarà sempre di più l'immagine di Uday. Non so in realtà se questo sia successo. Sappiamo che Latif si invaghì dell'amante di Uday, altro elemento che li avvicina ancorà di più e sappiamo che vivere a lungo in un ambiente può condizionarci e può far emergere un lato oscuro che non credevamo mai potesse albergare dentro di noi. Rimanere integri in certe situazioni è veramente difficile soprattutto quando l'impunità sembra essere garantita.

Redazione
© Riproduzione riservata
18/10/2016 09:12:02

Buttarini Massimo

Originario e residente a Città di Castello, si è laureato in Psicologia a indirizzo applicativo presso l’Università “La Sapienza” di Roma e svolge la professione di psicologo dal 1992. È esperto di psicologia investigativa e investigazioni difensive, consulente per studi legali, psicologo clinico e forense specializzato in psicoterapia. Ha una predilezione per il giornalismo d’indagine, finalizzato alla ricerca della verità, che lo ha portato a seguire alcuni fra i principali casi di cronaca del nostro Paese.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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