Altri tempi (amarcord)...
In determinati periodi dell'anno mi soffermo a pensare e a ricordare tempi che oramai posso considerare lontani. Tempi di quando le stagioni si succedevano regolari e le giornate scorrevano cadenzate da gesti e azioni ripetute da sempre e tramandati di padre in figlio quali esperienze vissute e ricevute come tesori dai propri avi. Le stagioni avevano un senso ed un impatto sulla vita quotidiana alle quali l'uomo si adeguava con rispetto riverenziale ben sapendo che da questo dipendeva la propria sopravvivenza e, perché no, la qualità della vita. Questa è la stagione del riposo grazie al quale la natura ha la possibilità di rigenerarsi e con essa anche l'uomo. Tanti anni fa appunto, in questo periodo i campi riposavano sotto una coltre di neve, coperta naturale sotto la quale il grano attendeva il risveglio primaverile come pure gli alberi da frutto. I contadini si dedicavano a piccoli lavori quali intrecciare canestri, sistemare gli attrezzi agricoli, accudire il bestiame nelle stalle, potare e ad una cosa importantissima per il sostentamento futuro della famiglia, la macellazione del maiale del quale, ricorda un detto, "non si butta via niente".
L'evento era un appuntamento festoso per tutta la famiglia (meno che per il maiale). Si iniziava la mattina al levar del sole. Ricordo che venivo svegliato dal trambusto, allora dormivamo in una camera senza riscaldamento (andavamo a letto con il "prete", sorta di trespolo di legno che serviva a sorreggere lo scaldino con la brace e a tenere sollevate le coperte affinché non si bruciassero, una termocoperta di altri tempi), alle finestre il vapore generato dal nostro respiro si condensava e ghiacciava per il freddo. Guardando fuori scorgevamo il macellaio intento nelle operazioni che precedono la "spaccatura". Di solito il macellaio non era altro che un contadino con esperienza consolidata in norcineria e comunemente chiamata accomodatura del maiale. A casa nostra di solito veniva macellato a metà settimana per avere la possibilità di lasciarlo riposare qualche giorno e dare modo alla carne ed al grasso di rassodarsi per una maggiore facilità di lavorazione. La sera stessa della macellazione veniva fatta la cena del maiale con la classica "padellata", pezzetti di parti grasse e magre che con sapienti colpi di coltello venivano scelti dalla pancetta e abbinati alle "animelle" cotti sulla padella, rigorosamente di ferro, con aglio e rosmarino. Di contorno cime di rapa (rapi o pulezze secondo il luogo) riscaldate sulla stessa padella di cottura della carne; il tutto fungeva da farcitura per una meravigliosa ciaccia cotta sul panaro. Nel frattempo le massaie preparavano il sangue del maiale con il quale si faceva il migliaccio dolce o salato. Mia madre lo cucinava dolce con aggiunta di zucchero, cacao, amaretti, latte, cedro candito, liquore; la cottura avveniva in padella con lo strutto avendo cura di porre sopra un coperchio con la brace. Veniva poi decorato con zucchero semolato o i tipici confettini colorati... una vera leccornia! Questo dolce, poi, veniva regalato ai parenti e agli amici più stretti i quali a loro volta avrebbero fatto altrettanto nel momento in cui loro stessi avessero macellato il prprio maiale.
Arrivava quindi il giorno dell'accomodatura o spezzatura. Il macellaio divideva con perizia le varie parti del maiale: i prosciutti, le spalle, i lombi, le scamerite (scalmarite) e le gote; questi i pezzi interi che andavano salati e preparati singolarmente, poi veniva scelto il resto delle carni (grasse e magre) e suddivise per farne salsicce, mazzafegati o sambudelli, lardo per lo strutto e quindi ciccioli ed infine il lardo da salare. La testa veniva bollita con i vari aromi per fare la coppa o soprossata, gli zampetti o gambucci salati assieme alle cotiche per cucinarli con i fagioli.
Anche in questa fase, almeno in famiglia mia, avveniva lo scambio di mazzafegati e salsicce tra parenti che, in questo modo, avevano la possibilità di un consumo fresco; il resto veniva conservato essiccandolo e mettendolo sott'olio, sotto strutto, sotto semola e cenere.
Altra curiosità legata alla conservazione dei salami: dato che non tutti disponevano del luogo giusto per conservarli, esisteva sempre un famiglia con un fondo, una cantina con il giusto equilibrio di umidità e ventilazione, la quale era disposta ad accogliere i salumi degli amici e parenti che così potevano gustare i preziosi insaccati.
Questa era la vita di "altri tempi", sicuramente dura, senza le comodità di oggi, ma all'insegna della socializzazione, solidarietà e... del vivere lento.
Daniele Bistoni
Dipendente pubblico amministrativo. Esperienza nel campo della comunicazione pubblica, ha collaborato scrivendo articoli per una testa locale per circa tre anni. Una lunga collaborazione come responsabile del Museo Storico Scientifico del Tabacco di San Giustino, dalla nascita nel 2004 fino al 2014. Appassionato delle tradizioni della Valtiberina, di cucina locale e di sigari Toscani e nazionali. Molto legato alla storia della ex Repubblica di Cospaia tanto da ripristinare nel 2009, sotto l'indirizzo della Fondazione per il Museo Storico Scientifico del Tabacco ed il Comune di San Giustino, la tradizionale festa rievocativa che ad oggi prosegue grazie alla Proloco specifica.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
Commenta per primo.