La tentazione della leva militare obbligatoria: dove è stata ripristinata e cosa vuole fare l'Italia

L'Italia per ora temporeggia mentre i Paesi dell'Est la ripristinano
La leva obbligatoria è il ricordo sbiadito di un passato del quale l'Italia si liberava nella prospettiva di una nuova era di pace. Le lunghe guerre di questi anni, dall'aggrssione russa all'Ucraina, fino alla sanguinosa offensiva a Gaza, e contando tutti gli altri fronti mediorientali aperti da Israele, ci hanno però catapultato in un nuovo mondo, più insicuro e bisognoso di armamenti. Almeno questa è l'interpretazione che gli Stati europei, in riferimento al complicato scenario geopolitico che va delineandosi, danno a questi anni bui. La corsa al riarmo è sotto gli occhi di tutti, con crescenti pressioni sugli Stati membri della Nato per un aumento degli investimenti nella Difesa. Molti dei quali, in nome di una ritrovata necessità di essere "pronti al peggio", ripristinano (o pensano di farlo in futuro) il servizio militare obbligatorio.
Anche l'Italia - che aveva sospeso la naja il primo gennaio del 2005 - potrebbe seguire questa strada, almeno stando a quanto detto sibillinamente dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il quale, qualche mese fa, in un consesso internazionale, ha parlato di una "leva militare flessibile" che si inserisce in uno scenario più ampio di difesa europea, che consisterebbe in "6 o 9 mesi di servizio alla Repubblica" di natura militare o civile. "Il mondo cambia, e con esso devono cambiare i nostri strumenti di difesa e le modalità con cui coinvolgiamo i giovani. Serve un servizio alla Repubblica che sia motore di formazione civica e professionale", ha spiegato il ministro.
L'idea sarebbe quella di ripristinare la coscrizione dei e delle giovani e allargarla a tutte le esigenze di uno Stato moderno con un concetto più ampio di difesa, non legato esclusivamente all’aspetto militare, ma alla protezione civile, alla digitalizzazione, alla cybersecurity, e in generale al "benessere collettivo". Ma non bisogna cadere in errore: qui non si sta parlando né della Sanità pubblica e nemmeno dell'Istruzione bensì dei nuovi scenari militari. Matteo Salvini, lo scorso anno, era stato meno enigmatico: "Pronto il progetto di leva obbligatoria - aveva detto - sei mesi per ragazzi e ragazze".
Cosa fanno gli altri Stati europei
In Europa si va avanti in ordine sparso, mentre un po' tutti, con il fiato sul collo della Nato che asseconda le minacce di Trump, investono miliardi di euro nell'acquisto di armamenti, molti dei quali proprio dagli Usa. I primi Paesi a introdurre una misura simile alla leva militare obbligatoria sono quelli dell'Est, in particolar modo quelli che si trovano ai confini con la Russia e l'Ucraina. La Lettonia per esempio nel 2023 ha reintrodotto la National Defence Service mentre la Lituania lo aveva già fatto nel 2015 e la Svezia nel 2017 che attua un sistema che si basa sul sorteggio. La Croazia ha implementato un sistema di addestramento breve con l'opzione civile, mentre Austria, Cipro, Estonia, Finlandia e Grecia mantengono la leva obbligatoria.
Berlino aveva sospeso la leva obbligatoria nel 2011 ma già il cancelliere Friedrich Mertz sta pensando di ripristinarla, definendo lo stop "un errore" al quale porre rimedio, soprattutto se non si dovessero raggiungere numeri "sufficienti" di volontari sulla base delle esigenze attuali. Non andranno esenti le donne da questo furore neo-bellicistico. La Danimarca, che pur basa il suo sistema di reclutamento sul sorteggio, coinvolge maschi e femmine di 18 anni per ampliare la base dei riservisti.
Chi non cede
Chi non mostra nessuna pulsione militaresca sono Francia, Regno Unito e Spagna che dopo aver abolito decenni fa la naja - la Gran Bretagna lo fece nel 1960 - puntano ad andare avanti con gli eserciti professionali. La Francia già aveva fatto una scelta di campo aprendo al Service National Universel, destinato ai giovani dai 14 ai 17 anni, che su base volontaria si possono impegnare in vari settori civili.
Tutte queste nuove misure vanno a aggiungersi al servizio militare professionale che persiste in tutti gli Stati. Anche l'Italia fino a oggi ha preferito un esercito di soldati professionisti, ridotti al minimo necessario per garantire un'eventuale difesa e servizi di peacekeeping sotto il cappello Onu, come nel caso dell'Unifil di stanza in Libano. Oltre la divisa, fino a oggi l'impegno chiesto ai giovani, ragazzi e ragazze, è quello di un Servizio civile universale cucito addosso ai bisogni di uno Stato che si tiene fuori dalle logiche belliche. Ma le parole di Crosetto seppur non chiare ci riportano fragorosamente verso un passato buio e triste che pensavamo appartenesse definitivamente al passato.

Commenta per primo.