Notizie Locali Cultura

Economia e società a Sansepolcro e dintorni

Le attività artigianali agli inizi dell'Ottocento ad Anghiari e Sansepolcro

Print Friendly and PDF

Dopo aver descritto l’agricoltura dei decenni precedenti all’Unità d’Italia nella Valtiberina granducale, vediamo quali erano le attività artigianali della valle nello stesso periodo, iniziando in questo numero e proseguendo poi nei numeri di settembre e ottobre.

L’agricoltura era ancora l’attività economica principale, «come accadeva d’altronde nella maggior parte dell'Europa del tempo», annotò lo storico Giorgio Mori. Anche a Sansepolcro, ad esempio, il numero dei contadini rappresentava circa il 57% della popolazione attiva, mentre i possidenti erano quasi il 4%. Per il resto in tutti i centri della valle c’erano pochi laboratori, che ancora non potevano dirsi industriali, e tante piccole botteghe di artigiani concentrate soprattutto ad Anghiari e a Sansepolcro.

Le botteghe di Anghiari

Ai primi dell’Ottocento, il centro della Valtiberina toscana in cui vi era il maggior numero di manifatture era Anghiari.

Vi era un lanificio dal 1801, di proprietà di Luigi Boninsegni e figli, che impiegava 17 operai. Quest’opificio utilizzava 47,5 quintali di lana e 10 quintali di canapa annualmente e nello stesso periodo produceva circa 3790 metri di «Panni ordinari», 2332 metri di «Panni fini» ed altrettanti di «Mezzi lani» che venivano venduti in Toscana per un valore di 63.000 lire toscane. Della stessa proprietà era una conceria, fondata nel 1720, che impiegava sei conciatori e, utilizzando circa 34 quintali di cuoio e di pelli, produceva poco più di 20 quintali di suole, circa 8 quintali e mezzo di pelli di vitello e circa 4 quintali e mezzo di «Pellicine». Si aveva quindi uno scarto della materia prima di circa 68 kg. Tutta la produzione era venduta in Toscana per un valore di 13.000 lire.

Un altro opificio che era stato fondato nel 1780, apparteneva a Domenico Miccioni, un magnano, cioè un fabbro, che con sei operai produceva «Ringhiere, Cancelli, Toppe, grille, inferriate, vasi fiori ed alari». Per fare tutto ciò acquistava quasi 41 quintali di ferro e poco più di 3 quintali di acciaio.

Infine, secondo la statistica del 1809, vi erano due armaioli. Il laboratorio più importante apparteneva a Giuseppe Guardiani e ai suoi figli, era stato fondato nel 1740 e occupava cinque operai. I Guardiani acquistavano circa 68 kg. di ferro, circa 34 kg. di ottone, circa 1,4 kg. di argento e poco più di 10 kg. di «Corno di Bufalo». La produzione, che consisteva in fucili e pistole di ogni specie, usciva anche dai confini del Granducato. L’altro armaiolo era un certo Vallini e lavorava da solo, producendo fucili e pistole che vendeva in Toscana. Il Vallini impiegava poco più di 15 kg. di ferro e quasi 8,5 kg. di acciaio. Anche lui, come gli altri artigiani anghiaresi di quel periodo, acquistava la materia prima in Toscana e probabilmente il legno proveniva dai boschi anghiaresi così come un gran parte del ferro arrivava dalle miniere dei Monti Rognosi. Ma in questi anni lavoravano ad Anghiari anche altri fabbricanti di armi, la cui domanda era sollecitata dalla diffusa presenza dei briganti. Fra i maestri armaioli anghiaresi attivi tra il Settecento e l’Ottocento devono essere citati anche Matassi, Cerboncelli e Favilli. Gli armaioli di Anghiari fabbricavano anche ferri chirurgici, ma sembra che già agli inizi dell’Ottocento la loro attività fosse in decadenza.

Esistevano anche altri opifici nel territorio di Anghiari, come mulini e tintorie e «un piccolo numero di stovigliai». Quest’ultimi sembra avessero «raggiunto già un notevole livello di rinomanza» come testimonia la presenza in Anghiari di giovani apprendisti trasferitisi dal paese di Barga, in Garfagnana, e inoltre molto probabilmente si erano già costituiti in associazione.

Tuttavia ancora nel 1810 la popolazione impiegata nelle manifatture anghiaresi era in numero assai basso: erano 30 gli addetti del lanificio, 6 gli operai della concia, 25 quelli delle tintorie, 6 i lavoranti «di Grille e ringhiere» e 20 «di stoviglie».

Le attività extragricole di Sansepolcro

A Sansepolcro in questo periodo la situazione era ancora peggiore: «non esistevano vere manifatture, ma solo tre fabbriche di terraglia ordinaria e la manifattura del guado che veniva raccolto nella comunità. Le tre fabbriche occupavano circa 20 persone e nella manifattura del guado si impiegavano in qualche tempo dell'anno i contadini.

A Sansepolcro, agli inizi dell’Ottocento, i pochi che non lavoravano i campi e che non erano proprietari terrieri erano soprattutto donne e religiosi. Secondo un elenco della popolazione di Sansepolcro redatto negli anni del dominio napoleonico, quest’ultimi (sacerdoti, monache, chierici, canonici, ecc.) erano oltre un centinaio e rappresentavano quasi il 4% della popolazione in età da lavoro. Invece le donne che non attendevano principalmente ai lavori dei campi, erano soprattutto filatrici (circa il 10% della popolazione in età da lavoro), poi erano tessitrici (1,6%), calzettaie (1,2%), cucitrici e crestaie (0,9%) – le crestaie erano piccole modiste, lavoratrici di creste e di altri abbigliamenti da donna. Tuttavia quasi tutte le donne, specialmente nelle campagne, filavano e tessevano lino e canapa «quel tempo dell’anno che sopravanza[va] ai lavori domestici» e il loro numero venne stimato in un migliaio di filatrici e circa 400 tessitrici: molte filatrici praticavano «il mestiere di filare per farne un guadagno», mentre fra le tessitrici una metà lavorava «per mestiere tutto l’anno, e altrettante e più […] per uso solamente della propria famiglia». La produzione era di «circa 80.000 metri di tele in un anno, per un ammontare di circa 160.000 franchi». Indistintamente, maschi e femmine, svolgevano i mestieri di servitore e cameriere (3%), sarto (2,5%), piccolo commerciante (0,7%), ortolano (0,3%). I mestieri più diffusi dagli altri uomini erano quelli di calzolaio e ciabattino (2,2%), manovale e bracciante (1,6%), fabbro (0,9%), mugnaio (0,9%), garzone (0,7%), legnaiolo (0,5%), barbiere (0,5%), muratore (0,5%), cappellaio (0,4%), vasaio (0,3%), bullettaio (0,3%), vetturale e cocchiere (0,3%), macellaio (0,3%). Elaborando anche altri dati del periodo napoleonico e quelli ricavati dal rilascio delle patenti tra il 1809 e il 1813 emergono sostanzialmente gli stessi mestieri: fra le 68 occupazioni differenti la maggior parte degli uomini che non erano contadini svolgevano soprattutto le attività di mugnai, fornai, muratori, sarti, vetturali, calzolai, barbieri, legnaioli, panettieri e fabbri; fra i 18 mestieri femminili censiti, i più praticati dalle donne di Sansepolcro erano quelli di cucitrice, fruttaiola, panettiera, bettoliera, fornaia, droghiera, mercante di maccheroni, sarta, solfanellaia e speziale.

Da questi dati emerge un economia povera, dove anche l’attività manifatturiera era strettamente dipendente da quella agricola e indirizzata alla soddisfazione dei bisogni di sussistenza prima (trasformazione del grano in farina e pane) e poi comunque a quelli di stretta necessità (manifatture tessili); da notare però anche un discreto numero di addetti nei servizi che, seppure non svolgendo lavori specializzati, testimoniano come Sansepolcro rappresenti un centro di scambi commerciali per la valle. Infine da constatare anche la rilevante presenza di ricchi signori.

Raramente i lavori artigianali impegnavano tutto l’anno: i 6 cappellai lavoravano 10 mesi; la dozzina di artigiani che produceva arnesi in ferro per l’agricoltura si guadagnava il pane per circa 8 mesi; la trasformazione del guado, dove ormai venivano impiegati soltanto una quarantina di addetti, durava 6 mesi; la produzione di panni ordinari, svolta da un’altra quarantina di persone, impegnava soltanto per 4 mesi; la filatura della lana, praticata da circa sessanta lavoranti, durava solo 45 giorni; i tre frantoi da olio lavoravano con 9 persone per soli 27 o 28 giorni; due di questi mulini producevano anche l’olio di lino con 6 addetti, ma anche in questo caso per un periodo breve che andava da 30 a 36 giorni; il produttore di «stilli d’Acqua Vite» si dedicava a quest’attività  soltanto per 23 o 24 giorni. Fra coloro che lavoravano tutto l’anno c’erano soltanto i fornaciai, i bullettai e l’artigiano che produceva coltelli.

Così il lavoro dei campi, quello delle botteghe, sia artigianali che commerciali, spesso non era sufficiente per la sussistenza della famiglia. La paga giornaliera di un bracciante era intorno agli 84 centesimi, ma se il vitto era fornito «dal proprietario del podere o dal mezzadro datore di lavoro» il salario si dimezzava. Anche le paghe degli artigiani erano basse: dagli 84 centesimi per i lavori più qualificati si arrivava anche fino a 12 centesimi degli addetti ai forni di calcina. Si tenga presente che il grano costava intorno agli 8 centesimi al kg.

A fornire opportunità d’impiego per la popolazione di Sansepolcro per tutta la prima metà dell’Ottocento, furono soprattutto prima «l’attivismo dell’amministrazione francese nel produrre opere pubbliche», poi quello dell’amministrazione comunale «che poteva offrire lavoro di un certo rilievo» nella realizzazione e manutenzione di opere pubbliche. Ad esempio, nel 1827 i lavori preventivati furono: «riparazione agli argini del torrente Afra; allargamento e approfondimento del Rio di Starnavolpe, dalla strada di Gragnano alla Vannocchia; approfondimento e risarcimento del letto del Rio di Macca, da capo di Via dei Fiori, lungo la strada della Pieve; riarginamento delle rive del Tevere»; in quello stesso anno fu deciso anche «il riassetto del piano stradale di Via dalle Aggiunte, con uno strato di selce»: «La selce – pietra durissima, atta alla pavimentazione di strade dove scorrono ruote cerchiate di ferro e passano zoccoli ferrati di cavalli e muli  – era ricavata da una cava di Montecasale, in località sopra la Fonte del Guappalorso. La scoperta della cava e il riattamento della strada per il trasporto della pietra fino a Sansepolcro fu uno dei lavori di maggior rilievo di quegli anni. Soltanto la sistemazione della via, per il traino dei buoi, costò al Comune la somma di L. 6290.11.8. Ma ciò portò vantaggio, oltre tutto, il Convento dei Cappuccini e alla Dogana di Montecasale, facilitando il transito dei viandanti e delle mercanzie. Era quella, infatti, la strada antica che conduceva al passo dell’Alpe per Urbino e Ancona». Nel 1829 furono presi «in esame i lavori da eseguirsi nelle strade interne della città». Poi l’anno dopo furono restaurate le mura e fatti altri lavori stradali e edili, come negli anni successivi: con perizia del 1836, fu costruito un lavatoio pubblico alla gora presso il Gioco del Pallone a Porta Romana; fra il 1838 e il 1839 furono collocati nuovi lampioni in via dei Servi, via Buiana e via degli Abbarbagliati; fu allargata la piazza, abbattendo alcuni stabili di proprietà della famiglia Gherardi; nel 1840 fu stabilito il rifacimento del Palazzo Pretorio e delle carceri.

Claudio Cherubini

Redazione
© Riproduzione riservata
24/08/2023 08:29:17


Potrebbero anche interessarti:

Ultimi video:

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Bisogna essere registrati per lasciare un commento

Crea un account

Crea un nuovo account, è facile!


Registra un nuovo account

Accedi

Hai già un account? Accedi qui ora.


Accedi

0 commenti alla notizia

Commenta per primo.

Archivio Cultura

Spiritiere e arriccia capelli nella storia del parrucchiere Vincenzo Vescovi >>>

Una lingua straniera? No, “El Dialett Sampieran” >>>

La Regione dell'Umbria ha approvato il dimensionamento della rete scolastica >>>

Accorpamento scolastico a Sansepolcro: "Il Giovagnoli non perderà la sua identità" >>>

I docenti del Giovagnoli di Sansepolcro: "Cosa diremo ai genitori in sede di orientamento?" >>>

Lectio magistralis di Massimo Mercati al "Fanfani-Camaiti" di Pieve Santo Stefano >>>

Città di Castello, Elegia per Giulia Cecchettin al museo della Tela Umbra >>>

Sansepolcro, presentata la borsa di studio "Angiolino e Giovanni Acquisti" >>>

Città di Castello: "Pensieri all'inizio del tramonto", l'ultimo libro di Venanzio Nocchi >>>

Nuovi orari e giorni di apertura invernali del Museo San Francesco di Montone >>>