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La dogana pontificia, frammento di storia di Fighille, una frazione del comune di Citerna

Un capitolo di storia anche se limitata a soli 18 anni

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Una piccola parentesi di 18 anni, dal 1842 al 1860: vi venne trasferita da Pistrino poichè l’altra frazione di Citerna era più vicina al confine con il Granducato di Toscana e quindi era più efficace il controllo di una piaga ancora non estirpata: quella del contrabbando

Sapevate che anche a Fighille di Citerna è esistita una dogana pontificia, seppure per un lasso di tempo alquanto breve nel XIX secolo? Per la precisione, dal 1842 al 1860. Non era la sola esistente in quel periodo e intuirlo non è in fondo difficile: d’altronde, nei luoghi storicamente di confine è anche normale che in passato vi siano state dogane. E vedremo che erano diverse. L’Alta Valle del Tevere è tuttora divisa a livello politico-amministrativo e fino a 162 anni fa il confine era di Stato. Non solo: Fighille è di fatto il paese più settentrionale di tutta l’Umbria: un paio di chilometri – forse anche meno – e siamo già in Toscana, lungo la strada per San Leo di Anghiari. Una frazione importante, perché conta intorno a 800 abitanti, che lega in primis il suo passato alla grande risorsa estratta dalla terra: l’argilla. Non a caso, sono stati ritrovati in zona i resti di alcune ceramiche d’impasto preistoriche. I Romani conoscevano il luogo e lo frequentavano: la stessa denominazione del paese deriva con ogni probabilità dal termine “figulinus”, cioè il fabbricante di vasi di terracotta. La produzione delle ceramiche ha reso nota Fighille fin dal Medioevo e la sua argilla di elevata qualità (la “terra citernae”) è ancora oggi estratta ed esportata anche all’estero. Venendo all’argomento del quale ci occupiamo, il palazzo della ex dogana pontificia è diventato la sede del Centro museale per l’Arte Contemporanea.   

Sulla dogana pontificia di Fighille ha scritto un volume il professor Enrico Fuselli, al quale si è rivolta la Pro Loco della frazione citernese, che aveva mostrato interesse nel recuperare la storia di questo ufficio. Il testo è stato presentato dieci anni fa – nell’aprile del 2013 – e si intitola “Fighille, piccola storia di una dogana pontificia”. Il professor Fuselli vive a Orte ed è un insegnante di lettere alle secondarie superiori, ma ha vissuto a Città di Castello e il motivo per il quale ha deciso di scrivere il libro è ben preciso: “Mio padre ha lavorato nella Guardia di Finanza – ha ricordato – e ha prestato servizio per undici anni in Alta Valle del Tevere. A farmi scattare la molla è stata la storia della Repubblica di Cospaia, che non appena mi è stata raccontata aveva il sapore quasi di una favola, ma chiaramente era tutto vero. Da Cospaia, sono poi arrivato anche a Fighille, dove l’esistenza della dogana ha avuto un’influenza di rilievo non soltanto sulla vita degli abitanti del posto, ma anche inevitabilmente su coloro che in quegli anni attraversarono la strada in cui era posta. Credo che sia significativo il recupero eseguito sull’edificio nel quale la dogana si trovava, in parte adibito a museo: è un modo per tenere viva la storia. Il materiale dal quale ho ricavato il libro è conservato nel museo storico della Guardia di Finanza di Roma: fondamentale è stata perciò la collaborazione di questa istituzione culturale del Corpo”. Il testo del professor Fuselli non fa altro che ricostruire la vita quotidiana di quello che era un piccolo ufficio ai confini fra Stato Pontificio (del quale faceva parte) e Granducato di Toscana, preoccupandosi soprattutto di chiarire al lettore il funzionamento dell’amministrazione doganale dello Stato della Chiesa, con particolare riferimento al fenomeno – non ancora estirpato - del contrabbando. Le persone che lavoravano all’interno della dogana erano impegnate su più fronti: amministrativo-burocratico e del controllo delle merci e dei viaggiatori proprio per prevenire e reprimere il contrabbando. E come accade in questi casi, da una parte c’è la persona che tenta di frodare l’erario e dall’altra il finanziere pontificio intento a smascherarlo. Di situazioni del genere se ne sono verificate diverse anche a Fighille. Nel volume, il professor Fuselli chiarisce anche i diversi aspetti del funzionamento dell’amministrazione doganale dello Stato della Chiesa. La dogana pontificia era composta da funzionari civili e da un corpo militare, la “Truppa di Finanza”, istituito nel 1786 da monsignor Fabrizio Ruffo, tesoriere generale dello Stato Pontificio, che attraverso essa voleva combattere il contrabbando. Il corpo ebbe una storia piuttosto travagliata e venne sciolto dal generale austriaco Enzo Caprara nel 1797. Fu allora l’ordinamento doganale francese, che aveva avvicendato quello pontificio durante il periodo napoleonico, a ripristinare le guardie doganali pontificie, organizzazione militare mantenuta anche con la restaurazione papale e il cardinale Cesare Guerrieri rimise in piedi la “Truppa di Finanza”, resa autonoma nel 1817.  La militarizzazione fu osteggiata dalle autorità doganali, perché sminuiva la necessaria sinergia e l’efficace coordinamento indispensabili per una seria lotta al contrabbando. Per dirla tutta, a causa di tale status ambiguo, le Truppe di Finanza erano diventate proverbiali per essere il rifugio preferito di imbucati e scansafatiche. Pochi anni dopo l’apertura della dogana di Fighille, nel 1847, lo Stato Pontificio aderì all’unione doganale con il Granducato di Toscana e con il Regno di Sardegna, anche se a causa dei moti rivoluzionari dell’anno seguente la situazione sarebbe rimasta sostanzialmente invariata. Il commercio con l’estero era incentrato sulle seguenti principali voci merceologiche. In importazione: carbone, legnami, metalli, pesci salati, prodotti coloniali, filati, lana, carta, zucchero, panni, olio, oggetti di lusso, vetrerie, porcellane, metalli e loro manufatti. In esportazione: canapa, filati di seta e lana, formaggi, salumi, oggetti di antichità, terrecotte, farina, pelli grezze e cordami. Se dunque il capolinea temporale delle dogane pontificie è costituito dall’unità d’Italia, perché a Fighille è stata istituita solo nel 1842? “La sua durata è stata breve – ha spiegato il professor Fuselli – perché fino a quel momento aveva sede a Pistrino, la frazione che di fatto oggi è il capoluogo del Comune di Citerna. Lo spostamento si rese necessario perché Fighille era e tuttora è più vicina al confine, oggi con la Toscana e allora con il Granducato. La tassazione era prevista per le merci in entrata e in uscita, in particolare quelle che provenivano dalla vicina San Leo; nei luoghi di confine vi erano due dogane, una per rispettivo territorio: “Ogni Stato aveva le proprie dogane e istituiva i propri dazi, che nello specifico erano le gabelle pontificie – ha precisato il professor Fuselli – e la tendenza era quella di ubicare le dogane il più possibile vicino al confine di Stato, segnato con l’apposizione di cippi, per rendere meno problematiche le operazioni. Trattandosi di un luogo nel quale tutti avrebbero dovuto transitare, vi era una strada da percorrere obbligatoriamente. Se qualcuno veniva sorpreso a compiere altri tragitti, la merce che si portava appresso gli veniva sequestrata e la persona in questione era subito sottoposta a processo per contrabbando”. Quante erano le dogane presenti nel territorio dell’Alta Valle del Tevere? “La più importante, per ovvi motivi, era quella della Repubblica di Cospaia, la cui attività iniziò nel 1827, quindi è rimasta in vita per 33 anni, ma era normale che ve ne fossero lungo le vie di accesso che collegavano con gli altri Stati. Un’altra alquanto attiva era per esempio quella di Croce di Castiglione, vicino a San Secondo, nel territorio di Città di Castello: a due passi c’è la frazione Gioiello di Monte Santa Maria Tiberina, che fino a quasi cento anni fa apparteneva alla Toscana. A Sansepolcro, invece, una dogana era situata all’altezza di Montecasale, ma c’erano anche a San Leo di Anghiari, a Monterchi e – sul versante più orientale della Toscana – a Sestino e a Monterone, luoghi che anche oggi sono di confine, seppure soltanto di regione”.

La presenza di una dogana resta pur sempre un capitolo di storia, anche se limitata a soli 18 anni. Lo hanno capito bene quelli della Pro Loco di Fighille, consapevoli del fatto che nel loro passato ci sono anche le gabelle pontificie che qui venivano pagate, oltre alla terra dalla quale ancora si estrae l’argilla. Il libro del professor Enrico Fuselli è stata perciò un’operazione di rilievo storico-culturale che merita l’apprezzamento pieno, così come la riconversione dell’immobile in cui si trovava la dogana. È la dimostrazione del fatto che – oltre a feste e sagre, come quella della Ciaccia Fritta nel caso specifico di Fighille – una pro loco può svolgere un ruolo attivo su più fronti. Recuperare la storia è sempre fondamentale: se poi quella della dogana pontificia è stata una presenza fugace, poco importa.  

Notizia tratta dal periodico l'Eco del Tevere
© Riproduzione riservata
15/08/2023 17:30:41


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