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Ristoranti in crisi, 9 su 10 hanno dovuto aumentare i prezzi fino al 25 per cento

Le due criticità maggiori: costo dell'energia e mancanza di personale

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La notizia è che la situazione critica in cui si trovano (ancora) i ristoratori italiani non fa più notizia. Nulla è cambiato, e in alcuni casi con le debite proporzioni è anche peggiorato, rispetto al momento buio della pandemia nonostante, passata l'emergenza, sia tornata la voglia di mangiare fuori e il turismo sia ripreso alla grande. Le difficoltà continuano ad esserci e si sentono ancor di più oggi 28 aprile giorno in cui si celebra (ma si vorrebbe soprattutto festeggiare) la prima "Giornata della ristorazione" promossa dalla Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi. L'obiettivo a cui  puntano i ristoratori del Bel e Buon Paese è quello di valorizzare il più possibile e rifondare "la cultura dell'ospitalità italiana".

Dovendo fare letteralmente i conti con due criticità non da poco come l'aumento del costo dell'energia e delle materie prime, e l'assenza di personale tra sala e cucina divenuto oramai una voce refrain in menu un po' per tutti, dalle trattorie agli stellati. A sottolinearlo sono i dati di un’indagine svolta dalla web app per le prenotazioni Plateform riferita al 2022, come dicevamo anno di crescita per la spesa alimentare fuori casa (sono aumentati i fatturati ma è diminuita la frequenza della fruizione dei ristoranti e il loro numero) ma anche di record di chiusure di locali costretti a fermarsi per sempre. Circa 1300 i ristoranti appartenenti al circuito e presi in esame dalla ricerca  pubblicata nel Rapporto dell’Osservatorio Ristorazione dell’agenzia RistoratoreTop. Emerge che per il 36% dei ristoratori l'impatto maggiore a danno dell'attività è stato rappresentato dal rincaro di luce e gas, il 22% ha risentito dell’aumento del costo delle materie prime. Il 19% ha lamentato l’assenza di personale mentre il 15% ha sofferto la mancanza di liquidità. C'è anche chi ha dichiarato di non aver avuto problemi ma la percentuale si ferma al 6%. 

“Se da un lato - ha spiegato il presidente dell'Osservatorio Lorenzo Ferrari - il caro energia è un problema che ha colpito trasversalmente tutti i cittadini con soluzioni percorribili nell’immediato da parte degli imprenditori del settore, una su tutte l’aumento dei prezzi in menu, dall’altro la disaffezione della forza lavoro nei confronti della ristorazione può sembrare una criticità transitoria che però nasconde enormi insidie sul lungo periodo e prevede soluzioni sistemiche tutt’altro che immediate”. Per quanto riguarda  la crescita delle spese la maggioranza degli intervistati ha reagito  aumentando i prezzi al cliente: l’87% ha rialzato dall’1 al 15% e non è mancato (il 2%) chi ha presentato conti con rincari superiori al 25%. Poi il tasto dolente della mancanza di personale: l'anno scorso il 76% dei ristoranti ha perso figure professionali di cucina o di sala. E uno su due ha ancora lo stesso problema con staff incompleti. 

La maggioranza dei ristoratori interpellati ha riscontrato l'assenza di candidature in risposta ad annunci andati vacanti, poi il “no show” a colloquio (i candidati non si sono presentati) seguito dal rifiuto a lavorare di sera, durante i weekend e nei festivi, e la richiesta esplicita di non avere il contratto. E non aiuta la fuga record dalle scuole alberghiere nonostante l'auspicio del ministro Lollobrigida che diventino di moda e i suoi appelli ai ragazzi  degli alberghieri ad essere "testimonial del made in Italy nel mondo". L'emorragia è un dato: l’anno scolastico 2021-2022 ha segnato un -47% di iscritti rispetto al 2013-2014, quando si era toccato il picco assoluto di 64.296 studenti. Per Ferrari "tra le cause principali che influiscono sulla Great Resignation, ovvero la fuga di personale dal settore che si è messa in moto nel 2021, complice la pandemia è doveroso segnalare le condizioni lavorative alienanti, i ritmi faticosi e i contratti capestro che per troppo tempo hanno caratterizzato la ristorazione". Poi c'è  "la disillusione dei più giovani, dagli ultimi Millennials alla Gen Z, figlia del cortocircuito creato negli ultimi anni dal ‘modello Masterchef”, che ha descritto la ristorazione romanzandola eccessivamente, patinandola e scollandola drasticamente dalla realtà che si vive nelle cucine e nelle sale dei locali".  Come dire che "le nuove generazioni appartengono alla cultura ‘You Only Live Once' si vive una volta sola, che le porta a compiere scelte di vita fuori dagli schemi tradizionali e cavalcare, giustamente, le nuove professioni comparse sul mercato, possibilmente in proprio". Per trovare soluzioni occorre "che i ristoratori e le associazioni di categoria facciano squadra e lavorino per reinventare il settore, rendendolo nuovamente attraente, mentre i legislatori è bene che adeguino i contratti nazionali per tutelare tanto i dipendenti quanto gli imprenditori”.

Qualche nota di ottimismo non guasta anche se il clima è ancora di sfiducia e disincanto ci sono "segnali più che incoraggianti sul piano dei consumi nei locali. Il settore, che prima del 2020 era decisamente sovraffollato e caratterizzato da una concorrenza spesso poco sana, oggi vede meno concorrenti sul mercato, ma più preparati e predisposti al cambiamento". È stato definito “Darwinismo Ristorativo” quello che ha permesso a tanti locali di sopravvivere dopo la pandemia e guardare avanti.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
29/04/2023 06:24:18


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