Opinionisti Giulia Gambacci

Maria Montessori e il suo “metodo” delle capacità

A Città di Castello mette “nero su banco” la prima edizione del “Metodo”

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È passata alla storia per la rivoluzione da lei apportata nel sistema educativo, al punto tale da essere applicata in circa 65mila scuole di tutto il mondo. Più di una volta abbiamo sentito parlare di “metodo Montessori”, ovvero di quella disciplina che si propone di dare al bambino la libertà di manifestare la sua spontaneità. E Maria Montessori – peraltro a suo tempo omaggiata con l’effigie stampata nella vecchia banconota da mille lire - è stata appunto l’ideatrice di questo metodo, nella convinzione che la vera salute, fisica e mentale, sia il risultato della cosiddetta “liberazione dell’anima”. In questo percorso, la funzione dell’adulto è quella di aiutare il bambino a conquistarla attraverso la creazione di ambienti familiari su misura e la dotazione di oggetti pedagogici appositamente studiati per favorirne lo sviluppo intellettuale. Con un’attenta osservazione del suo comportamento, il bambino imparerà e si autocorreggerà. Da laureata in pedagogia, aveva capito l’importanza della centralità del bambino e della libera scelta con uso di materiali scientifici da impiegare autonomamente, perché in ognuno di essi è insito il controllo dell’errore. L’adulto deve pertanto presentare l’attività e il bambino, nella ripetizione dell’esercizio, acquisisce ulteriori livelli di sviluppo.  

Era nata il 31 agosto 1970 a Chiaravalle, in provincia di Ancona, Maria Tecla Artemisia Montessori (questo il suo nome completo) e la sua casa è oggi un museo a lei dedicato. I suoi genitori, Alessandro e Renilde Stoppani, erano persone istruite ed entrambi cattolici e affascinati dagli ideali risorgimentali. Per parte di madre, Maria era nipote di Antonio Stoppani, l’abate e naturalista autore del volume “Il Bel Paese”. La madre e l’abate rivestono un ruolo chiave nella sua formazione, specie per ciò che riguarda il sostegno costante alle idee innovative e alle scelte di vita insolite per l’epoca, mentre il padre è un tantino più conservatore come idee e nel 1873, per motivi di lavoro, viene trasferito a Firenze, poi la famiglia traslocherà a Roma. La passione per lo studio sale in Maria quando ha 11 anni e un’altra sua passione dell’epoca è quella per l’arte drammatica. Nel 1884, viene aperta a Roma una scuola governativa femminile, la “Regia scuola tecnica”, in linea con il piano di politica scolastica dell’Italia post-unitaria e la Montessori è fra le prime dieci alunne a conseguire il diploma con 137/160. L’interesse per le materie scientifiche matura fin dai primi anni di studio, in particolare per la matematica e per la biologia; la madre la appoggia, mentre il padre non è d’accordo perché la vorrebbe insegnante. Non possedendo però il diploma di maturità classica, Maria è impossibilitata a iscriversi a medicina: deve allora passare per la facoltà di scienze e dopo due anni si trasferisce a medicina, studiando a La Sapienza di Roma. Un periodo non facile per lei, a causa dei pregiudizi nei confronti della donna che dominavano nell’ambito della medicina, tanto che la Montessori era costretta a svolgere la fase pratica di anatomia di notte al fine di non creare scandali, dal momento che era inconcepibile il fatto che una esponente del sesso femminile dovesse lavorare sul corpo nudo di un defunto e assieme a studenti maschi. Le lezioni di igiene sperimentale, tenute da Angelo Celli, le forniscono un input importante sulle cause di determinate malattie, vedi malaria e tubercolosi, da attribuire – per Celli - più alla marginalità sociale che all’incapacità della scienza medica. Nel 1896, Maria Montessori si laurea in medicina ed è la terza donna italiana a riuscirvi, con specializzazione in neuropsichiatria e con successivi studi di pediatria, ginecologia e malattie degli uomini. Vince un premio dalla Fondazione Rolli per un lavoro in patologia generale e vanta un eccellente curriculum in igiene, psichiatria e pediatria, quelle che saranno poi le sue materie. Ottiene la nomina di assistente nella clinica psichiatrica dell’Università di Roma assieme a Giuseppe Ferruccio Montesano (con il quale ebbe anche un legame affettivo) e si occupa del recupero di bambini e bambine con problemi psichici. I casi più delicati e gli esperimenti di rieducazione attraverso determinati percorsi diventano la sua ragione professionale e la partecipazione a convegni pedagogici è per lei occasione di apprendimento dei metodi sperimentali di rieducazione per i cosiddetti minorati mentali. Amplia quindi la sua base culturale con la laurea in filosofia e diventa direttrice della scuola magistrale ortofrenica di Roma. Dalla sua relazione con Montesano nasce nel 1898 un figlio, Mario, partorito di nascosto e affidato a una famiglia, poi ripreso all’età di 14 anni da Maria dopo la morte della madre. Maria aveva detto che era un nipote, ma la verità su questo ragazzo sarà rivelata nel testamento. Il rapporto con Montesano finisce nel momento in cui viene a sapere che quest’ultimo avrebbe sposato un’altra donna; un fatto che le segnerà la vita e da quel momento Maria Montessori si vestirà solo di nero, quale segno di lutto eterno per l’amore finito. La sua carriera è però brillante: nel 1903 viene nominata medico assistente di seconda classe nel personale direttivo della Croce Rossa Italiana e un anno più tardi consegue la libera docenza in antropologia, per cui può occuparsi dell’organizzazione degli asili infantili, mentre nel 1909 la sua vita conosce una tappa importante, chiamata Città di Castello. Conosce infatti i baroni Alice e Leopoldo Franchetti, che due anni prima avevano contribuito all’apertura della prima Casa dei Bimbi a Roma e che decidono di sostenerla a livello concreto: la invitano a soggiornare a Villa Montesca nel periodo estivo. Proprio su sollecitazione dei Franchetti, Maria Montessori mette per iscritto la prima edizione del suo “Metodo” e la dedica ai baroni. Il volume si intitola “Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”, edito dalla “Scipione Lapi”. Non solo: tiene anche il primo corso di formazione per maestre sul metodo Montessori a Palazzo Alberti-Tomassini, nella città tifernate (dal 1° al 31 agosto 1909), dove ha sede la Tela Umbra e dopo questo corso la baronessa Franchetti inaugura una “Casa dei Bambini” a villa Montesca. Al corso partecipano maestre giunte da tutta Italia, oltre alle insegnanti delle scuole di Montesca e Rovigliano. Il volume costituisce la prima esposizione organica della visione montessoriana della pedagogia, quale sviluppo spontaneo e libero della personalità del fanciullo mediante un materiale educativo scientificamente predisposto. Il metodo Montessori viene adottato all’inizio per volontà della marchesa Romeyne sui suoi tre figli: Gian Antonio, Uguccione e Lodovico Ranieri di Sorbello, con i primi due a fungere da cavie della situazione per testare la sperimentazione. Lo stesso metodo è poi applicato fra l’estate e l’autunno del 1909 alla didattica della scuola elementare rurale del Pischiello, in un’ala dell’omonima villa che si trova nel Comune di Passignano sul Trasimeno. La scelta della marchesa Romeyne è suggerita dalla necessità di sopperire alle gravi condizioni di arretratezza culturale dell’infanzia locale che si predisponeva in età avanzata, fra i 6 e i 9 anni, alfabetizzazione affrontata nella classe prima. Non appena si reca negli Stati Uniti, nel 1913, il New Jork Tribune presenta Maria Montessori qualificandola come “the most interesting woman of Europe”, cioè la donna più interessante d’Europa. Come interessante risulta il suo metodo, che vivrà periodi meno felici per poi riprendere vigore negli anni ’60, ma torniamo a cento anni fa: nel 1924, Benito Mussolini introduce il metodo Montessori nelle scuole italiane, che resta fino al 1934, quando a causa di divergenze il duce e Adolf Hitler fanno chiudere le scuole montessoriane. Proprio nel ’34, la Montessori lascia l’Italia per andare prima in Spagna, poi in Inghilterra e nel 1939 in India, dove si trasferisce con il figlio Mario, che diventa anche il suo assistente. Le “Case” si diffondono ovunque. Madre e figlio torneranno in Europa nel 1946; anni di conferenze e riconoscimenti, prima della morte di Maria Montessori, il 6 maggio 1952 a Noordwijk, in Olanda. Da ricordare che, fra le tante cose da lei messe in piedi, c’è anche la fondazione del centro studi pedagogici all’Università per Stranieri di Perugia. Nonostante i suoi tanti spostamenti, la terra di origine le era rimasta nel cuore: lo testimonia il racconto del figlio (Mario è morto nel 1982), fatto nel 1971 in occasione della posa della prima pietra della nuova scuola Montessori di Ancona. Proprio nel capoluogo marchigiano e a Chiaravalle, cittadina dove era nata e vissuta, Maria Montessori aveva espresso il desiderio di tornare, non appena rientrata dall’India. Dopo averlo fatto, disse: “Adesso sono contenta; adesso anche se muoio ho rivisto il mio paese”.

Una donna di forte personalità, Maria Montessori e questa prerogativa – sostengono autorevoli esponenti in materia - è stata insieme il segreto e il limite del suo metodo, anche perché è difficile trovare insegnanti con la stessa passione e dedizione della fondatrice. Spesso, i dettami del suo metodo sono stati confusi o mal interpretati dai critici: il suo concetto di pace e calma interiore è visto da molti come una delle chiavi di lettura fondamentali della sua opera. Il metodo Montessori prende in considerazione il bambino dalla nascita all’età adulta e assegna all’insegnante il ruolo di mediatore che asseconda la voglia di fare insita nel bambino: l’insegnante ha il compito di osservare, scegliere il materiale adatto e tacere al momento giusto. Sono quatto i periodi (chiamati “piani”) che riguardano lo sviluppo. Il primo abbraccia la fascia di età 2-6 anni e ha per obiettivo l’esercizio dei sensi e l’educazione alla vita pratica e alla socialità. Fra i temi vi sono tempo, rapporto con la natura, indipendenza, silenzio, linguaggi, numeri, spazio suoni e colori. In altre parole, è l’autonomia del bambino il punto principale sul quale lavorare, quindi è opportuno l’esercizio dei sensi con oggetti appropriati alle sue passioni e alle sue proporzioni fisiche. Il bambino deve insomma scoprire e fare conquiste in maniera spontanea. Il secondo periodo va dai 7 ai 12 anni e segna il passaggio dal piano sensoriale a quello astratto. L’insegnante è ancora un mediatore, anche se resta comunque una componente fondamentale per il bambino. Studi su acqua, chimica, storia, religioni del mondo e cultura artistica e musicale i nuovi argomenti. La manualità acquisisce una propria importanza ed è il segnale della volontà di riuscire e di superare un ostacolo. Il terzo periodo è quello dell’adolescenza e va dai 12 ai 18 anni: il bambino diventa uomo e quindi membro della società; avverte la necessità della vita sociale e allora la Montessori esige una riforma delle scuole secondarie e favorisce l’educazione nelle comunità e in campagna; in questo prende spunto dalle comunità conosciute in Inghilterra e in Germania. Libertà, cure fisiche, alimentazione curata, espressione personale ed educazione morale sono i nuovi traguardi. Nel quarto periodo (sopra i 18 anni), la Montessori evidenzia la necessità di incoraggiare il giovane – divenuto oramai adulto – all’autonomia, alla cooperazione e alla conquista dell’indipendenza economica durante gli studi universitari. L’influenza di Maria Montessori si è fatta sentire anche in Paesi quali Francia, Austria e Svizzera e i suoi testi sono stati tradotti in quasi tutte le lingue. Fra questi, ricordiamo “Il segreto dell’infanzia”, pubblicato a Bellinzona nel 1938 e a Milano nel 1950; “Il bambino in famiglia” (1936); “De l’enfant à l’adolescent”, non tradotta in italiano; “La mente del bambino” (1952) e “La scoperta del bambino”. Secondo quella che era la sua concezione, il bambino educato con il rispetto della sua libertà e delle infinite risorse avrebbe dovuto essere l’educatore dell’adulto e il rigeneratore dell’umanità. La formazione dell’uomo in base ai suoi principi avrebbe garantito il trionfo della giustizia e della pace nel mondo. Il volume “Formazione dell’uomo” (1949) e i tre saggi contenuti in “Educazione e pace” (sempre del 1949) sono considerati il suo testamento spirituale.          

Giulia Gambacci
© Riproduzione riservata
23/03/2023 09:44:21

Giulia Gambacci

Giulia Gambacci - Laureata presso l’Università degli Studi di Siena in Scienze dell’Educazione e della Formazione. Ama i bambini e stare insieme a loro, contribuendo alla loro formazione ed educazione. Persona curiosa e determinata crede che “se si vuole fare una cosa la si fa, non ci sono persone meno intelligenti di altre, basta trovare ognuno la propria strada”. Nel tempo libero, oltre a viaggiare e fare lunghe camminate in contatto con la natura, ama la musica e cucinare.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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