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Mondo Politica: intervista a Guido Guerrini storica figura di Rifondazione Comunista a Sansepolcro

"Rispetto alle scorse consiliature si é molto abbassato il livello politico in città"

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Fa spesso la spola fra Kazan, la città russa dove vive e la sua Sansepolcro. Guido Guerrini non è più direttamente coinvolto – come inevitabile - nelle vicende politico-amministrative locali (lo ricordiamo consigliere comunale a soli 19 anni, figura cardine di Rifondazione Comunista, presidente del consiglio comunale e candidato sindaco nel 2006), ma rimane sempre attento alle dinamiche politiche, delle quali riesce sempre a trovare una chiave di lettura. E comunque, nella sua area politica rimane una figura di riferimento. Con lui era inevitabile parlare anche e soprattutto del conflitto in atto fra Ucraina e Russia e di quelli che a suo parere potranno essere gli sviluppi della guerra.  

Guerrini, per quello che Lei riesce a captare, abitando in Russia e stando sempre attento anche alle questioni internazionali, quando questa guerra in atto da quasi un anno potrà scrivere la parola fine e cosa potrà farla cessare?

“Prima di tutto vorrei chiarire che dalla Russia riesco a seguire i mezzi di informazione occidentali e quindi a poter confrontare i flussi comunicativi di entrambe le parti in causa. Non posso dire la stessa cosa quando sono in Italia, dato che tutti i media russi sono bloccati. Fortunatamente c’è Telegram, l’unico social network che funziona da entrambe le parti e fonte inesauribile di informazioni su quello che accade. A quasi un anno dal 24 febbraio 2022, ad oltre nove dell’inizio della crisi tra Ucraina e Russia e a oltre trenta dal collasso dell’Unione Sovietica, posso dire di non aver visto alcun segnale di de-escalation. Stiamo vivendo una spirale dove - passo dopo passo - ci incamminiamo verso un punto di non ritorno, oltre il quale un accordo di pace o una semplice tregua saranno sempre più difficili. Oltre a Russia e Ucraina, sono responsabili di questa situazione gran parte dei Paesi del mondo dato che, a parte qualche eccezione, nessuno si sta impegnando nel cercare di mediare una soluzione a un problema che è iniziato ben prima del 24 febbraio scorso. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto in Ucraina ed in Russia ben prima di Euromaidan. Chi ha visitato quelle terre, anche se non completamente padrone della lingua russa, sa benissimo che erano bombe a orologeria e la diplomazia, in particolar modo europea, aveva tutte le carte in regola per prevenire questo disastro. Se lo avevo capito io, è probabile che anche le principali cancellerie del vecchio continente sapessero cosa stesse succedendo. Se non sono intervenute in passato, probabilmente è perché si desiderava che si arrivasse alle più estreme conseguenze. In mancanza di un processo di mediazione serio, la parola fine potrà avvenire solo con un improbabile cambio di leadership a Kiev e Mosca o con la sconfitta di uno dei due contendenti. Per ora, queste due opzioni sono molto lontane e quindi sarebbe cosa logica tornare a chiedersi perché quasi nessuno sia interessato a mediare un accordo”.

Come valuta il comportamento tenuto in questi dodici mesi dall’Italia?

“Pessimo. E anche il nuovo governo non sta dando alcun segno di discontinuità su questo tema, rispetto a quello guidato da Mario Draghi. L’Italia e l’Europa sono i soggetti che, assieme a Ucraina e Russia, hanno più da perdere da questa situazione. Profughi, problemi energetici e l’effetto boomerang delle sanzioni sono costi di questo conflitto che gravano sul nostro Paese e più in generale sull’Europa. Aggiungiamo anche la scelta di fornire armi a una delle parti in causa e la conseguenza di un costo economico che cade sui contribuenti e sul debito pubblico. Abbiamo rinunciato a un ruolo che le dinamiche successive alla seconda guerra mondiale ci avevano assegnato, ovvero quello di mediare e, progetto ancora più ambizioso, di prevenire situazioni simili. Desidererei che l’Italia diventasse parti attiva in un processo che faccia tacere le armi e soprattutto che faccia gli interessi dei propri cittadini. Oggi, l’interesse prioritario è attivarsi perché si ritorni ad un tavolo di trattativa. È sorprendente anche come la politica estera del nostro Paese - e più in generale del blocco occidentale - tenda a conformarsi con quelli che sono interessi di una sola parte in causa. Se l’inviolabilità dei confini vale nel caso che riguarda Russia e Ucraina, lo stesso criterio avrebbe dovuto essere stato applicato tra Kosovo e Serbia, tra Israele e Palestina, nella Siria - dove parti del territorio nazionale sono sotto il controllo di Israele – in Turchia e in Usa. Se il principio di autodeterminazione dei popoli valeva per il Kosovo e il diritto ad una forte autonomia viene riconosciuto a territori come Alto Adige, Scozia, Corsica o Paesi Baschi, resta inconcepibile il perché Italia ed Europa non abbiano lavorato, finché era possibile, per riconoscere almeno un’autonomia linguistica al Donbass. Forse sono domande ingenue che hanno come risposta la presa d’atto che viviamo in un ordine mondiale, nel quale è giusto solo quello che conviene e dove il diritto internazionale viene strumentalizzato a proprio piacimento”.

È ancora presto per giudicare l’operato del governo di Giorgia Meloni, oppure a suo parere vi sono già elementi oggettivi per una valutazione?

“Su alcuni aspetti è decisamente precoce dare un serio giudizio sull’operato del nuovo governo. Su altri, si possono intravedere alcuni aspetti di continuità con i governi del recente passato. Sono una persona molto lontana dalle idee di Fratelli d’Italia, ma speravo che grazie al vasto consenso ottenuto dal partito della Meloni si potesse intravedere un discostamento dalle politiche estere ed economiche del passato. Speravo di vedere rivendicato un ruolo dell’Italia sullo scenario mondiale ed europeo e di non vedere come sempre il Paese seguire le indicazioni che arrivano da Washington e Bruxelles. Forse ci sono meccanismi storicizzati che impediscono un reale discostamento da certe politiche, o forse Giorgia Meloni non può rivendicare una piena autonomia su certe tematiche poiché condizionata sul piano interno dagli alleati di governo minoritari come forza elettorale ma determinanti per i numeri e sul piano estero da limitazioni della nostra sovranità nazionale. Un esempio locale piuttosto chiaro di quello che accade nel centrodestra lo hanno dato le recenti elezioni provinciali ad Arezzo, dove una parte degli alleati di Fratelli d’Italia ha dimostrato di non volere accettare i rapporti di forza dati dal voto popolare. In ogni caso, per dare un giudizio completo si deve aspettare almeno un anno di azione governativa, sempre che a un anno ce la facciano arrivare. Chi rappresenta i valori della sinistra in Parlamento fa fatica a fare una opposizione seria, nonostante - politicamente parlando - vi sarebbero praterie dove muoversi con proposte e idee da mettere al centro del dibattito”.

Nel seguire quanto sta accadendo a Sansepolcro, c’è ulteriore amarezza per l’assenza della sinistra in consiglio comunale e magari sente anche sotto questo profilo un minimo di nostalgia della sua terra?

“Mantengo stabili rapporti familiari e di lavoro con Sansepolcro e la Valtiberina e di conseguenza seguo quello che accade attraverso i media e i social. Prima di tutto analizzo la situazione in casa nostra e credo che l’uscita di scena della Sinistra dalle istituzioni cittadine sia stata una catastrofe, frutto prima di tutto di colpe interne al nostro gruppo. Non c’è stata la capacità e la volontà di capitalizzare quello di buono fatto nella precedente esperienza amministrativa e nuove proposte politiche sono state più accattivanti per l’elettorato rispetto alla nostra. Dopo decenni siamo chiamati ad una nuova sfida, quella di fare politica al di fuori delle istituzioni e senza neppure il traino di un partito come riferimento nazionale. Ad un anno e mezzo di distanza dalla nostra uscita dalle istituzioni, siamo ancora attivi e siamo l’unica delle tre liste civiche che sostenevano Cornioli a fare ancora politica mentre gli esponenti delle altre due sono confluiti in altre esperienze elettorali o hanno tirato i remi in barca. “Insieme Possiamo” si è leccata le ferite, ha seriamente riflettuto sul perché del proprio insuccesso ed è pronta a continuare la propria storia facendosi promotrice di ricostruire rapporti politici e di portare avanti iniziative pubbliche come quella recente sui beni comuni. La cosa bella di questa comunità politica è il continuare a lavorare come squadra e non, come accade sempre più spesso, come strumento di costruzione di visibilità politica per un leader. Questo accade anche perché dietro vi sono precisi valori ed ideali politici e non quell’improvvisazione che, di volta in volta, porta a scegliere di portare avanti idee per convenienza. Molti di noi abbracciano inequivocabilmente i valori della sinistra e altri ancora più chiaramente quelli comunisti. Non abbiamo alcun timore a rivendicare oltre cento anni di storia italiana. Per quanto riguarda le attività delle istituzioni locali, c’è da dire che rispetto alla scorsa amministrazione si è abbassata la vivacità politica sia nella maggioranza che nelle minoranze. I consigli comunali sono tra i più noiosi e con scarso dibattito che la mia memoria ricordi. È una dinamica in atto da alcuni anni e probabilmente è anche frutto della diminuzione del numero dei consiglieri comunali e dalla quasi assenza dei partiti. Se presto Sansepolcro scenderà sotto i 15mila abitanti, con la conseguenza del cambio di sistema elettorale, sarà ancora peggio. Oggi, con una macchina comunale efficiente, non è difficile gestire l’ordinaria amministrazione. Manca del tutto la visione di lungo periodo, il sogno di come vorremmo la città del domani che spero non sia un dormitorio o un pensionato dove, purtroppo, ci stiamo indirizzando in base agli allarmanti dati anagrafici”.

Redazione
© Riproduzione riservata
08/02/2023 11:02:37


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