Come mosche che sbattono sui vetri
Se un politico descrive un problema ma non dice come risolverlo non è stimabile
Come mosche che sbattono sui vetri, cerchiamo una via d’uscita continuando a sbattere. Il problema maggiore è proprio che non sappiamo da cosa fuggire, da cosa scappare, ci agitiamo per liberarci da una realtà sociale che ci sentiamo “stretta” e insoddisfacente ma non analizziamo i motivi. Pertanto rimaniamo arrabbiati e delusi, affidandoci ad un “capopopolo” ogni volta diverso, che poi ci deluderà e che abbandoneremo cercandone un altro. Non funziona così, questo significa sbattere sui vetri come le mosche che cercano un’uscita e rimaniamo lì, inerti e flessi come le canne al vento. Ci riflettiamo in quel vetro e diciamo a noi stessi che un tempo eravamo più benestanti, c’erano meno problemi, eravamo più ottimisti; perché oggi è diverso? Eppure lavoriamo come prima, facciamo le stesse cose, non abbiamo cambiato (se non poco o nulla) ma oggi siamo più poveri, tutto è rincarato, il nostro paese è cambiato, ecc. e allora diamo la colpa ai politici che rubano (ed effettivamente non sono proprio dei santi), che sono degli incapaci, che ci hanno reso succubi della UE, della BCE, della Nato, dell’Euro; come se quei politici non li avessimo scelti noi, selezionati sin dalle comunali, in un crescendo di deleghe e speranze che poi verranno deluse e via daccapo. La colpa di quello che accade è solo e sempre nostra, non riusciamo a capire che il mondo cambia più velocemente della nostra comprensione e come ogni momento della storia in cui non comprendiamo i cambiamenti cerchiamo un capro espiatorio per tutti i nostri piccoli o grandi malesseri:
la globalizzazione in 20 anni ha spostato montagne di soldi e investimenti in altre parti del mondo, questo ha alleviato dalla fame 600 milioni di persone ma ha tolto a noi la centralità del mondo (e di questo ne saremmo contenti) ma producendo a minor costo beni a bassa tecnologia rubando le fabbriche a noi;
si, l’Italia è un paese a sovranità limitata, aderire all'Ue, all'euro, alla Nato, comporta una naturale cessione di sovranità: se si hanno molti debiti e si continua ad accumularne, come noi, significa sempre meno sovranità. Chi dice il contrario, fa solo fumo e niente arrosto;
aumentano i costi degli idrocarburi e il pieno (e il riscaldamento) ci costa di più ma non ne produciamo, così come se aumenta il costo dell’ananas o del litio, siamo dipendenti dal mercato, come tutti. Se basiamo la nostra economia sulla produzione dovremmo sapere che siamo dipendenti da coloro che producono le materie prime dell’energia, al massimo possiamo diminuire accise e tasse;
ma vogliamo andare in pensione presto, magari abbiamo genitori che la percepiscono da 30 anni perché grazie al Cielo vivono a lungo, e non comprendiamo che, allungandosi la vita media, sanità e pensioni costano tantissimo e quindi quelle accise, quei costi continui che affrontiamo, non sono eliminabili se non a fronte di altro debito pubblico (che pagheremo noi e soprattutto i nostri figli);
vogliamo ordine e sicurezza ma guai a fare multe, vogliamo ambiente e strade pulite ma “che palle” la raccolta differenziata, vogliamo una scuola che funzioni ma ricorriamo al TAR per una bocciatura o denunciamo un insegnate che “non ha capito la personalità di mio figlio”, in pratica vorremmo vivere in Svizzera ma con la faciloneria del “tengo famiglia”, del “ma che sarà mai”, del “ma proprio a me”. L’Italia, un paese con la testa in Europa e i piedi in Africa. Non riusciamo (e non riusciremo) a capire che è “la somma che fa il totale”, che la sedimentazione dei nostri comportamenti che genera la nostra società.
E allora, magari, rincorriamo con la mente i tempi passati, l’età dell’oro dei nostri tempi migliori, quando il mondo era diverso e c’era ottimismo nel futuro. Magari ripensiamo al fascismo come un periodo dove “sono state fatte anche cose buone” (tutti i paesi occidentali hanno fatto quelle cose buone), oppure ci beiamo di quando l’Italia produceva Michelangelo e Leonardo, divisi e minuscoli stati che le potenze unitarie straniere fecero a pezzi, senza considerare che siamo gli ultimi per lettura di libri, ultimi per analfabetismo funzionale, tra gli ultimi per capacità di analisi e comprensione dei testi. E’ la promozione culturale dei singoli che porta a un progresso vero e solido ma facciamo finta che non ci riguardi. Io sono parte di questo tutto e non sono migliore, non credo che le cose cambieranno e miglioreranno, faccio parte dell’insieme e non me ne lamento. Però tra poco andremo a votare e mi permetto di dare qualche consiglio di principio che do anche a me stesso:
se un politico descrive un problema ma non dice come risolverlo non è stimabile
se un politico dice di investire per migliorare un problema ma non dice dove prendere ragionevolmente i soldi per farlo non è stimabile
se un politico parla di interesse nazionale senza tener conto della legislazione vigente, delle normative, delle convenzioni internazionali, degli obblighi sovranazionali, e dei costi enormi che il venir meno questo comporta, vi sta prendendo in giro, non è stimabile
se un politico promette idee senza spiegare le controindicazioni e i costi sociali ed economici non è stimabile.
La strada per migliorare il paese è lunga e lastricata di cose buone e impopolari, chi propone scorciatoie o facili soluzioni mente sapendo di mentire ma avrà, forse, successo poiché lancerà slogan che permettono a noi di accorciare il nostro pensiero. E continueremo, come mosche, a sbattere contro i vetri in cerca dell’ennesima via d’uscita.
Marco Cestelli
MARCO CESTELLI: Persona molto conosciuta a Sansepolcro, studi economici e commerciali a Milano, manager e imprenditore, scrittore, conferenziere e comunicatore, ha viaggiato in molte parti del mondo, ha sperimentato innovazioni e il valore della cultura. Legatissimo alla sua terra ama l’arte e la storia, la geopolitica e la cultura europea. Sa di non sapere mai abbastanza.
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