Trovate in una remota grotta boliviana le prove di un antichissimo rituale allucinogeni

Si trova nell'affascinante Cueva del Chileno
L'ayahuasca, la liana dei morti, è un infuso a base di piante amazzoniche in grado di indurre un effetto allucinogeno. I suoi «poteri» sono conosciuti dalla notte dei tempi ma mai prima d'ora si erano trovate testimonianze tangibili del suo utilizzo. Per carpirne i segreti, e vedere lì dove quest'intruglio veniva tradizionalmente utilizzato, bisogna andare fino in Bolivia, nell'affascinante Cueva del Chileno, una grotta remota del Lipez Altiplano dove gli archeologi hanno ritrovato i resti di quello che è stato un rito sciamanico di oltre mille anni fa.
Il potente preparato allucinogeno delle civiltà precolombiane si trovava in un fagotto realizzato cucendo insieme il muso di tre volpi, contenente sia le piante che gli strumenti che venivano utilizzati per creare l'infuso e scatenare le allucinazioni. Il tutto conservato in un «luogo sacro», utilizzato per scopi funebri e rituali di vita e di morte da quattromila anni.
«L'estrema aridità della regione, oltre al fatto che questi resti sono stati recuperati seppelliti sotto terra, è stata fondamentale per la conservazione di questi resti», ha affermato l'archeologo José Capriles della Pennsylvania State University. «Nella maggior parte dei casi, la pelle, i tessuti, il legno e altri materiali vegetali tendono a degradarsi abbastanza velocemente, ma l'estrema aridità e la sepoltura hanno contribuito alla loro conservazione». A contribuire, poi, è anche sicuramente la «posizione» di questa grotta, rimasta per millenni indisturbata dalla moderna civiltà.
Il kit sciamanico potrebbe risalire fra il 550 e il 950 dopo Cristo, quando la civiltà pre-Inca Tiwanaku viveva proprio in questi altipiani andini, dove sono state rinvenute anche tavolette di legno intagliato, capelli umani e lame di osso. Il team di ricerca, in collaborazione con l'Universidad Mayor de San Andrés in Bolivia e l'University of California, ha rinvenuto nella sacca almeno cinque piante psicoattive, «non velenose ma che, a seconda di come vengono consumate, possono essere piuttosto potenti e tossiche».
Questa è ora la più antica prova archeologica del consumo di queste bevande. E anche se non c'è modo di capire come gli sciamani e i guaritori le preparavano in antichità, rimane tutto il fascino di questa grotta, dove il kit è stato riposto intenzionalmente, non abbandonato o perso, indicando quindi l'importanza della stessa come luogo di confine e teatro rituale altamente simbolico.
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