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Altro che “vicini di casa”: gli alieni potrebbero abitare ai confini della galassia

Una civiltà aliena avrebbe milioni di anni di vantaggio su di noi

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Se davvero non siamo soli nell’Universo, allora la verità è molto meno romantica di quanto la fantascienza ci abbia fatto credere. Dimenticate incontri dietro l’angolo, astronavi parcheggiate sulla Luna o segnali in arrivo dal sistema stellare più vicino: i nostri potenziali “vicini” potrebbero trovarsi a 33.000 anni luce di distanza, dall’altro lato della Via Lattea. Non solo: secondo gli scienziati, avrebbero alle spalle centinaia di migliaia di anni di storia tecnologica in più rispetto a noi, un abisso temporale che renderebbe impossibile qualsiasi dialogo paritario. La conclusione arriva da uno studio presentato all’Europlanet Science Congress – Division for Planetary Sciences 2025, dove i ricercatori hanno tentato di rispondere a una domanda che l’umanità si pone da sempre: quanto è probabile che esistano altre civiltà intelligenti nella nostra galassia nello stesso momento storico? La risposta, per chi sogna un incontro ravvicinato, non è incoraggiante.

La formula della vita: atmosfera, placche e ossigeno

Gli studiosi hanno iniziato dal problema fondamentale: quali condizioni deve avere un pianeta per ospitare la vita complessa? La risposta ruota attorno a tre elementi chiave: composizione atmosferica, tettonica a placche ed equilibrio tra ossigeno e CO₂. La Terra offre un esempio perfetto di questo equilibrio: il 78% della sua atmosfera è azoto, il 21% ossigeno e appena lo 0,042% anidride carbonica. Troppa CO₂ renderebbe l’aria tossica, troppo poca impedirebbe alle piante di fare fotosintesi. Le placche tettoniche, inoltre, non sono un dettaglio: funzionano come un gigantesco sistema di riciclo che mantiene stabile la quantità di carbonio in atmosfera. Senza di esse, il ciclo vitale del pianeta si bloccherebbe, con conseguenze devastanti.

Nonostante questa armonia, la Terra non è immortale. Gli studiosi calcolano che la fotosintesi smetterà di funzionare tra 200 milioni e un miliardo di anni. Su altri pianeti, con più anidride carbonica in atmosfera, la vita potrebbe durare fino a 4 miliardi di anni in più. Ma la longevità non basta: per far emergere una civiltà tecnologica serve un altro requisito, un minimo del 18% di ossigeno, necessario per animali complessi e per l’uso del fuoco. Senza fuoco non c’è metallurgia, e senza metalli non esistono satelliti, computer o radiotelescopi.

Homo sapiens: un caso più unico che raro

Lo studio ha poi incrociato i dati sulla durata media di una biosfera con i tempi richiesti all’evoluzione di esseri intelligenti. Sul nostro pianeta, sono serviti 4,5 miliardi di anni per arrivare a Homo sapiens. Questo significa che una civiltà tecnologica ha bisogno di tempi enormi per svilupparsi, e altrettanto lunghi per sopravvivere. Gli autori hanno stimato che, per far sì che due civiltà coesistano nello stesso momento, almeno una dovrebbe durare non meno di 280.000 anni. E se volessimo immaginare la presenza di dieci civiltà attive contemporaneamente, la loro durata media dovrebbe superare i 10 milioni di anni.

Il paragone è sconfortante: la nostra civiltà tecnologica, dall’invenzione della scrittura all’era digitale, ha appena qualche migliaio di anni di vita. Una frazione infinitesimale, che rende estremamente improbabile che stiamo condividendo il nostro tempo cosmico con qualcun altro. Per questo motivo, se mai dovessimo captare un segnale alieno, quasi certamente proverrebbe da una civiltà molto più antica e avanzata della nostra.

La distanza cosmica: 33.000 anni luce di solitudine

Lo scenario che emerge è tutto fuorché incoraggiante per chi spera in un contatto imminente. La stima più ottimistica colloca la civiltà tecnologica più vicina a circa 33.000 anni luce da noi, un abisso che nessuna delle nostre tecnologie attuali può nemmeno lontanamente superare. Significa che, anche nel caso improbabile in cui intercettassimo un segnale, ci arriverebbe da un passato remoto. In pratica, ascolteremmo voci di civiltà che potrebbero già non esistere più, o che nel frattempo si sono evolute in forme per noi incomprensibili.

Nonostante questo quadro scoraggiante, i programmi di ricerca come il SETI non hanno alcuna intenzione di fermarsi. Gli autori della ricerca sottolineano che anche un risultato negativo è prezioso, perché conferma quanto sia rara e fragile la vita intelligente. Eppure, il fascino resta: se un giorno arrivasse un segnale, sarebbe l’evento più rivoluzionario della storia dell’umanità, la prova definitiva che non siamo soli.

SETI e la speranza che non muore

Ogni notte potenti radiotelescopi scrutano il cielo in cerca di un impulso, di una frequenza insolita, di una sequenza che non appartenga al rumore cosmico. La ricerca continua, nonostante gli scettici, perché l’idea di non essere soli resta troppo potente per essere archiviata. “Anche un silenzio assoluto ha valore scientifico”, ricordano gli studiosi. Ma un solo segnale, una trasmissione lontana, cambierebbe per sempre il nostro modo di vedere noi stessi. Significherebbe che il nostro pianeta non è un’eccezione irripetibile, ma parte di un mosaico più grande.

Notizia e foto tratte da tiscali.it
© Riproduzione riservata
17/09/2025 17:46:42


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