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Intervista esclusiva al cantante aretino "Il Cile" all'anagrafe Lorenzo Cilembrini

Da “cemento armato” al singolo “ero troppo fatto”: dal successo al dramma dell’alcol

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Vive a Milano per motivi professionali, seppure sia un aretino doc. Lorenzo Cilembrini all’anagrafe, “Il Cile” per tutti. È facile intuire il perché di questo pseudonimo che di fatto richiama al suo cognome. È una storia tutta da raccontare, quella che riguarda questo ragazzo robusto, ma dal cuore d’oro: tanta musica alle spalle, seppure negli ultimi mesi sia tornato agli onori della cronaca denunciando pubblicamente le proprie dipendenze con l’alcol. Ma “Il Cile” non è solo questo. È molto di più. È cresciuto ad Arezzo, dove da adolescente impara a suonare la chitarra e comporre le prime canzoni. L’esordio nei palcoscenici che contano è datato 2003 con un gruppo musicale, nonostante l’esperienza si chiuda rapidamente dopo aver vinto il Festival di San Marino. Tre anni più tardi decide di intraprendere la carriera di cantante solista, proprio con lo pseudonimo “Il Cile”. Debutta nel 2012 con l’etichetta discografica Universal pubblicando il singolo “Cemento armato”, ma nel frattempo collabora anche con i Negrita – altra band aretina – co-firmando alcuni brani dell’album. Seguiranno altri singoli prima di arrivare al 28 agosto 2012, quando Lorenzo pubblicherà il primo album in studio che prende il nome di “Siamo morti a vent’anni”, sempre con il supporto dell’Universal. Nel febbraio del 2013 partecipa al Festival di Sanremo nella categoria “Giovani” con il brano “Le parole non servono più”: viene eliminato, ma nonostante ciò si aggiudica il Premio Assomusica 2013 e quello dedicato a Sergio Bardotti. Nel 2014 ha collaborato con il rapper J-Ax alla realizzazione del brano “Maria Salvador” poi nel 2017 – esattamente il 16 giugno – ha pubblicato il singolo “Era bellissimo”, primo estratto del suo terzo album uscito nel mese di settembre. Nel 2020 arriva anche una nuova collaborazione con J-Ax per quello che riguarda il brano “Fiesta!”, dopodiché si apre un periodo alquanto nebuloso, nel quale scompare un po’ dalla scena, ma che lui stesso ha raccontato solamente pochi mesi fa ai propri fan nei social. Il problema con l’alcolismo. Ma ora sta per arrivare anche la risalita, l’uscita da quel tunnel attraverso il nuovo singolo “Ero troppo fatto”, in cui Lorenzo racconta il proprio dramma.

IL “BEVERONE GIGANTE”, LA RICADUTA E L’APPELLO AI RAGAZZI: “Non abbiate paura di chiedere aiuto”

“La prima volta che bevvi avevo quindici anni, mi ricordo bene: notte di Ferragosto sulla spiaggia del mare Adriatico di Torrette di Fano e mezzo litro di “limoncé” caldo che vomitai dopo pochi minuti; il giorno dopo promisi a me stesso che non avrei più bevuto. Non è andata esattamente così. Io credo che il motivo primario del mio alcolismo sia la timidezza mista all’insicurezza: ho sempre usato gli alcolici per abbattere quella barriera di incapacità comunicativa e terrore del giudizio altrui che mi porto dentro dall’adolescenza. In più sono un alcolista atipico: sono un “Binger”. Posso stare settimane senza bere, ma quando bevo posso andare avanti anche due giorni e continuativamente. Due anni fa, in estate, ero a Garda con la mia ragazza. Poi a Gardaland, da quanto avevamo bevuto, ci addormentammo durante le torri gemelle (vi giuro, è vero!) e, tornati in hotel, continuammo mentre lei sì limitò; dopo cena finimmo in un bar dove il proprietario mi propose la sfida di bere un beverone gigante con praticamente una bottiglia di Jagermeister dentro”. E prosegue. “Ricordo di essermi risvegliato in ospedale, mentre tentavo di strapparmi il catetere e con la dottoressa che intimava la mia fidanzata di bloccarmi, se avesse voluto ancora avere una vita sessuale con me. Il referto fu: “pancreatite acuta”; uscito di lì, ressi tre mesi all’incirca da sobrio, poi ricominciai a bere quando e come volevo. Per due anni interi, con i soliti casini che ne conseguono professionalmente, nella sfera umana, in quella dei sentimenti e in quella della pace interiore. Nella vita, in tutte le sue sfaccettature, insomma. Sabato 31 agosto 2023 mi è stato detto che, se non voglio morire e sebbene le mie canzoni spesso non ispirino euforia vorrei ancora scriverne un po’, non dovrò più toccare alcool a vita. Ed anche se può sembrare stupido è surreale: quando il dottore mi spiegava tecnicamente di pancreas e cronicità, usando tutti termini che mi rimandavano al mondo ospedaliero, io mi sentivo liberato da un peso enorme. Perché scrivo queste cose? Perché vorrei spiegare ai ragazzi che ogni sostanza va immaginata come un elastico che fai allungare con il pollice e il polpastrello delle tue mani: puoi tirarlo tanto, anche tutta la vita, ma potrebbe succedere che un pollice ed un polpastrello cedano e, più l’avrai tirato, più dolore sentirai nell’altra mano. Non abbiate paura di chiedere aiuto se vi sentite schiavi di qualunque sostanza, siamo umani e finché non siamo sottoterra abbiamo diritto a stare il meglio possibile”.

·        Chi è Lorenzo Cilembrini e come nasce la passione per la musica?

“Un non più ragazzo che ha sempre avuto la passione per la scrittura e l’amore per le chitarre. Un giorno, per varie vicissitudini, ha iniziato a scrivere in proprio, passo dopo passo è poi arrivato a lavorare con un produttore che si è rivelato essere quello dei Negrita, altra band aretina. È stata un po’ la spinta del produttore stesso a farmi diventare cantante, seppure non abbia una voce così sviluppata e raffinata, anche per velocizzare quelli che erano i provini”.

·        Cosa raccontano i testi delle tue canzoni?

“Voglio precisare che i miei testi sono sempre stati autobiografici, guardando il passato forse anche troppo con tutti quelli che potevano essere i tormenti adolescenziali. All’epoca mi ispiravo un po’ a Fabrizio De André come cantautore. Il mio obiettivo è quello di maneggiare le parole, non tanto scrivere le canzoni che poi vengono da sole. Ho sempre scritto in prosa, questo fin dagli anni degli studi. Nei nuovi testi c’è però una maggiore ironia attorno a quello che considero il mio mondo che cambia velocemente”.

·        Nel febbraio del 2013 hai partecipato al Festival di Sanremo nella categoria ‘Giovani’ con il brano ‘Le parole non servono più’: ci racconti questa esperienza e il significato della canzone?

“È stata un’esperienza come quella che può capitare a tutti gli esordienti in questo mondo. Io sono stato, però, un po’ atipico, poiché sono finito prima in radio che al Festival dei Giovani a Sanremo. Mi trovai lì allora 30enne, in quella che era una competizione vera e propria. Capii velocemente la situazione, seppure in quel contesto percepisci la tensione e anche la paura: il palco del Teatro Ariston ti mette davanti ad un bivio che può innalzarti o distruggerti. Per me la vittoria del premio Bardotti è stata molto importante, poiché nasco più come autore che cantautore. Il brano tratta le tematiche post adolescenziali, quelli che sono i tormenti della vita; tra l’altro un brano che era rimasto fuori dal mio primo disco”.

·        Dopo l’esperienza sanremese, quale è stato il percorso di Lorenzo?

“Ad oggi posso dire di avere tre dischi all’attivo e molte esperienze autorali come quelle con i Negrita e i Club Dogo, oppure J-Ax con Maria Salvador. Prima della pandemia è stato un percorso autorale, ci sono state varie vicissitudini ma anche mancanze mie gestionali fino ad arrivare alla scorsa estate. Tengo a sottolineare che tutto quello che è stato il mio percorso o il mio lavoro, il primo a decidere nel bene o nel male sono sempre io”.

·        Ah, ma da dove nasce ‘Il Cile’?

“Questa è facile! Essendo aretino e mi chiamo Cilembrini di cognome, non è altro che un abbreviativo. Mi hanno sempre chiamato così fin da quando andavo a scuola”.

·        Cosa ti è mancato alla fine per avere una carriera da star?

“Non lo so e tutto dipende cosa si intende per star. Credo che tutti non possono essere Vasco Rossi o Ligabue, ma posso dire comunque di aver fatto 4 volte San Siro a Milano e ci sono persone che non ci sono neppure mai andate. Oggi non vivo più quell’ansia di una volta, sono tranquillo e cosciente di essere arrivato a questo punto con le mie gambe”.

·        Oggi abiti a Milano, che legame hai però con Arezzo?

“Arezzo è la città in cui sono nato e posso dire di avere tutti i segni della toscanità: nel mio modo di vedere le cose, nel temperamento e nei comportamenti. Ho girato il mondo, studiato a Bologna e sono quindi andato via dalla Toscana ma vi posso assicurare che la Toscana non andrà mai via da me. La mia ragazza, per esempio, è toscana: cerchi la ribalta nei grandi palcoscenici, ma alla fine hai sempre voglia di tornare nella piccola realtà dove sei cresciuto”. 

·        Poi l’uscita di ‘Ero troppo fatto’: c’è un significato in questo singolo?

“Si! È la canzone che parla di speranza e di un amico che ho visto crescere ma che purtroppo se n’è andato troppo presto. L’ho tenuto un po’ in sospeso, anche perché era un periodo in cui dovevo tirare le somme dei miei disastri personali, un rapporto autodistruttivo con la vita. Ma arrivai al punto di chiuderlo e pubblicarlo”.

·        Quale appello vuoi lanciare ai giovani?

“Non sono certamente la persona più indicata, ma ci provo lo stesso. In primis dico a tutti di far meno male possibile alle persone che si amano, poiché sono quelle più preziose sia nella vita privata che lavorativa. La sincerità paga sempre e quindi dico questo ai giovani, ma non solo, per far sì che non commettano i miei stessi errori”.

·        Cosa c’è nel futuro de “Il Cile”?

“Sto lavorando su un nuovo disco, seppure più avanti ci saranno specifiche maggiori. Stiamo andando bene sul web ed in questo momento abbiamo deciso di bypassare le radio: solo streaming. Insieme alla mia etichetta, abbiamo deciso di seguire questo binario”.

Davide Gambacci

Redazione
© Riproduzione riservata
08/01/2024 08:50:32


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