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Genova, il superboss Bonavota si travestiva da prete

Pizzini in chiesa e il giallo dell’amico sacerdote

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Due fotografie in cui il boss viene immortalato vestito da prete in compagnia di un sacerdote e una dedica a firma “Don Leonardo”. E ancora: un pizzino per cui viene utilizzato un foglio di preghiera con intestazione “Parrocchia di San Donato” in cui figurano una serie di compiti da fare e persone da incontrare.

Dall’abitazione a Sampierdarena della moglie di Pasquale Bonavota - il capo della ‘ndrangheta di 49 anni arrestato lo scorso 27 aprile a Genova mentre pregava all’interno della cattedrale di San Lorenzo e considerato uno dei latitanti più pericolosi in Italia dopo la cattura di Matteo Messina Denaro - spunta materiale che gli stessi carabinieri definiscono molto interessante sul piano investigativo. E che potrebbe fare luce su come il numero 1 delle cosche calabresi abbia trascorso i quattro anni a Genova, città in cui ha vissuto come latitante dal 2019.

L’elenco di tutto il materiale sequestrato nell’abitazione del boss, nel suo marsupio e in casa della moglie è stato depositato dai carabinieri del nucleo investigativo di Genova e del Ros nel processo Rinascita Scott in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme in Calabria. E in cui Bonavota è uno dei principali imputati. Ovviamente i militari, diretti dal colonnello Michele Lastella e dal maggiore Francesco Filippo, stanno indagando a trecentosessanta gradi per ricostruire la rete che ha aiutato Bonavota in questi quattro anni di latitanza genovese. E naturalmente nel mirino dell’inchiesta non potevano non finire quelle fotografie che ritraggono il boss vestito da prete e in compagnia di un altro sacerdote. Gli inquirenti stanno cercando di dare un volto ed un nome a questo religioso che ha posato con Bonavota e molto probabilmente gli ha fornito l’abito talare.

L’ipotesi più probabile è che quelle foto siano state scattate a Genova e si sta cercando di localizzare proprio la zona della città. Le indagini partono proprio da quella firma (“Don Leonardo”) che potrebbe permettere di arrivare alla svolta nell’inchiesta. Se sarà identificato il sacerdote dovrà rispondere a molte domande da parte degli inquirenti. E in modo particolare spiegare perché ha posato con un latitante di ‘ndrangheta che ha pure indossato davanti a lui gli abiti da prelato. Potrebbe essere stato un convento o una parrocchia di Genova il rifugio segreto di Bonavota? Oppure si è trattato di uno scatto goliardico o della prova di un travestimento per sviare le indagini? Sono queste le domande a cui i carabinieri stanno cercando di rispondere in queste settimane di indagine.

Ma nella documentazione trovata dal boss c’è un altro documento che per gli inquirenti riveste una certa importanza. Si tratta di un foglio di preghiera preso dalla parrocchia di San Donato nel centro storico e trasformato in una sorta di “pizzino” dove Bonavota aveva annotato nominativi e cose da fare. Per gli inquirenti è l’ennesima prova di come il boss delle cosche calabresi frequentasse assiduamente le chiese di Genova e fosse una persona molto devota.

Il Secolo XIX ha contattato il parroco di San Donato, don Carlo Parodi, che però nega di conoscere Bonavota: «Non so chi sia e non so se frequentasse la nostra parrocchia - spiega - posso dire che i fogli che gli hanno trovato i carabinieri sono quelli che mettiamo solitamente in fondo alla chiesa a disposizione dei fedeli. È un’intenzione di preghiera in cui si possano aggiungere pensieri o considerazioni personali. Molto probabilmente deve essere entrato e se li è presi». Bonavota, che si trova nel carcere di Marassi, due giorni fa si è collegato in videoconferenza con l’aula bunker di Lamezia Terme dove è in corso il processo. Ha rilasciato dichiarazioni spontanee, ma che ribadiscono anche la sua innocenza. «Sono dovuto diventare latitante - spiega il boss - perché sono stato coinvolto in una vicenda che non mi appartiene. Sono stati anni difficili quelli che ho vissuto a Genova. Ci sono stati giorni in cui ho addirittura pensato al suicidio. Ma mi ha salvato la fede in Dio e in Gesù Cristo». Bonavota ha aggiunto di «aver fatto anche il barbone a Genova».

Insieme a documenti religiosi e alle fotografie i carabinieri hanno rinvenuto nella disponibilità del boss un piccolo tesoro in contanti, circa trentamila euro, una pen drive, un hard-disk, uno smartphone di ultima generazione, tre telefoni cellulari, quaranta immaginette sacre, una drink card di una discoteca di Genova e alcuni pizzini con nominativi di altri affiliati, ma anche di società. Tra questi ci sarebbe anche Onofrio Garcea, affiliato e parente dei Bonavota.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
28/05/2023 06:23:47


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