È morto Aldo Madia, l’uomo che catturò il capo delle Brigate Rosse Mario Moretti

Il suo nome non comparve mai da nessuna parte per questioni di sicurezza e opportunità
Il suo nome non compare da nessuna parte, e quindi è inutile compulsare Internet. Ma ora che è scomparso, gli amici lo possono raccontare: è morto Aldo Madia, ex dirigente della Digos di Milano, che nel 1981 catturò il capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti. Una carriera importante in polizia e poi nei servizi segreti, vissuta nell’ombra, per carattere dell’uomo e per ragioni di sicurezza. All’epoca non si scherzava con il terrorismo. E quindi il merito di quell’arresto fu riconosciuto genericamente agli uffici, senza fare nomi e cognomi.
«La Digos di Milano - annunciò la questura - dopo lunghi accertamenti e servizi tecnici, nel pomeriggio odierno (era il 4 aprile 1981, ndr) ha tratto in arresto il noto terrorista latitante Mario Moretti. Costui circolava armato e con false generalità. Ha ammesso la propria identità e si è dichiarato prigioniero politico. Sono in corso ulteriori indagini». Moretti in seguito riconobbe che non gli era stato torto un capello. Nemmeno gli misero le manette, per non dare nell’occhio. Dopo averlo disarmato, con la sua cintura dei pantaloni fu legato alla meglio e subito infilato in una macchina civetta della polizia.
A darne notizia era stato l’allora ministro dell’Interno, Virginio Rognoni. «È la più bella giornata da quando sono ministro». Cu fu il massimo silenzio sulla dinamica, invece. Si disse soltanto che assieme a Moretti era stato arrestato il brigatista Enrico Fenzi. L’indomani, l’agenzia Ansa precisava che l’arresto era avvenuto nei pressi della Stazione centrale di Milano, in via Cavalcanti. Secondo la versione ufficiale, in un piccolo appartamento di via Cavalcanti «Moretti - come scriveva appunto l’Ansa - aveva posto la prima base della nuova “colonna” brigatista che aveva in programma di creare a Milano, in contrapposizione con la “colonna Walter Alasia”, entrata in contrasto con la Direzione strategica. La segnalazione che Moretti, sia pure continuando a spostarsi per varie città italiane come aveva sempre fatto in questi ultimi anni, attualmente si recava soprattutto a Milano per presiedere alla costituzione della nuova “colonna” era stata appresa da fonte confidenziale dell’Ucigos a Roma».
In verità si scoprì poi che c’era stata una soffiata molto precisa e c’era anche un infiltrato. I fatti emersero in un processo che riguardava l' ex-capo della Squadra Mobile di Pavia, Ettore Filippi, imputato di favoreggiamento, falso e truffa per aver protetto l’infiltrato, tal Renato Longo. Filippi, per difendersi, esibì un appunto riservato che aveva inviato al capo dell’Ucigos al termine di un incontro che si era tenuto a Pavia, fra Filippi stesso, un funzionario dell’Ucigos e Longo. In quell’occasione l'infiltrato, che aveva bruciato presto i sessanta milioni ricevuti dalla polizia dopo la cattura di Moretti e Fenzi, chiedeva altri soldi «per non esser costretto a fare rapine». Anche Longo è morto, dieci giorni fa, ad Asti. E così, nel giro di pochi giorni, sono scomparsi con i loro segreti due protagonisti di quel clamoroso arresto che decapitò le Br e segnò l’inizio della parabola discendente del terrorismo rosso.
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