Opinionisti Fausto Braganti

11 giugno la battaglia di Campaldino

Ma come sarà stato quello scontro frontale fra gli aretini e i fiorentini?

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In una intervista qualcuno chiese allo storico prof. Alessandro Barbero perché a parte il suo interesse nella storia medievale lo fosse anche nella storia delle battaglie, lui rispose:

“Penso che la risposta sia semplice, da ragazzo giocavo coi soldatini.”

La mia risposta è la stessa; nelle epiche battaglie, che si sviluppavano sopra la lunga tavola da pranzo nel vecchio appartamento; i miei eroi vincevano sempre. Come si arrabbiò la mi’ mamma quel giorno che decisi di far esplodere piccole cariche di polvere nere.

Inoltre, allora come adesso, ho sempre immaginato come le cose erano davvero andate, ovvero avrei voluto essere presente a grandi eventi storici, almeno come testimone se non come protagonista. Ma come sarà stato sbarcare a Marsala con i Mille?  E l’attacco alla Bastille?

A proposito di battaglie ho sempre sentito parlare di Campaldino, in Casentino sotto il castello di Poppi, a scuola ed anche nelle “Novelle della Nonna” della Parodi.

L’11 giugno del 1989, sabato di San Barnaba, ci fu la commemorazione nel 7centesimo anniversario della battaglia e Paolo Salvi mi mise da parte un bel libro e dei cavalieri di piombo, che poi nei vari traslochi sono andati perduti.

Se ho tempo mi piace fare la Consuma per andare o tornare da Firenze, un’ottima panoramica alternativa all’autostrada. Ogni volta che passo per Campaldino cerco di immaginare, ma come sarà stato quello scontro frontale fra gli aretini e i fiorentini? Io sarei stato coi Ghibellini, mi sembra naturale essere a fianco ai Montedoglio e ai Montauto. Mi sarei ritrovarsi davanti a Dante guelfo, feditore a cavallo con un gran spadone a due mani, e di certo non sarebbe stata una situazione invidiabile.

Ma parliamo di Aimeric IV, Amalric in occitano, giovane rampollo d’una vecchia famiglia visigota di Narbonne, che a Firenze era diventato Amerigo di Narbona. Era stato proprio lui il condottiero mercenario che aveva guidato i guelfi fiorentini alla vittoria sconfiggendo i ghibellini aretini in quella piana di Campaldino.

Il suo ritorno a Firenze con le truppe vittoriose fu trionfale. I fiorentini per dimostrare la loro gratitudine cominciarono la tradizione di chiamare Amerigo i loro figli. La tradizione è continuata fino ai nostri tempi, ho conosciuto due Amerigo a Sansepolcro.

Quando Nastagio Vespucci, notaio a Firenze, scelse il nome Amerigo per suo figlio nato nel 1454 per onorare qull’Aimeric de Narbonne, quasi duecento anni dopo quella vittoria a Campaldino, non poteva minimamente immaginare le conseguenze di quella scelta, ovvero involontariamente battezzare un continente che non sapeva esistesse.  

Il vero creatore fu nel 1507 il cartografo tedesco Waldseemüller, creatore d’una monumentale Universalis Cosmographia. I questa gran mappa del mondo allora conosciuto decise di identificare la parte sud del continente, quella che oggi conosciamo come Argentina, con il nome America, questo in onore al navigatore Amerigo Vespucci, fiorentino. Era stato lui quello che per primo si era avventurato lungo quelle remote coste. Poi il nome divenne sinonimo di tutto il continente. 

Era già successo coi l’Africa che per i Romani era solo la parte che conosciamo come Algeria, Tunisia e Libia. Ed anche l’Asia un tempo era solo quello che noi oggi chiamiamo Turchia.

E se a Campaldino il condottiero vincitore fosse stato Vieri (de’ Cerchi), o Bindo (degli Adimari), o Corso (Donati), o Durante (Alighieri). Che continente avremmo oggi?

Ma nella storia non ci sono “se”, e così concludo.

 

PS: Dubito molte che Trump, con il suo MAGA (make America great again) sappia questa storia, certo da classificare come fake news. 

Redazione
© Riproduzione riservata
11/06/2020 10:02:21

Fausto Braganti

Fausto Braganti - Pensionato, attualmente residente nelle Corbieres (sud est della Francia, vicino a Perpignan). Nato e cresciuto a Sansepolcro. Dopo il liceo ha frequentato l’Università di Firenze, laureandosi in Scienze Politiche al Cesare Alfieri. Si è trasferito a Londra nel 1968, dove ha insegnato italiano all’Italian Center per poi andare a Boston negli Stati Uniti, dove ha lavorato per Alitalia per 27 anni con varie mansioni e in diverse città, sempre nel settore commerciale. Dopo Alitalia è rimasto nel campo turistico per altri 15 anni per promuovere l’Italia agli americani. Ha pubblicato un libro di memorie, “M’Arcordo…” sulla vita a Sansepolcro nel dopo guerra, ottenendo un discreto successo. Ama la Storia: studiarla, raccontarla e scriverla.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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