Aldo Martini, il macellaio galantuomo con le battute di spirito sempre pronte

Ha svolto la sua professione a Sansepolcro con un forte senso etico
Nel battere la notizia della sua scomparsa in quella serata di oltre cinque anni fa, venni assalito da una sensazione particolare. Avevo infatti inserito Aldo Martini fra le figure di riferimento cittadine: questo uomo dalla stazza possente e dal volto colorito, che vendeva carni e insaccati nella stupenda macelleria di Sansepolcro ubicata a due passi da piazza Torre di Berta, era infatti anche il prototipo della salute e dello star bene. Era cioè l’immagine rassicurante della sua attività, quasi come se volesse dirti: “Se mangi la mia carne non sbagli; anzi, starai proprio bene”. E alle capacità professionali aggiungeva anche la straordinaria carica di simpatia con la quale si approcciava con il cliente, per cui l’associazione di idee ti portava ad abbinare in automatico la carne ad Aldo Martini, creando un binomio inscindibile. Nel momento in cui Aldo non c’era più, anche il solido riferimento si era perso: era come se all’improvviso uno dei pilastri di una costruzione avesse cominciato a cedere. Nella vita, esiste per ognuno di noi un inizio e una fine: lo sappiamo benissimo, ma stentiamo ad accettarlo. E quella sera, dovevamo per forza accettare che Aldo Martini, il macellaio conosciuto anche per la sua squisita porchetta, non c’era più. Né ci avrebbe più riservato le battute di spirito e il pezzettino di carne prelibata che ti consigliava di assaggiare. La tradizione viene portata avanti dai figli ed è il maggiore dei due, Ivano, a raccontarci il padre e la storia di una persona appassionata del suo mestiere, che “viveva” - prima ancora di svolgere – la professione del macellaio con un profondo senso etico. Quello che i biturgensi, non soltanto i suoi clienti, gli hanno sempre riconosciuto.
NATO E VISSUTO AL TREBBIO NELLA CASA DI RAFFAELLINO DEL COLLE
Innanzitutto, la casa in cui Aldo Martini era nato il 27 settembre 1935: la stessa di Raffaellino del Colle. Sì, proprio quella posizionata nella curva che precede il sottopasso della E45 prima di arrivare alla frazione Trebbio. “Semmai – dice Ivano Martini, il figlio – la disputa riguarda proprio Raffaellino: secondo la tesi di alcuni vi è nato; secondo quella di altri, no. Una cosa è certa: mio padre vi è nato. Non solo: in quella casa colonica, che ha per indirizzo “frazione Trebbio 129”, le generazioni della famiglia Martini vi hanno vissuto per ben 104 anni, dal 1867 al 1971. Il babbo era originario del Trebbio, come il nonno Settimio (nato nel 1894) e come il bisnonno Giovan Battista, cioè colui che vi aveva abitato per primo nel 1867. E io – ricorda Ivano Martini – sono l’ultimo nato in quella casa, nel 1962. Attenzione, però: eravamo i contadini, ma non i proprietari dell’immobile. Per meglio delineare il quadro della situazione, mio nonno aveva tre fratelli e a un certo punto i componenti delle famiglie Martini che abitavano lì erano arrivati in totale a 21. Il podere cominciò a rivelarsi troppo piccolo per tutti e tre i fratelli e allora due di essi, Luigi e Giovan Battista, se ne andarono. Rimase soltanto il nonno Settimio con la moglie Francesca e con i tre figli: Francesco, Annunziata e appunto mio padre Aldo, che era il più giovane e che fino a 35 anni ha lavorato come contadino.
DA CONTADINO A MACELLAIO A CAUSA DELLA… E45
E allora, perché questo cambio da contadino a macellaio, che – così raccontato – sembra essere stato il frutto di una decisione repentina? “La svolta è stata la costruzione della E45, che allora si chiamava E7, all’inizio degli anni ’70. Il terrapieno sul quale è stata innalzata la superstrada ci avrebbe spezzato il podere. Lavorare giornalmente su campi che sarebbero stati di fatto smezzati avrebbe creato problemi notevoli e allora decidemmo di abbandonare la campagna per trasferirci in città e andare a vivere nella casa di via Federico Nomi (siamo nella zona del Sacro Cuore n.d.a.), dove tuttora risiediamo da quasi 50 anni. Io abito di sotto e mia madre al piano di sopra. Voglio ricordare però che la macelleria di via XX Settembre, nel locale in cui si trova da sempre, esisteva già prima che il babbo vi entrasse: l’aveva avviata nel 1952 un suo cugino, Guido Martini, anche lui nato nella casa del Trebbio. Tutt’oggi – apro una breve parentesi – fra noi parenti esiste un rapporto eccezionale: siamo cugini e biscugini, ma ci trattiamo come fratelli”. Da ragazzo, suo padre aveva studiato? “Aveva frequentato solo le scuole elementari, prendendo il diploma di quinta, ma sapeva scrivere e leggere bene, tanto che nell’anno e mezzo di durata del servizio militare – che ha svolto prima ad Albenga e poi in Friuli – lui risultava persino fra i più istruiti. Eravamo a metà degli anni ’50 e la scuola non era prerogativa di tutti: nonostante la licenza elementare, lui finì in fureria e la curiosità è legata al fatto che veniva chiamato dai soldati che non sapevano né leggere né scrivere. Per meglio dire, leggeva al diretto interessato il contenuto della lettera che gli avevano scritto i familiari o la fidanzata e poi, su preciso suggerimento che gli veniva dato, scriveva la risposta o comunque era disponibile ogni qualvolta uno dei commilitoni volesse inviare in calce notizie alle persone più care”. Una volta concluso il servizio di leva, Aldo Martini torna a lavorare sui campi del Trebbio; nel frattempo, si fidanza e arriva al matrimonio con Ersilia Del Bene, una ragazza di Lama (oggi Selci Lama) conosciuta inevitabilmente nel corso di una serata danzante. “Da giovane, il babbo era intanto più magro, ma soprattutto brillante nel ballo. E questa era una dote importante per chi volesse attirare una ragazza”. Ivano Martini mostra a corredo la foto in bianco e nero che li ritrae insieme da giovani: “Non perché sono i miei genitori, ma riconosco che erano in effetti una bella coppia”, commenta. Poi racconta un evento particolare che coincise con la data del matrimonio: “Si sono sposati nella chiesa del convento dei frati Cappuccini di Sansepolcro il 15 febbraio 1961, ossia il giorno della più importante eclissi solare del secolo scorso. L’unica eclissi totale visibile in Italia. Era un mercoledì e mi hanno raccontato che le galline se ne tornarono nel pollaio”. Oltre a Ivano, classe 1962, Aldo ed Ersilia hanno avuto un altro figlio, Marcello, nato nel 1973, quando la famiglia abitava già nel centro urbano di Sansepolcro. Proprio Ivano e Marcello stanno portando avanti l’attività di macelleria, dove fino a poco tempo fa c’era anche la madre, ora intenta a godersi il meritato riposo. Una classica azienda a conduzione familiare, insomma. Ma torniamo all’anno del passaggio da contadino a macellaio. “Diciamo che non era un novello al 100% - precisa il figlio Ivano – perché già da tempo si recava a spezzare il maiale dai contadini del vicinato ed era diventato esperto in questo particolare tipo di lavorazione. Il cugino Guido e la moglie, che chiamavano “Cecca”, gli chiesero se volesse dargli una mano a fare il macellaio, perché loro due non avrebbero proseguito l’attività. Così, nel 1970 mio padre apprese il mestiere e l’anno successivo, assieme a mia madre, è entrato in società con il cugino. Sono stati soci fino al 1979, poi dopo l’uscita di Guido e della moglie sono entrato io e siamo rimasti soltanto noi, che quindi – come famiglia unica – abbiamo raggiunto i 40 anni di conduzione”.
LA BELLEZZA DELLA MACELLERIA E LA BONTA’ DEI PRODOTTI
Tanti i riconoscimenti e le gratificazioni professionali che avete ricevuto in questo periodo. Le pareti della vostra macelleria sono letteralmente tappezzate di attestati e di articoli di giornali e di riviste. “Ricordo benissimo quella del settimanale “Panorama” – è ancora Ivano Martini a parlare - che nel 2000 ci ha inserito fra le dieci macellerie d’Italia ritenute al top. Era venuto da noi un fotografo di “Panorama” e a distanza di un paio di anni abbiamo scoperto l’autore dell’articolo: Davide Paolini, il ribattezzato “gastronauta”, che nel periodo estivo era un affezionato cliente. Era stato attratto dal nostro modo di fare, dalla cortesia, dalla qualità della carne venduta e dalla bellezza della nostra macelleria. Sempre Paolini, fece in modo di inserirci poi ne “Il Sole 24 Ore”, ma siamo stati anche su “La Cucina Italiana”, nota rivista di gastronomia che ci ha riservato pagine intere. Carla Capalbo ci ha poi messo nella guida gastronomica della Toscana, pubblicazione in lingua inglese e italiana dal titolo “The Food Lover’s Companion of Tuscany”, scrivendo queste testuali parole: “Aldo Martini esprime veramente la figura del macellaio; si può dire che ne è la quintessenza: faccia rossa, robusto e allegro. L’attraente negozio che gestisce insieme alla sua famiglia è pieno di allettanti ed appetitosi prodotti, alcuni dei quali sono delle specialità proprie di Sansepolcro”. E cita sia l’eccellente lombo di maiale sott’olio venduto in vasetti di vetro, sia le salse già pronte di fegatini di pollo e piccione per fare i crostini che il sugo d’oca per condire la pasta (sui quali torneremo poco più avanti n.d.a.), ma anche il prosciutto toscano e ovviamente le carni fresche di vitello e di maiale. Persino alcuni turisti americani, venuti da noi, ci hanno mostrato una copia della rivista con la descrizione fatta dalla Capalbo”.
LA QUALITA’ NEL LAVORO SOPRA QUALSIASI ALTRA RAGIONE
Come si rapportava Aldo Martini con il suo lavoro? “In macelleria ha dato tutto sé stesso. Quel luogo è stata la sua vita: gli piaceva lavorare bene, senza pensare ai soldi. Se fosse riuscito a vendere carne di scarsa qualità, non si sarebbe compiaciuto, ma avrebbe portato dentro di sé il dispiacere per non aver accontentato il cliente. La porchetta era una delle sue specialità, che riscuoteva un particolare successo – anche per questione di tradizione – durante le Fiere di Mezzaquaresima. La grande capacità che aveva il babbo era quella di osservare con attenzione le carni locali, la loro qualità e – al di là della razza di provenienza – voleva che le bestie da macellare fossero nutrite nella maniera più naturale possibile. Per questo motivo, preferiva contattare contadini e allevatori che non avessero più di 7-8 capi a testa. Si sceglieva i fornitori migliori, che sono con noi da 40 anni e a suo giudizio la carne avrebbe dovuto contenere un tantino di grasso per essere più gustosa e appagare il palato. A questo proposito, dava precisi consigli anche all’allevatore: per lui era importante non la resa, ma il sapore. E io non ho fatto altro che seguire la “filosofia” del babbo. Al suo fianco, ho lavorato dal 1979 fino al 2014, anno della sua morte (avvenuta il 9 marzo, a 79 anni non ancora compiuti n.d.a.) e le ricette della porchetta e della soppressata – o “soprossata” come diciamo in gergo qui al Borgo – sono rimaste inalterate. Non solo. Le ricette del sugo d’oca e dei crostini neri che vendiamo tutt’oggi sono rimaste quelle autentiche della nonna Francesca del Trebbio, che lei preparava in occasione della tradizionale conviviale per festeggiare l’evento più importante dell’anno della vita contadina: la battitura del grano. In quella giornata, le donne delle varie famiglie si impegnavano per dare il massimo in cucina, anche perché poi i contadini giravano di casa in casa e di podere in podere per dare una mano durante la battitura e saper cucinare era un motivo di prestigio. Ebbene, il sugo di mia nonna e di mia zia era considerato il migliore di tutto il circondario”. E Aldo Martini con i clienti? “Era uno spasso: a ognuno riservava una battuta. Era gentile e ironico al tempo stesso e gli piaceva sapere dai clienti in che modo avrebbero cucinato la carne che gli aveva venduto per poterli consigliare al meglio”.
AMANTE DEGLI ANIMALI ED ECCEZIONALE PADRE DI FAMIGLIA
Quali erano le sue passioni? “Sembrerà strano a dirsi, ma amava gli animali e diceva che fino alla morte avrebbero dovuto essere allevati con amore per farli star bene. Porto un esempio persino incredibile: il cane di famiglia nel periodo in cui lui era giovane se ne stava sempre dietro al cancello della casa del Trebbio. Quando il babbo è partito per il servizio militare, ha ottenuto la prima licenza dopo nove mesi ed è tornato in pullman; il cane ha evidentemente avvertito l’odore del babbo e si è incamminato per la via fin quasi a raggiungere il Borgo, percorrendo oltre un chilometro per andargli incontro. Tanta fu la sorpresa del babbo quando se lo vide davanti: non se lo sarebbe mai aspettato. Un episodio che tutti ricordavano alla perfezione. Lui, poi, gli animali li allevava; al Trebbio aveva una gabbia grandissima, nella quale teneva fagiani e quaglie, mentre qui al Borgo si occupava dei canarini. Ma ribadisco il concetto: la passione numero uno era il suo lavoro. Anche la domenica andava in macelleria. Solo se fosse stato qualche giorno in vacanza, ma lontano dalla città, non lo avrebbe fatto per motivi di forza maggiore. La pesca era un altro suo passatempo, trattandosi di un’attività che si svolge all’aria aperta. All’interno della categoria professionale di appartenenza, è stato per anni componente del consiglio provinciale dei macellai aretini. Si è prestato volentieri, poi, in occasione delle rievocazioni di settembre: quando c’è stata la rappresentazione del ritorno di Cosimo e anche il Mercato di Sant’Egidio, più volte ha collaborato all’allestimento del banco indossando il costume d’epoca”. Fra i consigli che dava a voi figli, ve n’è uno che ricorda in modo particolare? “L’onestà nel comportamento stava sopra a qualsiasi altra ragione. Legata a questo, è la raccomandazione che mi faceva: qualsiasi cosa avessi preso in prestito, avrei dovuto restituirla. Su questi aspetti era inflessibile. A me personalmente aveva detto di studiare e in effetti gli ho obbedito, conseguendo il diploma di contabile di azienda a Città di Castello, ma alla fine ho fatto anch’io il macellaio, così come mio fratello. Mi era capitata a un certo punto l’opportunità di intraprendere una strada diversa, in base al mio titolo di studio. Vi sarebbero state anche prospettive di carriera in una città lontana da Sansepolcro: ebbene, decisi di rimanere qui per continuare a dare una mano in azienda. Lui era ovviamente contento che io proseguissi la tradizione di famiglia, ma non ha mai esercitato forzature in tal senso: se avessi svolto una professione diversa, gli sarebbe andato ugualmente bene”. Il ricordo più bello? “Quello di un padre di famiglia eccezionale e di un grande esempio di lavoratore. La classica persona che, se vi fosse stata una reale necessità, si sarebbe tolta il cibo di bocca pur di non farci mancare nulla, anche se per fortuna una situazione del genere non si è mai presentata. Ottimo anche come nonno nei confronti dei tre nipoti, ha lasciato il segno nel suo comportamento. Tengo a ribadirlo: fare i soldi non rientrava nel suo stile; gli interessava svolgere bene il suo lavoro. Che poi era il sistema più efficace – volendo – per fare soldi: con il macellaio, il cliente instaura un rapporto di fiducia che si basa sulla bontà e sulla qualità del prodotto. D’altronde, con la carne non si può manipolare: è un alimento e le garanzie debbono essere massime, per cui fa presto a innescarsi un meccanismo pubblicitario attraverso il passaparola, che può fare la tua fortuna come mandarti in disgrazia”. E il rapporto che aveva in generale con la moglie, cioè con vostra madre? “Abbiamo sempre respirato aria di armonia e condivisione, per cui anche sotto questo profilo conservo un bel ricordo. I biturgensi gli volevano bene: dopo il funerale, tante persone mi hanno fermato, ricordandolo come un personaggio. E anche questo è un motivo di grande soddisfazione”.
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