La povertà non è una colpa
Il povero, più che una persona, è visto come un problema
E’ un tempo strano quello che stiamo vivendo, perché mai si era visto un attacco frontale e sfrontato verso la solidarietà, il farsi prossimo e lo stare vicino a chi soffre, in nome di un’apparente quanto falsa risoluzione dei problemi. Era dai tempi di Victor Hugo o dai bei romanzi di Dickens che la povertà non era vista o vissuta come una colpa da espiare, un qualcosa da nascondere, un problema degli altri che non ci riguarda.
Il povero, più che una persona, è visto come un problema, il barbone che chiede l’elemosina per strada, una scocciatura alla quale destinare un “daspo” dal centro storico, colui che non si può permettere un buono mensa, uno scroccone che vive sulle spalle degli altri. Se poi queste categorie assumono il carattere di diversità etnica o religiosa, la cosa si aggrava, diventa elemento da allontanare dalla nostra società, quasi fosse un virus che potrebbe propagarsi e fare male.
Per troppo tempo la politica non ha pensato alle povertà che ci sono, le ha addirittura marginalizzate in zone periferiche, tanto da aggravare ancora di più situazioni sociali precarie alle quali stentava a dare risposte: quartieri di edilizia popolari ridotti a zone franche, dove lo Stato è assente e dove si sono create situazioni di vera e propria guerra tra poveri. L’esempio più recente è rappresentato dalla famiglia di etnia rom assegnataria di una casa popolare, sulla quale si è riversato tutto l’odio e la rabbia sociale di altri poveri e di altri emarginati, sapientemente guidati da speculazioni elettoralistiche di ogni genere. Nessuno sembra pensare a una nuova edilizia popolare, a costruire più case, magari in zone delle città meno problematiche e dove realizzare una socialità più attenta alla dimensione umana. La risposta che la classe politica attuale sembra dare è di senso opposto. Una guerra alla solidarietà e al cosiddetto terzo settore che fa inorridire quanti conoscono il ruolo suppletivo operato nei confronti dello Stato, svolto dalle varie associazioni.
86 organizzazioni nazionali di matrice laica e cattolica, 141mila enti di base associati, oltre 500mila lavoratori e 2,7 milioni di volontari di tutta Italia, 3mila comunità familiari, rappresentano un tesoro da custodire e non certo da offendere e attaccare. Associazioni che aiutano le persone, senza fare ridicole gerarchie tra chi è italiano o meno. Prima vengono le persone e i diritti, non certo la nazionalità di quanti hanno bisogno. Sembra quasi di tornare a 200 anni fa e dimenticare che, se abbiamo oggi ospedali e scuole per tutti, è il frutto del lavoro profetico di un volontariato che è riuscito a vedere più avanti dell’angusto periodo durante il quale operava, denunciando le mancanze. Tutte le realtà politiche sono chiamate a dare risposte a quanti stanno male. La povertà non è questione esclusiva del Ministero degli Interni, non riguarda solo l’ordine pubblico; se vogliamo la soluzione dei problemi, è necessario l’intervento dei ministeri dello Sviluppo Economico, della Cultura, della Salute. Insomma, c’è bisogno di un’azione organica e attenta alla povertà e ai bisogni delle persone. La politica serve le persone, in caso contrario non è politica. Se dimentica la solidarietà e la sussidiarietà è gestione del consenso che sta creando gravi problemi alla società di domani. Le accuse generiche e senza fondamento alle ONG, alle cooperative e addirittura alla Caritas, sono un segnale inequivocabile di una mancanza di consapevolezza riguardo alla profetica opera di supplenza che questi organismi hanno messo in atto, al posto di uno Stato distratto e spesso colpevole di aver permesso che si generassero sacche di povertà strutturali, uno Stato che ha dimostrato di non possedere neppure i tempi della sofferenza delle persone.
Se non offriremo risposte efficaci e di supporto autentico a quest’organizzazione sociale così preziosa per l’Italia, saranno le generazioni future a pagare il conto, in un contesto sociale impoverito, dove l’individualismo sarà esplicitato in un “si salvi chi può” che renderà l’umanità meno umana e protetta. Difendere la solidarietà è obbligatorio, perché quanti si dedicano alla difesa del diritto del più debole, non fanno altro che realizzare quanto lo Stato non riesce a realizzare con la puntualità che gli è richiesta.
Leonardo Magnani
Leonardo Magnani è nato e vive a Sansepolcro. E’ laureato in filosofia e in scienze religiose. Insegnante di professione, da anni collabora con l’Associazione Cultura della Pace e si interessa di mediazione dei conflitti e di nonviolenza.
Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.
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