L’ultimo cantastorie...

Lo scontro fu violento al punto che che l'auto fu scagliata ad oltre 300 metri dal luogo dell'impatto. Sulla Fiat 518 Ardita, modello Sedan, viaggiavano in nove. Era l'11 settembre del 1933.
L'ultimo cantastorie
Hanno fatto la storia prima di Omero e anche di Erodoto e Tucidite. I cantastorie sono antichissimi autori d'un genere che ha accompagnato il succedersi delle varie epoche, dall'antica alla moderna. Avevano resistito ai cataclismi e alle invasioni barbariche, alle carestie, alle tirannie e anche all'atomica a tutto e a tutti, ma niente hanno potuto quando è arrivata la televisione, la grande magia da cui furono travolti. Oggi c'è da chiedersi da che parte stavano gli stregoni ma, allora, nessuno s'accorse di niente. Eravamo troppo attratti dalle sirene del progresso, troppo inebriati di futuro, per fermarci anche un attimo a guardare indietro. Non si poteva rischiare di perdere quel treno in corsa, pieno di speranze e di sogni per un popolo appena uscito dalla guerra, che aveva una gran voglia di dimenticare. In qualche modo le ruspe del boom economico travolsero anche i cantastorie e non fu colpa di nessuno. Ciascuno di noi forse non buttò via la roba vecchia e poi la ricomprò, a prezzi molto più alti, in antiquariato? Ad Arezzo, come nel resto d'Italia, i cantastorie sopravvissero all'ultima guerra mondiale, ma non alla televisione che ebbe l'effetto dell'atomica su Hiroshima e Nagasaki, per il mondo antico e per i cantastorie. Arrivavano in città per il patrono, o altre occasioni di festa, o nel giorno di mercato e cantavano le loro storie liberi. Furono gli ultimi eredi d'Omero, anche se non ebbero la gloria che spetta al padre fondatore della nostra letteratura e della nostra stessa civiltà, quando le gesta memorabili venivano tramandate a voce. Erano i continuatori di quella grande tradizione millenaria e, in qualche modo, gli ultimi sacerdoti dell'epos. Grazie a loro, la memoria si fece leggenda. L'ultima storia che cantarono i nostri vecchi nel dopoguerra, riguardò un fatto avvenuto in terra d'Arezzo. Fu una tragedia in qualche modo simbolica, il segno dei tempi nuovi che stavano per investire il vecchio mondo come un treno in corsa. Era l'11 settembre del 1933, guarda caso sessantotto anni esatti prima delle Twin Tower e il fatto, ad Arezzo e in tutta la provincia, suscitò altrettanta costernazione e clamore. Sulla Fiat 518 Ardita, modello Sedan, viaggiavano in nove. Otto erano passeggeri: Olinto Neri, Guido Valeri, Salvadore Salvadori, Angiolo Mazzeschi, Igino Francini, Assunto Lapini, Gino Beligni e Silvio Stanghini, il più giovane che aveva 27 anni. L'autista era Rinaldo Falchi. Tutti commercianti di Monte San Savino, erano diretti a Camucia per la fiera del bestiame. L'Ardita imboccò la strada provinciale del Borro, attraversò Badicorte, Cesa e Manciano e giunse al passaggio a livello del Km. 210, in prossimità della Misericordia, proprio mentre sopraggiungeva il direttissimo 45. Lo scontro fu violentissimo. La Fiat 518 fu scagliata ad oltre 300 metri dal luogo dell'impatto. Tutti gli occupanti la vettura morirono sul colpo tranne l'autista che, soccorso, non riuscì a sopravvivere. Erano circa le 6,20 del mattino. Il sole s'era appena alzato e, sulla Val di Chiana, gravava anche un po' di nebbia. Quale peso ebbero l'imprudenza, la malasorte e il destino nella tragedia? Di certo la fatalità ebbe la sua parte. Basti dire che il treno era partito da Arezzo alle 6.06, con 12 minuti di ritardo. Un particolare, comunque, decisivo fu scoperto solo in seguito dagli inquirenti: quella fatale mattina la sbarra del passaggio a livello era alzata da una grossa pietra inserita nell'ingranaggio sollevatore, da mano ignota. Fu dunque una strage colposa, rimasta senza un colpevole. La ballata d'un cantastorie rese epica quella tragedia nel sentire del popolo aretino, al di là delle congetture e della giustizia degli uomini e, dopo tanti anni, ripaga le vittime innocenti di quel folle gesto con l'unica cosa che resta dopo la vita: la memoria.
Grata Udienza mi porga attenzione/ Io vi canto una tragica storia/ che i presenti terranno a memoria/ per l'eterno rinchiusa nel cuor./ Un autista Falchi Rinaldo/ conosciuto fra i più noleggianti/ di portare diversi mercanti/ esso il dieci settembre fissò./ Ed infatti il giorno seguente/ là dal ponte quel gruppo partia/ con l'intento d'anda' a Camucia/ e quel giorno alla Fiera restar./ Ma trascorsa un'oretta di strada/ arrivati a un passaggio a livello/ spalancata la sbarra al cancello/ l'autista si prova a passar./ Ma nel mentre che è in mezzo al binario/ sopraggiunge veloce il Diretto/ che li prende con forza di petto/ e nessuno più vivo restò./ Il convoglio li sfascia e li trita/ tutti nove ridotti a brandelli/ con i corpi sbranati e i cervelli/ anche l'aria a guardarli tremò./ Castiglion Fiorentino saputo/ dove avvenne l'orrenda sciagura/ i soccorsi immediati procura/ con profondo dolore nel cuor./ Fu un accorrer di tante persone/ dove morti ne funno i mercanti/ ed un grido di angoscia e di pianti/ nello spazio del cielo si alzò./ Era rosso di sangue il terreno/ ogni gente di là vi correva/ chi la strage tremenda vedeva/ anche il cuore si sente schiantar./ La notizia ben presto cammina/ al paese di loro natale/ tale annuncio tremendo e brutale/ nelle orecchie di tutti suonò./ E le madri e le mogli piangenti/ strette sono da grandi perigli/ sopra trenta ne sono anche i figli/ senza babbo ed in tenera età./ Ne fu fatto il trasporto solenne/ con infinite corone di fiori/ ed un pianto solenne nei cuori/ dell'intero paese restò./ Nulla giova far pianto e lamento/ di bambino di madre e consorte/ che l'ingrata famelica morte/ tutti prende e nessuno ridà.

Giorgio Ciofini
Giorgio Ciofini è un giornalista laureato in lettere e filosofia, ha collaborato con Teletruria, la Nazione e il Corriere di Arezzo, è stato direttore della Biblioteca e del Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona e della Biblioteca Città di Arezzo. E' stato direttore responsabile di varie riviste con carattere culturale, politico e sportivo. Ha pubblicato il Can da l'Agli, il Can di Betto e il Can de’ Svizzeri, in collaborazione con Vittorio Beoni, la Nostra Giostra e il Palio dell'Assunto.
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