La Diocesi di Arezzo Cortona Sansepolcro non è responsabile dell’omicidio di Guerrina Piscaglia

La sentenza: "Gratien Alabi non ha agito sfruttando la funzione religiosa"
Dodici anni fa la provincia di Arezzo fu scossa dalla morte di Guerrina Piscaglia, la donna di Badia Tedalda di 49 anni che si era invaghita perdutamente del vice parroco di Cà Raffaelllo Gratien Alabi Kumbayo, che sta scontando in carcere 25 anni di reclusione per la morte della donna e per il reato di distruzione di cadavere. Ora é arrivata anche la sentenza del giudice Fabrizio Pieschi, del tribunale di Arezzo, sezione civile, sulla complessa e oscura vicenda ambientata. Secondo il giudice “l’omicidio non è stato né agevolato né reso possibile dalle funzioni pastorali” del prete, che era stato inviato dalla Diocesi aretina a Cà Raffaello. “Alabi non ha agito sfruttando la propria posizione, né vi è prova che abbia tratto vantaggio dalla propria funzione religiosa nell’attuazione del proposito criminoso”, quindi la Diocesi di Arezzo Cortona Sansepolcro non è in alcun modo responsabile dell’omicidio di Guerrina. Pertanto, il marito della donna assassinata (corpo della Piscaglia mai ritrovato) ed il figlio disabile, non avranno nessun risarcimento economico della Chiesa, come pure nulla devono pagare i padri Premostratensi di Roma, l’ordine al quale il prete del Congo apparteneva prima di essere estromesso e ridotto allo stato laicale. È il solo Alabi, detto popolarmente padre Graziano, 55 anni, che deve invece pagare 220 mila euro al vedovo Mirco Alessandrini e 350 mila euro al figlio della parrocchiana, Lorenzo. A questa cifra vanno aggiunte le spese legali, 30 mila euro, per un totale di 600 mila. È dunque questo l’esito della causa civile, cui farà seguito nei prossimi mesi quella intentata dal ramo familiare Piscaglia, di Novafeltria, sempre davanti al tribunale di Arezzo.
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