Nadia Comaneci: la vita da prigioniera della polizia segreta, spiata H24 da 98 agenti e abusata
Un libro ricostruisce la vita in gabbia di una delle più grandi ginnaste di tutti i tempi
La storia di Nadia Comaneci non è il semplice racconto della vita di una grande atleta. Oltre a quel 10 perfetto, il primo nella storia della ginnastica artistica, l'ex ragazzina prodigio resta il simbolo dell'oppressione totalitaria sovietica sulla vita delle persone. Ora un libro, dal titolo Nadia Comaneci e la polizia segreta. La storia che nessuno ha mai raccontato, edito da Piemme, ci svela altri dettagli dell'incubo che era costretta a vivere per anni un adolescente morbosamente seguita dal regime rumeno. "Anche se l’impressione era che la gente potesse affollarsi liberamente attorno alla squadra olimpica, la Securitate era in massima allerta e aveva filtrato attentamente tutte le persone che entravano nell’aeroporto". Queste parole sono parte del racconto del rientro della squadra olimpica della Romania da Montreal 1976, le Olimpiadi in cui Nadia Comaneci ottenne quel voto storico.
Il controllo asfissiante da parte della polizia segreta
La polizia segreta di Bucarest da quel momento iniziò a controllare ogni passo della stella della ginnastica che non aveva allora ancora compiuto 15 anni. A raccontare questa vicenda distopica ma purtroppo reale è lo storico e scrittore Stejarel Olaru. Ed è proprio la privazione della libertà che ha spinto la ginnasta alla fuga 13 anni dopo. Proprio da quella fuga a piedi verso l'Ungheria nella notte fra il 27 e il 28 novembre del 1989 che parte il libro.
"Qua e la, le persone reggevano cartelloni distribuiti dalle autorità per essere visibili nei telegiornali. L’amore e l’entusiasmo della folla non erano una messa in scena, ma il regime voleva sfruttarli a scopo propagandistico, e quindi c’erano scritte del tipo: “Brava, Nadia! Sempre avanti!” un adattamento dello slogan dei Pionieri, mentre altri erano ancora più espliciti: “Ringraziamo il partito con tutto il cuore per le meravigliose condizioni che ha offerto alle attività sportive nel nostro Paese!”".
Il partito come l'occhio del Grande fratello
L'obiettivo ufficialmente dichiarato era proteggerla, la realtà era che: "La campionessa doveva essere tenuta sotto completa ma discreta sorveglianza, ora che era diventata una delle personalità più famose del Paese. I servizi segreti sapevano in tempo reale com’erano e come si evolvevano i rapporti tra i responsabili della ginnastica, potevano anticipare gli eventi e intervenire tempestivamente per favorire gli interessi del regime". Tutto è documentato nei rapporti della polizia. Il libro ha il grande merito di tenere il lettore attaccato alle pagine come si trattasse di una spy story di cui non si conosce il finale. Finale che invece si conosce molto bene è che vedrà l'atleta rumena salvarsi grazie a una fuga degna di un film avventuroso. L'autore riesce di pagina in pagina a far crescere l'ansia per una ragazza e per le sue colleghe costrette ad allenamenti massacranti e diete devastanti, costantemente sorvegliate nell'adolescenza.
I report della polizia segreta
"Dopo le Olimpiadi la ginnasta non ha più voluto lavorare in condizioni di totale sottomissione al suo allenatore, nel senso che non accettava più di essere insultata davanti alle compagne più grandi o più giovani ("vacca medagliata"). Non tollerava più che i suoi genitori venissero insultati. Non accettava più il regime dietetico imposto dall’allenatore, tanto che si procurava da sola i generi alimentari (consigliati o sconsigliati) o scappava di casa, e a volte non si presentava agli allenamenti". In questi casi un allontanamento senza permesso significava venir immediatamente cercata da ufficiali della Milizia e della Securitate. Attorno alla squadra di ginnastica femminile a Bucarest "la Securitate aveva infiltrato una rete formata da novantotto agenti: quarantasei informatori, quarantacinque ufficiali con missioni operative e sette ufficiali incaricati di mantenere le relazioni ufficiali. Erano coordinati da tre ufficiali, che come al solito agivano sotto copertura, figurando come consiglieri o istruttori sportivi". Una rete complice dei metodi violenti e degli abusi subiti. L'obbligo a gareggiare come le violenze fisiche e mentali erano sostenute dal regime. Il report su di lei si concluse 20 giorni dopo il suo arrivo negli Usa.
Il libro
Nel 1976, a soli 14 anni, Nadia Comneci fu la prima ginnasta a ottenere un punteggio perfetto di 10.0 ai Giochi Olimpici di Montreal, divenendo una vera e propria leggenda. Guardando i vecchi video, le premiazioni, le medaglie, è facile pensare che quella ragazzina stesse vivendo un sogno. In realtà, per lei, era solo l'inizio dell'incubo. Erano gli anni della Guerra Fredda, dei regimi comunisti che sorvegliavano ogni aspetto della vita dei cittadini, soprattutto di quelli prestigiosi da mettere «in vetrina», pedine nella partita a scacchi contro l'Occidente. Nadia, con il suo viso da bambina e il talento fuori dal comune, era il simbolo ideale per la propaganda rumena. Privata di ogni libertà, venne sottoposta alla sorveglianza della Securitate, la polizia segreta di Ceauescu. Subì abusi non solo da parte del governo, ma anche delle persone che le erano più vicine, i suoi allenatori Béla e Marta Károlyi, duri e, a volte, addirittura violenti. Fu obbligata a gareggiare, a scegliere chi amare, a mostrarsi felice mentre la sua salute fisica e mentale andava in pezzi. Finché, spenti i riflettori dei palazzetti e delle competizioni, è sparita. Che fine ha fatto Nadia? Cosa ne è stato della donna, al di là della ginnasta? Attingendo a 25.000 pagine di archivio della polizia segreta, a svariati documenti di intelligence e intercettazioni telefoniche, lo storico Stejrel Olaru rivela in queste pagine una storia di sacrificio e di coraggio rimasta nascosta fino a oggi: la verità su come Nadia Comneci sia riuscita a fuggire dalla morsa del regime, divenendo un simbolo di libertà e di autodeterminazione contro ogni forma di oppressione.
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