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Matteo Castigliego, come si diventa volontario hospitalero per il piacere di un sorriso

Ogni anno trascorre 30-40 giorni a Leon, lungo il Cammino di Santiago de Compostela

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Architetto nella vita professionale, volontario hospitalero per pura passione. Matteo Castigliego è un professionista molto conosciuto a Sansepolcro; componente di una famiglia non originaria della zona (il padre, Lorenzo, è stato maresciallo dei carabinieri), può essere considerato un biturgense da sempre. Un passato anche da sbandieratore prima di dedicarsi alla professione – con lo studio nella città in cui risiede - e al particolare hobby che coltiva: quello delle salutari passeggiate a piedi. È insomma un camminatore a tutti gli effetti e, a proposito di Cammini, lui con frequenza annuale torna lungo l’itinerario più famoso, quello di Santiago de Compostela, dal quale è rimasto più che affascinato; rimane sul posto (poi spiegheremo dove) e per un periodo di trenta-quaranta giorni svolge le sopra ricordate mansioni di volontario hospitalero. La specificazione stessa di “volontario” indica in automatico che lui si mette a disposizione in forma totalmente gratuita, per il piacere personale di dare qualcosa senza ricevere nulla in cambio, se non la gratitudine dei pellegrini: questa l’unica “moneta” preziosa che accetta, perché la vita è spesso fatta anche di soddisfazioni e di appagamenti che non hanno un prezzo. È il punto chiave attorno al quale ruota il nostro speciale, ma dapprima riteniamo sia giusto spiegare il ruolo che Castigliego, come del resto molti altri, riveste all’interno dei Cammini di Santiago.

Il volontario hospitalero è di fatto il punto di riferimento per i camminatori che arrivano all’ostello. L’immagine è quella di una persona cordiale che però non ha le prerogative classiche del “capo”, ma che deve pur sempre coordinare l’attività del locale, lasciando libertà ai pellegrini e intervenendo solo nel caso di comportamenti che potrebbero diventare molesti per gli altri. Non vi sono sostanzialmente orari (anche se ufficialmente sono previste un’apertura e una chiusura), perché comunque il volontario è sempre in servizio e sempre a disposizione dei pellegrini, specie se qualcuno avesse problemi di natura fisica e magari fosse costretto a stare più di un giorno nell’ostello. Al volontario hospitalero spetta il compito il compito di accogliere con spirito fraterno e gioviale il pellegrino che conclude la tappa e aiutarlo se palesa un minimo di stanchezza anche offrendo un semplice bicchiere di acqua, poi informarlo sulle regole dell’ostello. Deve anche registrarlo e timbrare la sua credenziale. Se poi è concordato, l’hospitalero deve anche preoccuparsi della cena condivisa, dell’allestimento dei tavoli e del lavaggio dei piatti, con l’aiuto dei pellegrini che si mostreranno disponibili. Di certo, il volontario deve dimostrare disponibilità e aiutare chi ha bisogno di una mano o di un consiglio, ma non essere né troppo accondiscendente né troppo servile. Ha comunque l’obbligo di gestire i ritardatari (se vi fossero) e di placare eventuali contrasti fra i pellegrini, favorendo il rispetto reciproco. Sempre se è previsto all’interno dell’ostello, deve preparare la colazione e poi fare le pulizie di camerate, bagni e spazi comuni (in genere, i pellegrini alle 8 sono già di nuovo in marcia) e fare attenzione alla presenza di cimici da letto, nonché provvedere di conseguenza. È chiaro poi che il volontario hospitalero svolga anche la funzione più generale di consigliare il pellegrino sul prosieguo del Cammino e di fornire a chiunque capiti tutte le indicazioni che possono essere ritenute utili, oltre che cercare il più possibile di dissipare ogni suo dubbio e di rispondere alle legittime domande che gli vengono rivolte. Negli ostelli in cui opera, non viene richiesto un compenso prestabilito: vi è semmai una cassetta per lasciare una donazione, ma difficilmente le somme depositate riescono a coprire le spese. Tutto dipende dalla generosità del pellegrino, in base ai servizi di cui ha beneficiato in alloggi nei quali ha trovato anche cena e colazione, oltre che letto e doccia. Non spetta certo al volontario il compito di chiedere il pagamento o di sorvegliare sulla donazione lasciata dal pellegrino. Non solo: l’hospitalero non ha alcun diritto al rimborso delle spese di viaggio per arrivare all’ostello, né riceve alcun tipo di pagamento: soltanto vitto e alloggio. Le spese extra sono a suo carico. Le sensazioni e le emozioni trasmesse ai pellegrini sono i ricordi indimenticabili di questa esperienza.

“La felicità è lavorare senza percepire soldi, solo per il sorriso del pellegrino”, dice Matteo Castigliego, che ricorda come quella del volontario hospitalero sia una figura importante nel Cammino di Santiago. Lui presta servizio al Carbajalas Albergue des Peregrinos di Leon. Delle 600 persone che adempiono a questa missione (parola che ci sembra molto appropriata), tredici sono in Albergue a Leon. La sua vita quotidiana consiste nel cucinare per i pellegrini e nel pulire le strutture dell’ostello senza ricevere nulla in cambio, a parte le storie. Il Cammino di Santiago non è solo un’attività per coloro che sono più atletici oppure più devoti. È un percorso verso il ricongiungimento con sé stessi, un’esperienza multiculturale circondata da esperienze e gioie, ma anche da lacrime. Di stanchezza e malumore, ma anche di notti divertenti al chiaro di luna di un ostello perso in qualche paese che si incontra lungo il Cammino di Santiago, insieme ai compagni di viaggio con cui il pellegrino si imbatte casualmente e con cui condivide lo stesso obiettivo: raggiungere la maestosa cattedrale di Santiago de Compostela. “Il Cammino non è solo a piedi, si può fare in molti modi – afferma lo stesso Castigliego – e io l’ho fatto due volte dalla tappa francese che inizia a Roncisvalle; una volta lungo il Cammino del Salvador, che inizia a Leon e finisce a Oviedo e poi di nuovo lungo la strada primitiva da Oviedo a Melide”. Castigliego assicura di aver incontrato molti hospitaleros durante i suoi pellegrinaggi ma che, in particolare, è stato colpito da una coppia di circa settant’anni per la quale ha provato ammirazione. I due sono stati la ragione che lo hanno spunto a entrare nel mondo del volontariato hospitalero. “Avevano sempre il sorriso sulle labbra e non riuscivo a capire il motivo per cui lavorassero così duramente in forma gratuita”, dice ancora Castigliego. Durante la sua permanenza a Leon, l’architetto biturgense ha incontrato due suore che gli hanno offerto di fare il volontario nel loro centro di accoglienza per pellegrini e precisa che questa collaborazione volontaria con l’ostello non consiste soltanto nel cucinare per i camminatori, nel consigliarli o nel pulire gli spazi comuni come i bagni, la cucina o le stanze, ma è “trovare la felicità: lavorare senza chiedere soldi e solo per il sorriso del pellegrino”. E Castigliego rimarca: “Senza gli hospitaleros non c’è strada. Dal momento in cui il pellegrino arriva al centro fino al proseguimento del percorso il giorno dopo, i volontari devono garantire il benessere dei camminatori. “Nel Carbajalas Albergue des Peregrinos ci sono dai quattro ai sei hospitaleros per turno e i turni sono tre al giorno”, spiega ancora Castigliego, che si alza ogni mattina alle 5.30 per fare colazione ai pellegrini e due ore dopo fa una pulizia generale della struttura insieme agli altri cinque compagni volontari. “Dopo aver terminato le pulizie – è ancora Castigliego che parla – vado in un bar davanti alla cattedrale di Leon a prendere un caffè. Mi siedo su di un tavolo di fronte alla chiesa e ammiro la cattedrale in tutta la sua imponenza. Quando le stai di fronte e la guardi, pensi che se tanti uomini hanno costruito un edificio del genere, vuol dire che deve esserci qualcuno più grande di noi lassù”. Gli hospitaleros – lo abbiamo già evidenziato – sono anche le “orecchie” che ascoltano i pellegrini: “A volte qualcuno viene a testa bassa – prosegue Castigliego - e tu cerchi di incoraggiarlo, o almeno di ascoltarlo. Il Cammino è… camminare dentro di te, è trovare ciò che serve per essere felice dentro te stesso; le cose materiali non contano e durante il Cammino ti accorgi come puoi vivere bene anche senza di esse”. Dello stesso parere sono anche i “colleghi” di Matteo Castigliego: il pellegrinaggio è una serie di emozioni che richiede molta attenzione e anche qualcuno con cui parlare. Di conseguenza, i volontari debbono avere la capacità di ascoltare i pellegrini e di accoglierli fraternamente, perché in passato proprio gli hospitaleros sono stati pellegrini. Spesso, dovranno comportarsi anche da “parafulmini” per raccogliere le lamentele, le frustrazioni, i malesseri e gli infortuni delle persone stanche e desiderose di attenzioni. Nel Cammino, poi, bisogna deve essere fatto qualcosa di più del semplice atto fisico di muoversi, perché comunque ciò che conta è l’essenza dell’accoglienza fraterna del Cammino di Santiago. Si precisa poi che da quando il programma è stato creato intorno al 1990, sono stati 39 i Leonese registrati come volontari nei centri di accoglienza gestiti dal programma hospitaleros. I volontari in questione sono di diverse provenienze: messicani, newyorkesi, australiani e italiani. L’unico requisito obbligatorio che bisogna avere per fare l’hospitalero è l’aver effettuato un pellegrinaggio prima di diventare volontario; la permanenza in ogni rifugio è di quindici giorni, in base alla disponibilità della persona, con le spese di viaggio che debbono essere pagate da soli.

Nell’apprezzare ogni gesto che abbia una indole spontanea e non sia alimentato da desiderio di corrispettivi (economici o di altro tipo), verrebbe da chiedersi il perché una persona si senta stimolata nel fare il volontario hospitalero, come insegna l’esempio di Matteo Castigliego. La risposta può sembrare facile e allo stesso tempo difficile: ognuno ha le sue motivazioni, più o meno uguali, più o meno diverse. Di certo, vi è un qualcosa di importante alla base e molto probabilmente (anzi, senza ombra di dubbio) è da ricercare nelle suggestioni che il Cammino di Santiago è riuscito a trasmettergli quando era pellegrino e che lui adesso cerca di “girare” a chi si cimenta nell’itinerario. Dai pellegrini, l’hospitalero riceve la gratitudine degli altri, con i quali vive una singolare esperienza di fratellanza e di solidarietà. Nuove persone conosciute con le quali ha familiarizzato e che ha aiutato sia nel trovarsi bene all’interno dell’alloggio, sia nel risolvere ad esse un inconveniente: è questa la ricchezza vera che si porta a casa l’hospitalero; una ricchezza interiore che supera di gran lunga quella materiale. E fra le scoperte più belle che farà, rimanendo piacevolmente sorpreso, vi sarà la constatazione del fatto che alla fine le persone altruiste siano assai di più di quelle egoiste. O quantomeno più di quanto si possa immaginare. Insomma, una bella esperienza di vita; un’esperienza comunque formativa, anche a un’età non più giovanissima. Si lavora e ci si impegna (senza avvertire il peso del sacrificio) in favore di altre persone, sapendo che basta un semplice sorriso o il ringraziamento di cuore di una di queste per farti sentire appagato. Il pellegrino rimasto soddisfatto dell’accoglienza o semplicemente assistito nel momento del bisogno è il risultato che si insegue, perché in questo caso il bello sta nel dare e non nel ricevere. Certamente, la professione o il mestiere che ciascuno svolge deve servire per vivere, ma poi la vita è fatta anche di altre soddisfazioni, che molto spesso non hanno natura pecuniaria; anzi, possono semmai più costare che rendere (economicamente parlando), ma quando arrivi al raggiungimento dell’obiettivo – che poi ha il sapore di una missione – non vi è prezzo che tenga. Volontariato allo stato puro e… nobile, al contrario – lo dobbiamo far presente – di ciò che avviene in tante realtà associative, che in teoria dovrebbero esaltare la risorsa del volontariato, ma che in qualche caso – succede ovunque, dalla politica allo sport – tendono a sconfinare in altri interessi più personali, creando con il tempo i cosiddetti “padri padroni” della situazione, vedi figure che occupano da oltre vent’anni il ruolo di presidente in questo o in quel contesto (magari sono gli altri a pregarlo di rimanere) e che inevitabilmente si ritrovano con la mani in pasta, a meno che il motivo per rimanere seduto sulla poltrona non sia quello della mera visibilità. Il caso dell’hospitalero contrasta con quelli sopra menzionati: qui i secondi fini non esistono ed è ciò che con la testimonianza di Matteo Castigliego volevamo mettere in evidenza.            

Redazione
© Riproduzione riservata
21/07/2022 18:18:29


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