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Conte si rimangia il no al Mes e cerca la pace con Pd e Iv

Dpcm inutile e pasticciato, figlio della paura e scontri politici nella coalizione

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“E’ bastata una conferenza stampa per lasciare un Paese intero senza chiare indicazioni. Cittadini e imprenditori meritano chiarezza e serietà: hanno dimostrato un alto senso civico e sacrificio e non possiamo accettare il ripetersi di altri lunedì post conferenze stampa dove nessuno sa bene cosa fare”. Lo sfogo del presidente di Confindustria Carlo Bonomi avviene davanti all’arena di Verona completamente deserta nonostante sia previsto un evento che comunque avrebbe potuto avere qualche decina di persone in presenza. Ma l’ultimo, in ordine di tempo, fine settimana da incubo in cui si sono rincorse ipotesi e scenari da fine del mondo, ha nei fatti annullato l’evento. Nell’incertezza, la gente non si è presentata. Triste modo di iniziare la settimana. “Questo - ha detto Bonomi - rappresenta bene lo sconforto di un paese in confusione”. 

Le città mezze chiuse  

Da Verona a Roma, la scena non cambia: la Capitale che in qualche modo aveva ripreso a fatica i suoi riti e suoni, il passeggio e le cene ai tavolini all’aperto, sembra essere tornata vuota, spenta, triste. Dopo tre giorni di battage terrorizzante rilanciato da social, tv e qualche giornale,  lockdown sì/lockdown no, non poteva essere diversamente. In realtà il Dpcm cambia molto meno di quello che chiedeva qualcuno nella maggioranza, e segnatamente il Pd e Leu: i ristoranti possono stare aperti fino a mezzanotte e bar e birrerie anche, se hanno i tavolini che ormai hanno quasi tutti. I negozi sono aperti e la temperatura è piacevole dopo giornate di pioggia. Eppure le strade sono tornate vuote.

Battaglie politiche, rivendicazioni personali, posizionamenti nell’ambito della maggioranza, la paura per la curva dei contagi che ha ripreso a correre come nei mesi della primavera: c’è tutto questo dietro questi ultimi tre giorni che hanno prodotto uno dei più strampalati Dpcm dell’era della pandemia. E’ il numero 17 dal 30 gennaio scorso. Nei numeri a volte c’è un destino.

Un battesimo difficile

La rivolta dei sindaci che non vogliono, non possono, fare i guardiani degli assembramenti. La manina notturna che li sbianchetta dal testo del Dpcm prima che vada in Gazzetta. Lo stupore del Viminale, non interpellato prima,  che deve poi correre ai ripari. La faticosa mediazione dei sindaci con Conte. Gli ultimatum di Franceschini e Speranza per avere misure più severe (e sono stati accontentati solo in parte). Le polemiche, in genere, sulle nuove misure, “troppo blande” o “giuste” a seconda con chi parli. Il No, mai così netto - quasi una ripicca - del premier sul Mes (domenica sera). L’irritazione del Pd e di Italia viva. La marcia indietro dello stesso premier (ieri nella conferenza stampa sulla Manovra da 39 miliardi per il 2021) che poi rilancia proprio là dove chiedono da giorni Italia viva e il Pd. “Convocherò il tavolo di programma - è la promessa - per decidere insieme i temi di questa seconda parte della legislatura”. Si tratta solo di aspettare gli Stati generali del Movimento che nei primi giorni di novembre (8-9) dovrebbe dare un nuovo identikit politico al Movimento, una nuova guida e una nuova bussola.   

Ha avuto una gestazione e un battesimo difficile l’ultimo il Dpcm dell’emergenza Covid. Il risultato non poteva essere diverso da quello che è: un pasticcio  che aggiunge tensione e panico ad una situazione sanitaria con numeri che adesso preoccupano le strutture ospedaliere. E’cambiato tutto in dieci giorni. Tra altri dieci che può succedere? “Non potremo mai tornare al lockdown della prima fase c’è un problema di salute pubblica e di equilibri economici. Dobbiamo imparare a convivere col virus, a decidere chiusure parziali secondo necessità e a riaprire appena i dati lo consentono” è la posizione del premier rispetto a questa seconda fase.

Il Tavolo, un risultato politico

Il Dpcm porta con sé caos e polemiche. La speranza è che quest’ultime misure di contenimento - i cui effetti saranno misurabili entro 10-15 giorni - possano abbassare la curva del contagio. Tenerla a bada, almeno. Tanto caos potrebbe alle fine produrre un risultato politico. Conte s’è deciso a concedere quel Tavolo di programma dove le forze di maggioranza devono sedersi per decidere come e su quali temi investire quel che resta della legisltura. Si scrive patto di legislatura ma qualcuno nella maggioranza azzarda a leggerlo anche come rimpasto. Se ne parla da settimane sotto traccia in Iv e nel Movimento 5 stelle e anche all'interno del Pd da tempo c’è chi spinge per un rafforzamento di governo ma Zingaretti ha sempre smentito di voler entrare nell'esecutivo. Il partito del Nazareno punta piuttosto a un accordo programmatico, per rilanciare azione e agenda del governo.  “Vi anticipo - ha spiegato il premier ieri durante la conferenza stampa sulla Manovra - che faremo una verifica di maggioranza per dare nuova linfa al governo, definire le priorità economiche e sociali”. Tra i rosso-gialli si riaffaccia la possibilità di due vice premier o di un cambio in alcune caselle. Le verifiche quando si aprono non si sa mai come possano finire.

E’ ancora troppo presto per la lista dei temi. E già su questo ci sarà battaglia. Ci saranno le riforme costituzionali, reddito di cittadinanza e Quota 100, il destino di alcuni dossier caldissimi come Aspi e Alitalia, le politiche industriali e per la crescita del paese.  Ci saranno i progetti del Recovery fund. E sicuramente il Mes. Il  Nazareno lo vuole chiedere a maggior ragione per affrontare le criticità dovute alla seconda ondata di Covid. Il ministro Gualtieri in realtà frena e prende tempo (“non abbiamo ora esigenze di cassa e non vorrei neppure essere il primo e magari l’unico che lo prende”). Dopo 36 ore di ferri corti, anzi cortissimi (il segretario dem non si aspettava che Conte facesse a pezzi il Mes in conferenza stampa come invece è successo), i due si sono telefonati per chiarimenti. “Le polemiche - ha corretto il tiro il premier  - sono un errore. Il tema va affrontato nelle sedi opportune, in Parlamento e con la discussione politica tra governo e maggioranza e non certo con una battuta. Questo, tra l’altro, porta uno strascico di polemiche che non è in sintonia con la volontà del governo di dare punti fermi agli italiani”.

La mediazione con i sindaci

Se il “tavolo” è la conquista serale, la giornata era andata avanti tra numerosi colpi di scena. Il Dpcm, si diceva, è stato figlio della fretta, delle tensioni nella maggioranza e di sciatteria. Conte non lo voleva fare: era appena stato firmato quello del 13 ottobre e avrebbe voluto vedere gli effetti di quelle misure (mascherina obbligatoria sempre) sulle curve del contagio. Ma il capodelegazione del Pd Dario Franceschini venerdì, mentre il premier era impegnato a Bruxelles al Consiglio europeo, lo ha invitato a “provvedere subito a nuove misure per contenere il contagio”. Uno scherzetto che ha rovinato la missione di Conte. E che ha assunto subito una valenza politica. Mai tra i due i rapporti sono stati così tesi. “Non cercate personalizzazioni - spiegano dal Nazareno- . La verità è che il Pd ha deciso che era necessaria una stretta alla misure non più adeguate alle curve del contagio”.

Il fatto è che non c’è stata la stretta auspicata dal Nazareno e di cui il capo delegazione Franceschini s’è fatto portavoce (o promotore) . Alla fine le 21 pagine del Dpcm  non contengono grosse novità. Non ci sono quelle attese perché necessarie come il potenziamento del trasporto pubblico e la sorveglianza sui mezzi pubblici per controllare il rispetto delle regole. Si ribadisce invece che bimbi e ragazzi vanno a scuola salvo garantire ma solo alle superiori “maggiore flessibilità negli orari d’ingresso e nella didattica a distanza”.  La ministra Azzolina tiene il punto sulle 9 del mattino (l’ingresso non può essere prorogato oltre). Franceschini ottiene l’apertura al doppio turno, decideranno i presidi. Il ministro voleva la serrata di locali e ristoranti alle 22, sarà invece alle 24 mentre alle 18 chiuderà solo chi non può garantire il servizio ai tavoli. Il Pd voleva una stretta sullo sport, tutto, palestre comprese in quanto attività superflue. Questa volta è stato il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora a mettersi di traverso.  Insomma, tanto rumore per nulla? O graduale avvicinamento ad una nuova serrata?

La rivolta dei sindaci

Di sicuro sarà ricordato come il Dpcm che ha fatto arrabbiare i cari amati sindaci. In conferenza stampa, domenica sera, Conte ha annunciato che sarebbero toccato ai primi cittadini  il compito di gestire una sorta di coprifuoco nelle vie e nelle piazze amate dalla movida. Chi meglio di loro del resto può capire qualche angolo di una città improvvisamente diventa il ritrovo dei più giovani? Quando il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio De Caro domenica sera ha sentito questa novità che, ha spiegato poi, “in tre giorni di riunione col governo non era mai stata ipotizzata”, è andato su tutte le furie. Con lui il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, quello di Firenze Dario Nardella. Decine di sindaci in rivolta contro Conte: “Come si permette? Non ci può trattare così, non lo possiamo fare”. Ieri mattina il testo del Dpcm uscito in Gazzetta non conteneva più la parola “sindaco” presente invece nell’ultima bozza. Qualche manina del Dipartimento Affari giuridici e legali di palazzo Chigi è intervenuta notte tempo a fare pulizia. Dopo aver consultato per le vie brevi il ministero dell’Interno che non era stato interpellato prima. “Sembra di stare su Scherzi a parte - hanno commentato alcune fonti del Viminale - Ma da quando un sindaco si occupa di presidiare continuativamente un’area che comunque deve garantire la libera circolazione e l’accesso ai residenti?”. Un sindaco può, è nei suoi poteri e già lo fa, individuare un’area a rischio (spaccio, risse, ordine pubblico, decoro, mettiamoci pure anche il Covid), segnalarla al Prefetto che la condivide nel Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza che poi prende in carico la gestione della chiusura. E’ quello che succederà, unico compromesso possibile  in un pasticcio che ha fatto perdere una giornata di dichiarazioni e controdichiarazioni per venirne a capo. In modo ancora confuso e incerto visto che “la pezza (aver tolto la parola sindaco dal testo, ndr)) è peggio del buco” spiegava ieri una fonte Pd.

Il dito nell’occhio

Il fatto è che mai come questa volta la maggioranza è e resta divisa. Al di là della promessa del Tavolo. I ministri Speranza e Franceschini insistono per misure drastiche con effetti nefasti però sul tessuto economico. E sulla psicologia delle persone.  Conte non ci sta. Con lui anche Italia viva e, in parte, i 5 Stelle. Una diversità legittima in una situazione inedita come la pandemia. Se non fosse che c’è sempre di mezzo anche la politica. E questa volta la resa dei conti sembra essere tra il Pd e Conte.

Ecco che il No al Mes di Conte, in quelle modalità, è stato soprattutto un dito nell’occhio al Pd e a Franceschini che invece lo vogliono. E che, a loro volta, avevano messo almeno due dita negli occhi di Conte costringendolo a tornare da Bruxelles per scrivere un nuovo Dpcm.  Inutile e pasticciato.

Notizia e foto tratte da Il Giornale
© Riproduzione riservata
20/10/2020 11:45:05


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